Il direttore Alberto Faustini ha usato le parole "un atto di amore per questa terra" riferendosi alla rottamazione dell'Autonomia e del presidente Dellai propugnata da Kessler. Non sono d'accordo. Roberto Pinter, "Trentino", 21 agosto 2012
L'amore per questa terra è una cosa importante e necessaria se si vuole costruire un futuro ma non ci viene dato come fosse parte del DNA. A molti trentini questa terra va stretta e covano verso di essa un sentimento di rancore per quello che a loro non ha riservato.Delle volte la trovano troppo chiusa e poco accogliente, o trovano al contrario che si sia trasformata troppo per riconoscersi, tante altre volte si tratta semplicemente di mancato riconoscimento dei propri talenti. Ognuno ha diritto di appartenere o meno, nel senso di riconoscersi, ad una terra ma ciascuno dovrebbe superare il, seppur comprensibile, vizio di far discendere il giudizio su di una comunità dalla soddisfazione per il ruolo che in essa riveste. Amare questa terra non può certo significare che la si vuole conservare così com'è. Proprio perchè la si ama se ne può pretendere il cambiamento, e dunque la critica non è certo lesa maestà ma è un esercizio di autonomia fondamentale se vogliamo una Comunità responsabile. Dico questo perchè ognuno ha diritto di rivendicare la discontinuità del governo e delle politiche che riguardano l'autonomia provinciale, perfino di rottamare come va di moda oggi, ma è leale farlo chiarendo cosa si vuole per il futuro di questa terra. Faccio un esempio: criticare la gestione clientelare è una cosa, ma auspicare che l'A22 sia messa in gara senza alcun ruolo e garanzia per questo territorio è atto di amore o è un atto di irresponsabile consegna al mercato degli oligopoli di una importante risorsa? Il mercato, si fa per dire, come valore prevalente rispetto al governo responsabile dell'acqua, dell'energia, dell'ambiente, delle infrastrutture, delle reti, è una scelta di campo che è antitetica all'autonomia di questa terra. Invocare, con una sorta di malcelata soddisfazione, la mannaia della spending review sulle risorse finanziarie della autonomia è indice di sobrietà o assenza di una cultura autonomistica? Trattare le regole fondative dell'autonomia come si trattasse di un sistema elettorale modificabile secondo le esigenze del governo e dei partiti, è segno di rigore o è l'allinearsi acritico alla agenda statalista del governo che denota l'indifferenza rispetto alla natura federalista o centralista di questo paese? Si può avere in testa uno stato tradizionalmente accentratore e pensare che le autonomie locali siano uno spreco ma è corretto dirlo come premessa. Per questo rivendico e ritengo che la continuità abbia un senso se si parla della cultura autonomista e federalista che ha guidato il governo provinciale nelle ultime tre legislature, mentre non è necessario che si estenda alle persone e alla gestione della autonomia. L'autonomia ha bisogno di un nuovo patto rifondativo che si traduca nel nuovo Statuto, ha bisogno di rinsaldare la coesione sociale e la cittadinanza sulla base di una rinnovata assunzione di responsabilità collettiva, e per fare questo pur conservando il meglio deve avere il coraggio di decise riforme che superino sprechi, inefficienze e logiche che richiamano più il voto di scambio che l'adesione convinta ad un progetto di autonomia. Se per fare questo è obbligata la discontinuità nella leadership e necessario il ricambio, non sarà una tragedia e potrebbe essere perfino salutare per la qualità della democrazia, ma una cosa è rottamare per cancellare l'autonomia e per consegnarci all'inefficienza di uno stato, mostruosamente più grande della nostra, e un altra è cambiare condividendo la scommessa di una Autonomia forte e innovativa. Difendere l'autonomia oggi non è difendere la chiusura o un privilegio ma è esattamente indicare la direzione per un cambiamento del paese che non sarà mai tale se rimarrà nelle mani di ceti politici immutabili, gruppi di potere, burocrazie statali, oligopoli collusivi, corporazioni infinite. Le elezioni politiche e quelle provinciali vanno affrontate con questa consapevolezza, che esiste uno spartiacque non solo tra destra e centrosinistra ma anche rispetto all'idea di stato e di autonomia. E il Partito Democratico dovrebbe scommettere su questo e saldare la cultura dell'autonomia con la cultura riformista.
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