Bersani: "Sul welfare pronto a cambiare le riforme dei tecnici"

«Tutti quelli che adesso premono su un sistema proporzionale puro avendo in mente la Grande Coalizione sono degli illusi. Perché non si rendono conto che, così facendo, portano il Paese in una palude». Per Pier Luigi Bersani la misura è colma. Il segretario del Pd affida a un colloquio con «Pubblico» le sue preoccupazioni sugli effetti collaterali del balletto sulla legge elettorale in cui, secondo lui, c'è chi gioca sporco.
T. Labate, "Pubblico", 18 settembre 2012

«Pensate a quelli del Pdl, dell' Udc e della Lega che sette anni fa approvarono il Porcellum, un sistema ipermaggioritario in cui anche se vincevi col 18 per cento portavi a casa il 55 per cento dei seggi. Chissà perché adesso gli dà fastidio il premio di maggioranza...».  Qualche tempo fa, di fronte al rischio a cui oggi affianca la parola «palude», Bersani citò lo spettro della Grecia. Uno scenario post-elettorale scandito dall'ingovernabilità, la paralisi della politica, l'obbligo di tornare alle urne in poche settimane. «Se dopo le elezioni non c'è qualcuno in grado di organizzare un governo, rischi come questi ce ne sono ancora, eh?», dice prima di tornare sul tema della Grande Coalizione. E di spiegare che «se qualcuno pensa che io mi metta a fare una maggioranza insieme a un signore che si chiama Silvio Berlusconi, si sbaglia di grosso. Se la facciano altri, una maggioranza con Berlusconi». Perché, sottolinea il leader del Pd, «di fronte a questo scenario io mi faccio da parte, mi metto a riposo». 

