Il presidente del Consiglio chiede uno “stop” alle primarie, ma molti nel partito sono con lui. E ora anche Borgonovo Re scende in campo.
L. Petermaier, "Trentino", 24 ottobre 2012
Nel primo consiglio provinciale del “day-after” il protagonista è sempre lui: Ale Pacher. Il quale - com’è nel suo carattere mite e schivo - tutto vorrebbe meno che essere al centro dell’attenzione. Risponde diligente alle interrogazioni dei consiglieri, conversa con i colleghi, stringe mani e ricambia i sorrisi (chissà quanto benevoli) di alleati e avversari. Ma ai cronisti che lo attendono schierati sulle porte dell’emiciclo spiega: «Scusate, ma di politica per qualche giorno ho deciso di non parlare. Lasciamo decantare le cose». Lui di politica non parla, ma in buvette non si parla che di lui e dello sconquasso provocato dalla sua improvvisa “auto-rottamazione”. La situazione dentro il Pd è complessa da riassumere, ma in sostanza la possiamo spiegare così. La linea delle primarie a tutti i costi - da sempre sostenuta dal segretario Nicoletti e dall’ala kessleriana del partito - non è più un dogma. L’abbandono di Pacher ha fatto emergere forti perplessità rispetto al metodo delle primarie, perplessità scoppiate nell’assemblea provinciale di lunedì. Emblematico è stato in questo senso l’intervento del presidente del consiglio provinciale Bruno Dorigatti: «Azzeriamo tutte le candidature sul tappeto - ha detto - facciamo tutti un passo indietro e cerchiamo una candidatura unitaria del Pd. Il rischio è che prevalgano i personalismi e che il partito diventi una locomotiva che poi si schianta. Chi l’ha detto che servono per forza le primarie? A Roma Zingaretti è stato scelto in modo unitario. E’ stato un esempio di discussione e confronto interno al partito che poi ha portato a far confluire su un unico nome le decisioni del partito. Possiamo farlo anche noi per scegliere il nostro candidato che, in questo modo, avrebbe più forza e autorevolezza». La linea del presidente Dorigatti trova sponde in altri dirigenti del partito che in più di un’occasione avevano manifestato perplessità rispetto alle primarie interne. Si va da Roberto Pinter al sindaco di Trento Alessandro Andreatta, ma anche il presidente del partito Giorgio Tonini non ha nascosto i timori per il rischio di una eccessiva frammentazione del partito. Convinti sostenitori delle primarie sono invece - oltre a Nicoletti - anche il capogruppo Luca Zeni (uno dei papabili candidati alla presidenza) e con lui buona parte del gruppo consiliare del Pd, primo fra tutti Mattia Civico fedelissimo di Kessler e sfidante dello stesso Pacher nelle primarie per la segreteria precedente all’attuale di Nicoletti. Di questi giorni è l’autocandidatura (non certo invisa al collega professore d’ateneo Nicoletti) dell’ex difensore civico Donata Borgonovo Re che ha ipotizzato persino delle primarie di coalizione aperte: «Ogni partito potrebbe esprimere propri candidati e sarebbero poi gli elettori a scegliere, magari con la possibilità di esprimere più di una preferenza». E Borgonovo parla già da leader: «La mia giunta? Sarebbe composta per metà da donne, questo è certo». In questo scenario resta da capire come si muoveranno i “pacheriani” del Pd (come Andreatta, Froner, Nardelli, ma anche gli assessori comunali Maestri o Gilmozzi) che in questa fase di grande confusione potrebbero convergere su Alessandro Olivi, considerato a questo punto l’unico candidato del Pd in grado di rappresentare e tenere insieme tutta la coalizione e in possesso di quella esperienza di governo indispensabile per gestire la macchina provinciale in una fase delicatissima come quella che l’Autonomia sta attraversando in questo momento. Un auspicio - quello della ricerca della massima unità - che viene sottolineato con forza da Giorgio Lunelli, capogruppo in consiglio provinciale che mette l’accento sulla necessità di ritrovare e rafforzare l’intreccio delle culture autonomista, popolare e riformista: «Si tratta delle tre culture politiche che hanno consentito al Trentino di crescere e resistere alle spinte devastanti che hanno travolto in questi mesi la nostra provincia. Se vogliamo avere la capacità di disegnare il Trentino del 2020, superando la crisi e magari uscendone rafforzati, queste tre culture devono ritrovare unità. La mia impressione - prosegue Lunelli - è invece che ogni partito della coalizione cerchi di distinguersi e trovare una propria visibilità. Così non va bene, lo dico al mio partito ma anche agli alleati di Pd e Patt. Troviamoci attorno ad un tavolo e mettiamo a fuoco le priorità, altrimenti c’è il rischio che qui salti tutto».