Euregio, per non chiuderci in noi stessi.
A. Pacher, "L'Adige", 29 marzo 2009
Il tema sollevato da Sergio Fabbrini domenica scorsa sull'Adige, pur avendo una propria ciclicità, assume in questa fase storica una valenza davvero centrale. Parlare oggi di Euregio infatti vuole dire parlare soprattutto di identità e di appartenenza. Non dico nulla di nuovo nel sottolineare come il tema delle identità - e quindi della/delle appartenenze - assuma importanza crescente.
Assume importanza crescente in proporzione agli effetti - crescenti anch'essi - dei processi di globalizzazione culturale che stanno interessando (anche) le nostre comunità. Sintetizzando, possiamo ritenere che l'identità consista nella percezione e rappresentazione di sé nel trascorrere del tempo e nel mutare degli eventi. Perché ciò accada è necessario che la persona (o la comunità, o una società) abbia la possibilità di definire alcuni aspetti portanti e, nel caso di identità collettive, fortemente condivisi, in cui riconoscersi. E ciò vale, a maggior ragione, in questa fase storica in cui a ciascuno di noi viene chiesto di misurarsi con identità multiple. Tanto per dire, io posso essere (e sentirmi) trentino, italiano, europeo, cittadino del mondo. In questo quadro diventa davvero importante che ciascuno abbia un nucleo identitario centrale, una sorta di «piccola patria» interna per potersi sentire a casa anche nella o nelle patrie più grandi. Credo sia proprio qui, nel delicato e mai definitivamente risolto rapporto tra piccole e grandi patrie, tra appartenenze diverse ma concentriche che si gioca la partita identitaria - e quindi, in ultima analisi, di futuro - della nostra comunità. Ed è questo lo scenario in cui si gioca la partita legata al futuro della collaborazione, o meglio dell'integrazione, tra il Trentino, il Sudtirolo ed il Tirolo austriaco. In questo senso il rinforzo dei punti di contatto tra le nostre comunità non credo possa essere sbrigativamente assegnato alla sola condivisione di una storia per molti aspetti comune, o peggio alla enfatizzazione di alcuni tratti somatici (culturalmente parlando) ricorrenti. Certo, la storia è elemento essenziale di una identità condivisa, ma altrettanto lo è la condivisione di una visione di futuro comune. Ecco, il futuro. È su questo piano che credo si possa costruire una pista di lavoro che permetta alle nostre comunità, nelle loro forme organizzate, di creare reti, di condividere obiettivi comuni. Tra l'altro, lavorare consapevolmente per la costruzione di una prospettiva condivisa di futuro - per definire cosa saremo- credo possa rappresentare un anticorpo importante anche se certamente non esaustivo alle tentazioni di ripiegamento su elementi identitari più facili in quanto basati su meccanismi differenziali (sia in chiave etnica, che linguistica ecc.) In questa prospettiva credo davvero che le nostre comunità abbiano oggi una opportunità così grande da divenire addirittura un dovere: l'opportunità di costruire la propria visione di futuro a partire e legandola ad una visione condivisa del futuro della propria terra condivisa, le Alpi. Al di là dell'urgenza oggi rappresentata da alcuni fattori ambientali fonte di notevole preoccupazione, non credo sia possibile pensare ad una comunità coesa e consapevole in un territorio confuso tra identità multiple e, oltre una certa soglia, incompatibili. Abbiamo, già oggi, tanti esempi di come questo tema stia diventando sempre più centrale anche grazie alla sua capacità di creare reti, formali e non, di di confronto e collaborazione tra persone, associazioni, città e regioni. Abbiamo, nelle nostre regioni, una diffusa sensibilità e consapevolezza che si traducono anche in forme strutturate di appartenenza: come interpretare altrimenti le decine di migliaia di adesioni che caratterizzano la presenza delle associazioni legate al territorio ed alla montagna come la Sat o gli Alpenverein di qua e di là del Brennero? Costruire il proprio futuro condiviso all'insegna della sostenibilità, del rapporto difficile ma decisivo tra apertura ed appartenenza, tra crescita economica ed equilibrio ambientale è oggi la vera sfida a cui siamo chiamati, anche e soprattutto in tempi così difficili. Perché ciò accada, perché questa sfida possa essere affrontata con consapevolezza ed in maniera condivisa dalle nostre comunità, c'è bisogno di tanta politica. Non può esistere un pensiero unico - anche nell'interessante ipotesi, per me tutta da discutere, di una sorta di centrismo antropologico - capace di interpretare tutta la complessità di questa prospettiva. Né, tanto meno, si può pensare che le istituzioni, i governi locali, possano sostenere oltre alla fisiologica fase di avvio, una funzione «ortopedica», quasi sostitutiva, del sentire e dell'agire locale. Fa bene quindi il presidente Dellai ad auspicare una maggior presenza della politica. Credo siano maturi i tempi perché si avvii un confronto serrato «transfrontaliero» tra le forze politiche, a partire dalle aree omogenee. In questo senso, le forze politiche progressiste delle tre regioni, a partire dal Partito democratico del trentino e del Sudtirolo, potrebbero promuovere forme e strumenti permanenti di confronto con gli omologhi austriaci, magari puntando alla creazione di una forma permanente di collaborazione federativa transnazionale. È bene che si insista tenacemente sulla organizzazione ricorrente di momenti di incontro tra le rappresentanze istituzionali dell'area. E questo è compito, appunto, delle istituzioni. Però bisogna davvero che a questi momenti si arrivi con un percorso che consenta a ciascuna forza politica di riconoscersi in un processo ad intensità crescente e soprattutto con un obiettivo condiviso. E questo è, appunto, compito della politica.