27 settembre, Assemblea provinciale del Pd del Trentino - LA RELAZIONE DEL SEGRETARIO MICHELE NICOLETTI

"Nei prossimi mesi si deciderà un pezzetto della storia del nostro Paese. Probabilmente non un pezzetto come altri, ma un pezzetto più significativo. Più significativo perché l’Italia è giunta a un punto di svolta. Tante volte lo abbiamo detto, ma questa volta pare più vero di altre. La situazione economica continua ad essere grave e preoccupante."
Michele Nicoletti, 27 settembre 2012


Nonostante gli sforzi straordinari del governo tecnico e il quadro europeo e nordamericano che pare intenzionato a non abbandonare l’Italia a un solitario e malinconico declino, il Paese non riesce a crescere: la spesa per gli interessi sul debito pubblico rimane elevatissima, l’evasione fiscale legata alle attività sull’estero di singoli e imprese, la tara spaventosa in termini finanziari oltre sociali e morali dell’economia criminale, una pubblica amministrazione ancora lenta e inefficace con infrastrutture e servizi sempre più lontani dagli standard degli altri Paesi europei, un sistema politico che non riesce a stabilizzarsi e nemmeno a darci una legge elettorale diversa da quella attuale, una classe politica in cui le gesta di profittatori si impongono e gettano fango su tutti e la lista delle cose che non vanno potrebbe continuare.

Tutto questo è piombo sulle ali.

E’ difficile camminare con questo peso addosso.

In questa situazione ci sono quelli che si dedicano alla pittura di scenari fantastici. Anche l’occhio vuole la sua parte e nessuno nega che una vista piacevole possa allentare la spirale depressiva. Ma la politica spettacolo è finita anche se qualcuno non se n’è accorto e da questa situazione sarà possibile uscire solo se ci alzeremo dalle poltroncine di spettatori, se smetteremo di tenere lo sguardo fisso sul palco per capire chi sarà il prossimo ad andare in scena, se accetteremo più modestamente il fatto bruto che la vita di un Paese riposa sulle cose di sempre: la sua capacità di lavoro, il suo spirito di sacrificio, la sua forza di carattere, la sua tenacia nel tenere salde le relazioni tra le persone e così via.

Il riscatto del nostro Paese non passa che in piccola misura dalla politica. Sta assai di più nel lavoro umano, nella forza produttiva, nella creatività e nel coraggio delle imprese, nella preparazione e nell’intelligenza delle persone, nella capacità di tutti di stare sull’orizzonte che è di oggi e di domani, ossia quello di una globalizzazione che ci ha portato una competizione severa che nessuno potrà evitare e che dobbiamo cercare di contenere nei suoi effetti distruttivi, non attraverso politiche protezionistiche di stampo paternalistico, ma politiche di empowerment dei nostri cittadini e delle imprese.

Continuiamo a proiettare sulla politica aspettative che la politica non è oggi in grado di soddisfare. Come se la politica potesse “guidare” i fenomeni sociali, potesse “governare” i grandi processi mondiali, e così via. Si tratta di espressioni roboanti che vogliono dire assai poco. Mai come oggi la politica appare limitata per non dire impotente. E la sua insufficienza morale è legata spesso a questa sua irrilevanza sociale. E la protesta contro la politica è spesso protesta non solo contro la sua immoralità, ma anche contro la sua inutilità, la sua frustrante impotenza.

In questo scenario la dignità della politica si può recuperare non nel suo ruolo di grande guida dei processi storici, ma nel suo concreto sostegno alla vita delle persone.

Non è solo un problema di riduzione di costi o di sobrietà, ma più radicalmente di riconoscimento del suo limite.

E questo limite deve definirne i contorni istituzionali, culturali, economici.

Nell’accettazione di questo limite la politica potrà fare la sua parte ed essere davvero incisiva e magari talvolta decisiva nei destini delle persone.

Usciamo dal teatro. Assumiamo con radicale onestà che ci aspetta una lunga marcia nel deserto e recuperiamo come in ogni marcia e in ogni deserto che si rispetti ciò che è veramente essenziale. E teniamo ferma in modo granitico la nostra direzione di marcia. Non perdiamo di vista l’orizzonte verso cui vogliamo andare.  Se non arriveremo noi, chi sarà con noi potrà andare avanti se abbiamo tenuto la direzione giusta. Se noi continuiamo a girare su noi stessi, chi verrà dopo di noi, dovrà ricominciare da capo e il nostro lavoro, la nostra fatica non saranno serviti a niente.

Recuperiamo anche in politica questo senso del lavorare per gli altri, per coloro che verranno dopo di noi.

Teniamo allora ferma la barra del timone e ridiciamoci i nostri obiettivi, le ragioni per cui facciamo politica e facciamo un partito e un partito che si chiama democratico.

In mezzo agli scandali di Batman, continuiamo con ingenuo candore a credere e a volere che la politica democratica sia legata all’idea di una comunità di persone che si vogliono libere e si riconoscono uguali e che tra i mille condizionamenti della vita si sforzano di governare da sé la propria vita e il proprio territorio e considerano un dovere questo uno sforzo inesausto di strappare frammenti di autogoverno alle dinamiche del dominio e dello sfruttamento, pezzetti di liberazione per sé e per gli altri, contro le dinamiche continue di asservimento e discriminazione.

La politica è questo e chi fa altre cose non fa politica, ma fa altre cose mascherate di politica. E se abbiamo un po’ più di libertà e un po’ più di uguaglianza rispetto ad altre epoche lo dobbiamo non solo allo sviluppo economico e culturale, ma anche alle lotte politiche di individui e gruppi che non si sono stancati, anche quando gli ostacoli erano ben più grandi di quelli che noi dobbiamo fronteggiare e c’erano e guerre e dittature, miseria e schiavitù, e non si sono stancati, non si sono depressi, o rassegnati. Perché dovremmo farlo noi? Cerchiamo di iscrivere il nostro impegno dentro questo più grande itinerario di liberazione e troveremo qualche energia per continuare, qualche monito per fare meglio, qualche significato da attribuire a ciò che spesso ci appare senza senso.

