L’inasprimento del contesto economico e la grave situazione dei conti pubblici non possono giustificare la violazione sistematica delle prerogative degli Enti locali da parte dello Stato centrale.
Lorenzo Passerini, 21 agosto 2012
Il percorso che voleva fare dell’Italia un Paese dove le Regioni fossero protagoniste, intrapreso in modo particolare dal centrosinistra con la Riforma in senso federalista del 2001, non può essere interrotto.
Una visione centralista con scelte prese unilateralmente a livello nazionale non tiene conto dei territori e rischia di aggravare la situazione, soprattutto in un Paese eterogeneo come il nostro dove la libera espressione delle diverse realtà che lo compongono ha rappresentato per secoli una ricchezza.
In Italia, da qualche anno, quelle che potrebbero essere definite come riforme istituzionali, cioè disposizioni che hanno ricadute non solo finanziarie, ma gestionali, operative e talvolta anche sull'esistenza stessa dei livelli di governo locale, vengono fatte “a colpi di finanziarie”. C’è una contraddizione di fondo fra i principi dell'aumento dell'autonomia e della responsabilità degli enti locali e manovre economiche sempre più pervasive. Di fatto, ci ritroviamo in una crescente centralizzazione.
È in questo contesto che le Autonomie speciali, come quella trentina, diventano il capro espiatorio della difficile situazione nella quali siamo immersi. È quindi importante cercare di fare un po’ di chiarezza e sfatare molti luoghi comuni ricordando, in primo luogo, che la nostra Provincia sta già contribuendo al risanamento delle finanze dello Stato e che la nostra Autonomia dispone di ampie risorse nella misura in cui il suo territorio è capace di crearne.
All’alta burocrazia ministeriale andrebbe pure ricordato che l’Autonomia di una terra di confine come il Trentino non è frutto solo di interventi legislativi, seppur importanti, ma ha radici secolari fatte di tradizioni, di usi civici, di regole che le comunità si sono sapute dare. Un patrimonio che non può essere disperso a “colpi di decreti”. Bene ha fatto quindi chi, in questi giorni, ha ricordato le radici storiche profonde dell’Autonomia trentina: dalla sua origine che può essere fatta risalire al particolare status che questo territorio assunse in epoca medioevale al processo di attuazione dei principi autonomistici che la Repubblica Italiana, partendo dalla sua Costituzione, ha costruito con la nostra Regione.
In questa fase è però fondamentale non chiudersi all’interno dei nostri confini, ma collocare la nostra Provincia all’interno del contesto alpino ed europeo e superare il confronto tra localisti e nazionalisti. L’antica vocazione europeista del Trentino va recuperata essendo stato per lunghi anni una terra di lingua italiana in territorio tedesco. A tal proposito Alexander Langer ricordava “E’ sempre complicato spiegare da dove vengo. ‘Ma allora sei italiano o tedesco?’ Nessuna delle bandiere che svettano davanti a ostelli o campeggi è la mia. Non ne sento la mancanza. In compenso riesco, con il tedesco e l’italiano, a parlare e a capire nell’arco che va dalla Danimarca alla Sicilia”.
Rilanciare l’Autonomia della nostra Provincia agganciandola ad una dimensione più ampia è determinante quindi per la sua stessa sopravvivenza. L’Autonomia infatti deve essere a servizio del Paese, e soprattutto delle aree di montagna, particolarmente colpite dagli effetti della crisi, attraverso il potenziamento dell’interlocuzione con tutti i territori alpini, innanzitutto rafforzando il quadro regionale e dando un forte impulso alle azioni da sviluppare nell'ambito dell'Euregio o meglio, come scrisse il prof. Giacomoni, attraverso “una AlpenRegion sovranazionale al centro dell’Europa, che è ormai negli auspici di molte personalità lungimiranti”. Dobbiamo quindi promuovere alleanze, anche al di fuori dei territori autonomi, che, in sede nazionale ed europea, riescano a tutelare un’idea di società che, in modo particolare nell’arco alpino, si è sedimentata nei secoli attorno ai valori della solidarietà, dell’autogoverno, del rapporto virtuoso con il territorio, della cultura del limite. La regolazione delle attività economiche e la gestione dei beni comuni, delle fonti di energia, delle grandi infrastrutture, del nostro patrimonio ambientale non possono essere soggette ad un’unica idea omologatrice che equipara i territori e che intende le regole del mercato come le uniche capaci di disciplinare la vita delle persone.
Valorizzare e pensare ad un’Autonomia inclusiva non significa quindi difendere risorse finanziarie o principi astratti, ma promuovere una politica che non rinuncia al governo del territorio sacrificando qualsiasi valore e principio sull’altare di ideologie iper-liberiste e accogliere la sfida dell’efficienza del nostro sistema provinciale promuovendo l’Autonomia trentina quale laboratorio di autogoverno a servizio di tutto il Paese.