Già, Berlusconi. Nell'attesa di confermare la ricandidatura a premier, il Cavaliere è tornato dalle vacanze con una maliziosa "benedizione" alla candidatura di Matteo Renzi e col possibile progetto di estendere il suo impero televisivo all'acquisto de La7. «È lo stesso uomo di sempre. Mi creda, al di là del fatto che decida o meno di scendere nuovamente in campo, il primo pensiero che ha in mente è consolidare la sua posizione economica in modo da influenzare l'opinione pubblica», è il pensiero del segretario del Pd.
«Quanto a La7», aggiunge, «nemmeno uno come lui può pensare di acquisirla direttamente facendola inglobare da Mediaset. Secondo me, purtroppo, ha già in mente qualcos'altro...». 
E la benedizione che Berlusconi ha dato a Renzi? «Farà qualsiasi cosa per influenzare il dibattito di casa nostra. E chiaro che vuole influenzare le primarie». Bersani non lo dice direttamente. Ma fa capire che le primarie saranno a doppio turno. Con uno sbarramento del 50 per cento. «È un diritto-dovere di chiunque si presenti corra per la premiership quello di essere legittimato dalla maggioranza più uno di chi andrà a votare alle primarie. Io la penso così». Quanto al possibile ritiro di Vendola, di cui si discute nelle ore in cui si moltiplicano i candidati del Pd alla com petizione (ieri s'è fatto avanti Pippo Civati), il leader democratico ostenta sicurezza: «Facciamo primarie di coalizione. Alla fine Nichi sarà della partita. E questo è un bene per il dibattito. Quanto al numero dei candidati del Pd, l'affollamento sarebbe un problema ma in ogni caso non ne farei un dramma. Alle primarie francesi c'erano sei candidati».
Pausa. Sull'automobile che lo sta accompagnando a Modena, dove in serata è intervenuto alla Festa democratica, Bersani è in costante contatto con chi, dal partito, lo tiene aggiornato sugli sviluppi del caso Fiat. «Non vorrei fare paragoni tra Monti e Berlusconi», scuote la testa il leader Pd, «ma in questo caso l'esecutivo è stato troppo cauto. Avrebbero dovuto incalzare Marchionne, anche perché era evidente che il progetto Fabbrica Italia non è mai esistito. Invece non l'hanno fatto». Per questo, «il Partito democratico si attiverà, anche con strumenti parlamentari, perché il governo faccia piena luce. E se poi mi dicono che c'è la crisi del mercato dell'auto, a maggior ragione un governo deve cercare di capire che cosa si possa fare». 
Basta fargli notare che, tra coloro che credevano nel piano Marchionne, c'erano anche fior di esponenti del Pd. Fassino e Chiamparino a Torino, Renzi altrove. «Vede» , risponde Bersani, «io ho sempre provato a capire i nostri che, nelle zone degli stabilimenti, provavano a stabilire un punto di dialogo con l'azienda. Certo, capivo e capisco un po' meno tutti quelli che, in giro per l'Italia, si sono fatti abbagliare dagli slogan della Fiat». E visto che Bersani sta per annunciare la squadra che lo accompagnerà alle primarie («Lo farò a brevissimo, per ora non dico nulla»), la conversazione torna sulla competizione del centrosinistra. E sul suo principale sfidante.
Domanda numero uno: se lei vince prenderebbe Renzi nella sua squadra di governo? «Io non escludo nulla», risponde. Anzi, per essere più preciso, «per adesso non prevedo nulla. Quel che escludo tassativamente è che queste primarie abbiano a che fare con prenotazioni, bilance o bilancini».
Domanda numero due: se perdesse si farebbe da parte? Si ritirerebbe dalla politica? Il segretario del Pd si fa serio: «In quel caso farò quello che mi chiede la ditta. Se la ditta», e cioè il partito, «pensa che ci sia bisogno di me, bene. Non sono il tipo che abbandona la nave ma neanche uno che ci sta su per volere degli dei». 
Capitolo rottamazione. Perché non è soltanto Renzi a pretendere che un pezzo di vecchia nomenklatura Pd lasci la seggiola. Anche i giovani turchi bersaniani, da Matteo Orfini e Stefano Fassina, hanno chiesto al leader di non inserire nella sua eventuale squadra di governo chi un ministero, in passato, l'ha già avuto. «Se tocca a me», è la risposta di "Pier Luigi", «decido io. E anche al governo sarei pronto a promuovere delle persone nuove sulla base di criteri semplicissimi: competenza, efficienza, funzionalità. Senza dimenticare l'ingrediente dell'esperienza». 
Da quel «se tocca a me» all'immaginarsi per un attimo a Palazzo Chigi il passo è breve. Quanto la tratta di autostrada che sta percorrendo, mentre risponde alle domande di Pubblico da Piacenza a Modena. «L'ho già promesso. Se toccasse a me, nel primo giorno da capo del Governo farei un provvedimento che riconosca come cittadini italiani tutti i figli degli immigrati nati in Italia», scandisce Bersani. E il programma dei primi cento giorni? Cambierebbe la legge 40? Modificherebbe la riforma Fornero su cui Vendola e Di Pietro hanno già depositato dei quesiti referendari abrogativi? Il segretario del Pd schiarisce la voce: «La legge 40 andrebbe riformulata subito. Quanto al welfare, io ho in mente una serie di provvedimenti che leghino il lavoro alla produttività». Una lenzuolata, insomma. «La flessibilità», è l'analisi bersaniana, « non può essere intesa come precarizzazione e rimandare quindi a quella miriade di contratti di lavoro che ci sono ancora. Penso a una flessibilità organizzativa, a contratti decentrati. A una serie di cose che il lavoro può garantire solo in cambio degli investimenti delle imprese». 
E il conflitto d'interessi, che torna in agenda insieme al ritorno di Berlusconi? Altra materia dei primi cento giorni di un ipotetico governo Bersani I. «Ma conflitto d'interessi vuol dire poco. Io ho in testa qualcosa di più preciso. Norme stringenti sulle incompatibilità e in in particolare una legislazione antitrust vera, che riguardi soprattutto il mondo della comunicazione, come l'Italia non l'ha mai avuta». A patto che qualcuno non lo fermi prima, quel Bersani che dice di vedere di fronte alla scalata del Pd «nemici e avversari». E chiude così, perché la sua destinazione, Modena, è a un passo: «Ovviamente non penso a complotti. Ma in Italia c'è chi ha paura della nostra autonomia». E dice l'aggettivo «nostra». Anche se, sotto sotto, pensa alla sua, di «autonomia».