Tonini (PD) dopo il summit in Agordino: «I nostri vicini dolomitici del Bellunese hanno un problema istituzionale molto serio, che va visto in ottica interregionale alpina, per individuarne le possibili soluzioni con un po' di fantasia istituzionale. Per quanto ci riguarda, stante l'attuale impossibilità di mettere in discussione i nostri confini, dovremmo lavorare a forme di collaborazione con loro, sulla falsariga di quanto avviene con l'euregio per l'area austriaca».
Z. Sovilla, "L'Adige", 22 agosto 2012
È il messaggio che ha portato il senatore trentino del Pd Giorgio Tonini, ospite l'altroieri, a Cencenighe Agordino, dei colleghi di partito bellunesi e del movimento per l'autonomia della provincia veneta (il Bard) che da anni denuncia l'inadeguatezza delle politiche partorite nella lontana Venezia. Nel frattempo prende corpo una valanga di decine di comuni secessionisti, che seguiranno quelli che hanno già tenuto referendum costituzionali per cambiare regione (Lamon e Sovramonte nel Feltrino, i tre ladini «storici» e l'isola germanofona di Sappada/Plodn). Con Tonini, a incontrare gli amministratori locali, c'erano i consiglieri provinciali Margherita Cogo, Michele Nardelli e Luca Zeni, Giuseppe Ferrandi (direttore del museo storico) e il segretario del Pd bolzanino Antonio Frena.
«I bellunesi - spiega Tonini - chiedono strumenti di autogoverno e aspirano a diventare la terza area amministrativa del Trentino Alto Adige, facendo nascere così una regione dolomitica; invece, nel frattempo, con il decreto sulla spending review, hanno perso anche lo status di provincia ordinaria. Mi ha veramente colpito la drammaticità con la quale lassù viene vissuto questo nuovo strappo, in una zona montana che storicamente ha sofferto il suo essere incardinata in una regione con il cuore marinaro e costretta a un confronto oggettivamente svantaggioso con le confinanti aree montane a statuto speciale. Ora sono terrorizzati dall'idea di finire accorpati a una provincia di pianura, che potrebbe essere Treviso».
Dal riordino infatti si salvano solo le province superiori ai 2.500 chilometri quadrati (Belluno ne ha 3.678) e con almeno 350 mila abitanti (ne mancano all'appello più di 130 mila). Apparentemente per Belluno, il cui ente oltrettutto oggi è commissariato, non ci sono margini di manovra. Lei che cosa suggerisce?
«Di porre con forza la questione all'ordine del giorno. Il passo fondamentale è collocarla correttamente in una dimensione "transfrontaliera": serve un'iniziativa comune delle tre regioni coinvolte (Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia), un tavolo per ragionare, allargando un po' la prospettiva, su una possibile architettura di una futura provincia cui sia riconosciuta la specificità montana (peraltro già prevista nel loro nuovo statuto regionale). Si può coinvolgere anche il governo nazionale, che in realtà il mese scorso si era espresso a favore di un emendamento per salvare le sole province montane di Belluno e di Sondrio; ma poi si sono accavallate varie richieste simili, venute da altre regioni, e si è deciso di non toccare nulla».
In questo contesto di fibrillazione, il Trentino come può ragionevolmente muoversi?
«Sarà utile a loro e a noi la nascita di una forma di collaborazione stretta, come si fa con Innsbruck, per intenderci, il che avrebbe anche un effetto di bilanciamento nella cooperazione alpina della nostra regione».