«Io credo nell'economia di mercato, ma i cittadini non sono merci». Le parole dell’ex-premier spagnolo Felipe Gonzalez, con cui ha concluso la lectio magistralis nell'ambito della cerimonia per la consegna del premio Alcide Degasperi dedicato ai «costruttori dell'Europa», ci aiutano a riscoprire «l'impulso etico che sta alla base dell'Europa, basato sulla visione di un'economia sociale di mercato».Alessandro Olivi, "L'Adige", 18 settembre 2012
Su questa stessa visione, che ispira il progetto di un’Europa nella quale coesione sociale e sviluppo procedono di pari passo, si fonda la politica economica della Provincia. Capitalizzando la forza dell’autonomia e smarcandoci da schematismi tecnocratici che pur sono molto in voga, intendiamo cioè raccogliere la vera sfida che incombe sulla nostra azione di governo: promuovere un’economia competitiva, integrandola con politiche attive per il lavoro, nonostante il drastico contenimento della spesa pubblica.
C'è chi dubita della effettiva praticabilità di questa combinazione. In effetti, parlare di coesione sociale è facile; molto meno lo è declinarla in azioni concrete che non si risolvano in ulteriori erogazioni a carico del bilancio pubblico, proprio nel momento di massima criticità dei saldi finanziari. Ebbene, noi riteniamo che questa conciliazione di opposti sia possibile, se saremo capaci di modificare nel profondo la composizione della spesa pubblica e il rapporto fra i due grandi protagonisti dello sviluppo, il settore pubblico e le multiformi espressioni del «privato».
Un primo esempio concreto in tal senso è la versione trentina dell’ormai famosa spending review. La Giunta provinciale la sta declinando non soltanto sotto forma di tagli indiscriminati, ma come «piano di miglioramento dell’amministrazione». La differenza sta nel combinare virtuosamente una tripla serie di obiettivi: a) gli obiettivi funzionali, cioè di efficienza dei processi; b) gli obiettivi. strategici, che ridisegnano gli ordini di priorità degli interventi; c) gli obiettivi. trasformativi, i più sfidanti, che mirano a ribilanciare il rapporto pubblico-privato, restituendo a quest’ultimo il protagonismo che la pervasività della presenza pubblica può aver assopito.
Con questa trilogia di intenti contiamo di risparmiare risorse senza annichilire il sostegno dei meccanismi che nella società e nell’economia presidiano lo sviluppo e la sua equa distribuzione.
Già oggi, nonostante la recessione continui a pesare anche sul sistema trentino, com’è tipico di una crisi globale e strutturale, l’intervento della Provincia a favore delle imprese ha mitigato l’aumento della disoccupazione, mentre il reddito di garanzia e le politiche del lavoro hanno lenito il profondo disagio delle fasce deboli.
Ma la partita è tutt’altro che chiusa e il perdurare della crisi rischia di travolgere anche i solidi equilibri del nostro corpo sociale.
Ecco perchè, all'interno del piano di miglioramento dell'amministrazione, diviene cruciale focalizzare le politiche economiche sugli assi strategici che possono aiutarci a tradurre in realtà le stimolanti parole di Gonzalez. Mi riferisco alla crescita dimensionale delle imprese, all’innovazione, all’apertura di nuovi mercati, alla corresponsabilità della forza lavoro nelle strategie d’impresa, per finire con il rafforzamento delle relazioni fra le varie componenti del sistema trentino. L’ente pubblico può sospingere vigorosamente questi processi senza devastare gli equilibri di bilancio, riallocando le spese e favorendo la scomposizione dei fattori attuali di sviluppo in nuove sequenze evolutive, sotto la stella polare della qualità, che consentano di sfruttare meglio le potenzialità autopropulsive della nostra economia, la storica attitudine cooperativa della popolazione trentina, non meno che la nostra consolidata capacità di buon governo.