Abbiamo scelto di fare politica in un partito. Si può fare – e talvolta anche meglio – altrove. Se siamo qui è perché crediamo che la democrazia contemporanea non si  realizza senza partiti. Altrimenti abbiamo una politica di capi e di masse. I partiti sono un’associazione. Sono fare politica insieme. Mettere il noi davanti all’io. Mettere il mio impegno dentro un’idea, dentro un solco. Sono previsti dalla Costituzione.

Li vogliamo migliori.

Sono come la democrazia, che non è mai perfetta. Ma nemmeno sputiamo su ciò che abbiamo: bilanci trasparenti, impegni di volontari, amministratori leali, regole e statuti. Quando sbuffate contro il partito in cui avete scelto di militare e di cui siete dirigenti, provate a chiedervi se mai nella storia d’Italia vi è stato questo sforzo di trasparenza, di democrazia eccetera in un grande partito popolare. E allora anche quelle che appaiono nostre debolezze, sono anche l’incarnazione di grandi idealità che, come accade per ogni incarnazione, quando dal mondo delle idee entra nella carne della storia si mescola alla polvere e appare quasi irriconoscibile. Ma se l’idea si sottraesse a questa dinamica non sarebbe mai feconda. Dunque continuiamo a cercare di costruire un partito e un partito aperto alla società.

Con questo spirito il segretario Bersani ha deciso, anche un po’ in solitudine, di sottoporre la sua leadership a elezioni primarie. Lo ha fatto perché ha percepito una distanza tra la politica e i cittadini e le primarie vorrebbero ricomporla. Lo ha fatto perché ha posto il senso del noi prima che dell’io e quindi prima della preoccupazione di un destino personale. Rivolgersi agli elettori è anche un atto di fiducia, l’atto tipico del democratico che non ha mai paura di rimettersi alla volontà del popolo e ha il coraggio di dire “io sono disponibile”. Questo la gente vuole sentirci dire: siamo noi all’altezza di prendere in mano il governo del nostro Paese, della nostra Provincia in questo momento di drammatica crisi o preferiamo nasconderci dietro qualcosa o qualcuno?

Abbiamo scelto di fare un partito democratico senza aggettivi. Dunque non liberaldemocratico, socialdemocratico o cattolico-democratico.

Nella democrazia senza aggettivi sta l'inveramento delle correnti democratiche ottocentesche (liberali, cattolici, socialistici, eccetera). Per molte di quelle correnti la democrazia era un mezzo o uno stadio intermedio per il raggiungimento di uno stadio superiore (con il rischio anche di sacrificare il valore della democrazia al raggiungimento del socialismo o di una cristianita' comunque intesa).

Per noi la democrazia e' il fine e - semmai - le pratiche liberaldemocratiche o socialdemocratiche un mezzo. E’  molto utile che sul piano ideale e culturale il socialismo, il radicalismo democratico, il cattolicesimo democratico e tutto il resto  restino vivi e continuino a produrre pensiero e pratiche di giustizia. Ma tutto questo va valorizzato come un mezzo per avvicinarci a una democrazia mai compiuta, ossia ad una società di persone che si vogliono libere e si riconoscono uguali e dunque si attribuiscono un uguale potere di decidere sul proprio destino e sul destino collettivo indipendentemente dalle loro condizioni sociali. In tutto questo la politica democratica ha il ruolo con provvedimenti sociali o socialdemocratici o in determinate circostanze anche con politiche liberali di cercare di superare la disuguaglianza sociale, che e' ostacolo alla pari dignità e al pari potere.

La nostra costituzione e' l'esemplificazione di ciò che intendo: una costituzione democratica (non socialdemocratica) in cui l'apporto dei socialisti è stato determinante e in cui le pratiche socialdemocratiche sono previste (cfr art 3 e altri) come mezzi per rimuovere ostacoli. Quindi la costituzione italiana non e' uno stadio intermedio verso uno stadio più avanzato, verso il socialismo, ma e' la meta da attuare ed e' un sapiente bilanciamento di diritti individuali, politici e sociali. Un eccesso di enfasi sui diritti sociali può portare ad una compressione dei diritti individuali. Cosa accettabile nel campo dei mezzi (in un determinato periodo storico) non nel campo dei fini . Ecco perché il PD deve restare partito democratico cercando di costruire al livello locale, nazionale, europeo e internazionale condizioni sempre più avanzate di democrazia.

Vogliamo una democrazia matura, di popolo e di alternanza. Per questo dopo il governo tecnico vogliamo un governo politico. Non perché tornino quelli di prima ma perché tornino i cittadini. Nei grandi paesi è così. Certo conta la credibilità personale, ma conta l’avere la forza politica alle spalle.

Con chi sto parlando si chiedono i partner: parlo con chi comanda o no? Per questo è naturale la candidatura del segretario del maggiore partito. Ha alle sue spalle la più ampia rappresentatività politica e sociale. E in questo momento il radicamento nel mondo del lavoro riveste un’importanza centrale.

La sfida che ci sta davanti è questa: far uscire l’Italia dalla condizione di minorità. Dimostrare che siamo in grado di prendere in mano seriamente il nostro destino, che siamo all’altezza della marcia nel deserto e vogliamo arrivare in fondo. Per questo dobbiamo spenderci  fino in fondo perché questa democrazia possa avanzare un passettino verso il suo compimento e possa offrire al Paese un governo riformista e popolare.