Commercio: dalla quantità alla qualità

Venerdì 28 settembre, in tarda serata, il Consiglio provinciale ha approvato alcune importanti modiche alla legge provinciale sul commercio (varata nel luglio 2010, dopo 10 anni dall’ultima revisione organica della materia). Le modifiche alla legge si inseriscono in politiche del settore che vogliono coniugare competitività e sostenibilità sociale valorizzando la rete delle piccole e medie imprese e le vocazioni territoriali e favorendo la qualità del lavoro e lo sviluppo di nuovi formati di vendita.
Alessandro Olivi, 5 ottobre 2012

Ci siamo mossi, in questi anni, partendo dalla consapevolezza che il commercio offre opportunità economiche ed esprime insieme una funzione sociale: i negozi fanno vivere le nostre città e i nostri paesi in quanto sono luoghi di aggregazione dove si concentrano momenti di scambio e di solidarietà. Si sono quindi promosse politiche in favore dei centri storici e della rete dei piccoli negozi nelle aree svantaggiate e misure coerenti nella programmazione dello sviluppo delle grandi strutture di vendita. Per questo infatti la riforma mira anche a contenere l’impatto immobiliare nuovo e a valorizzare maggiormente il patrimonio edilizio esistente.

Ora il nostro disegno riformatore conosce un’ulteriore fase evolutiva che non tradisce l’originale impostazione, cerca anzi di declinare in chiave territoriale la necessità di eliminare vincoli di tipo quantitativo e dimensionale alle attività economiche. Ritengo infatti sbagliate la politiche che tendono ad attuare una omologazione meramente orizzontale che non distingue i diversi contesti in cui il commercio riflette specificità, punti di forza e debolezza dei singoli territori. La Legge del 2010 del Trentino ha rappresentato una punta avanzata rispetto all’intero contesto nazionale proprio perché introduceva elementi di modernità senza però rinunciare a governare i processi di sviluppo valorizzando semmai il pluralismo distributivo, la qualità del lavoro, il commercio come leva per restituire ai contesti urbani nuove fisionomie.

Con le modifiche alla legge approvate venerdì vogliamo, per la programmazione delle grandi strutture di vendita, passare da meccanismi di programmazione degli insediamenti commerciali fondati sul solo rispetto di soglie quantitative, sulla base di un presunto equilibrio tra domanda e offerta, ad un commercio della qualità, della sostenibilità economica e sociale, dell’integrazione con altre funzioni locali. Solo lo studio del territorio ci supporterà nella scelta dei criteri per l’individuazione delle aree da destinare agli insediamenti commerciali. Vogliamo proporre politiche di programmazione commerciale integrate sia con l’insieme delle politiche territoriali, in particolare con quelle della pianificazione e dei trasporti, sia con gli altri livelli di governo dei processi di trasformazione. Ci proponiamo di favorire “buone pratiche” di progettazione, in particolare, ad esempio, nella scelta nell’uso dei materiali, nel rapporto delle strutture con il contesto, nella qualità dell’inserimento urbanistico-edilizio. L’obiettivo è quello di passare da un commercio della quantità ad uno fondato sulla qualità.

Andando nel dettaglio le nuove norme agiscono su tre punti essenziali.

In primo luogo viene riconosciuta ai Comuni la possibilità di una maggiore autonomia nel gestire gli insediamenti delle medie strutture di vendita alzando la quota delle superfici deprogrammate (fino ad 800 metri per i comuni fino a 10.000 abitanti; fino a 1500 metri per quelli con più di 10.000 abitanti).

Secondariamente per le grandi strutture di vendita viene individuata la Comunità di Valle come ente deputato alle decisioni sui futuri insediamenti, stringendo però i vincoli, le invarianti e i parametri urbanistico-ambientali per evitare fenomeni di tipo distorsivo. I requisiti per l’insediamento di queste strutture saranno non più di carattere quantitativo ma qualitativo.

Infine si vuole valorizzare il commercio come elemento di riqualificazione ed attrattività dei centri storici introducendo una piena liberalizzazione per l’insediamento di nuove attività in tali aree. In questo modo si insiste nell’obiettivo di favorire l’implementazione delle attività commerciali nei centri storici così da incentivare il riutilizzo e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.

In sintesi quindi, questo ulteriore tassello della riforma del commercio segna la nostra volontà di non accettare passivamente il nuovo quadro di riferimento nazionale - che implica sostanzialmente la possibilità di insediare iniziative commerciali di qualunque dimensione praticamente ovunque - ma vuole utilizzare le prerogative dell’Autonomia per valorizzare i fattori territoriali latenti di competitività di questo fondamentale comparto dell’economia coinvolgendo nel percorso le imprese, i territori e i lavoratori del commercio.