Ciò significa, ovviamente. abbandonare ogni residuo schema mentale di stampo assistenzialistico. Ancora oggi, con varie sfumature, una certa propensione all’assistenzialismo si annida infatti dentro la struttura burocratica, nell'ampia articolazione dei servizi ai cittadini e nelle altrettanto articolate modalità di sostegno alle imprese. Ma si annida pure nel tessuto economico, che stenta a liberare nuove energie imprenditoriali e professionali. Per questo ci attendiamo che anche le associazioni datoriali e il Sindacato continuino a sperimentare sistemi di relazione più idonei a consolidare il nostro livello di benessere e la sostenibilità del modello di sviluppo.
S’inserisce in questa sfidante conciliazione di obiettivi apparentemente antitetici la nuova disciplina degli incentivi alle imprese, che la Giunta provinciale ha approvato nei giorni scorsi: un ulteriore tassello di una riforma, varata l’estate scorsa, che si basa sulla selettività degli interventi e sul coinvolgimento delle banche nel finanziamento degli investimenti produttivi, ma che al tempo stesso punta ad un effetto addizionale sulla propensione ad investire e sulla produttività delle nostre imprese. Verranno perciò agevolate soltanto le iniziative rientranti in circoscritti ordini di priorità, che fungeranno dunque da griglia d’accesso (in precedenza determinavano unicamente una maggiorazione dell’incentivo). Incentivi dunque meno numerosi, ma più mirati, in modo da concentrare le risorse sulle iniziative più meritevoli sotto il profilo dei benefici collettivi dell’attività d’impresa.
Un forte elemento di novità di questo impianto riformatore è infatti rappresentato da una particolare attenzione agli effetti economico-sociali per il territorio e dall'attivo coinvolgimento della forza lavoro. Gli effetti sull’occupazione dei nostri incentivi non saranno un semplice effetto atteso, ma un patto che idealmente l’impresa stringe con la collettività che la sta aiutando, attraverso la finanza pubblica, a riposizionarsi sul mercato attraverso nuovi investimenti. Sotto questo profilo la riforma degli incentivi s’inserisce in una linea di continuità con l’impostazione delle relazioni industriali che in questi anni abbiamo cercato di consolidare. A partire dal Fondo Olivi che, supportando progetti di riorganizzazione aziendale a salvaguardia dei livelli occupazionali, è stato gestito con successo attraverso puntuali accordi tra le parti imprenditoriali e sindacali.
La partecipazione attiva del Sindacato alla valutazione delle iniziative agevolate rappresenta infatti un «mattone» del sistema sociale che intendiamo tutelare, fondato sulla coesione e sulla corresponsabilità. L’intesa frutto della concertazione deve essere interpretata come un’opportunità di condividere con i lavoratori, componente fondamentale dell’impresa, i propri piani produttivi, assicurandosene la leale e responsabile collaborazione.
La responsabilità sociale dell'impresa, l’uguaglianza di genere e una più flessibile organizzazione produttiva, atta a conciliare i tempi di vita e di lavoro, sono altre forme di attenzione alla dimensione umana del lavoro che daranno titolo ad una maggiorazione degli aiuti, grazie ad una riduzione del numero complessivo dei medesimi.
Puntiamo dunque ad un profilo ancora più avanzato di relazioni industriali, che contribuisca alla gestione di una crisi di cui ancora non si vede lo sbocco. In paesi avanzati, come Germania e Svezia, la cogestione è da anni un modello praticato e spesso vincente. Ci proponiamo quindi di stimolare forme di partecipazione dei lavoratori alle scelte organizzative e al miglioramento della qualità delle imprese, al di fuori dei vincoli normativi, ma favorendo intese tra le parti sociali.
Il tema della «democrazia economica» finisce dunque per irrompere nella nostra strategia d’intervento nelle vicende del mercato, rappresentando la linea di pensiero che consente, in un contesto di economicità e di rigore, di combinare la competitività della struttura produttiva con la qualità del nostro convivere.
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