E ora più meritocrazia nel pubblico

Le aree pre-alpine e alpine sono state da sempre le più soggette ai rischi insiti nelle colonizzazioni forzate spinte dalle concezioni imperialiste succedutesi.
Alessandro Olivi, "L'Adige", 1 agosto 2012

Colonizzazioni linguistiche e politiche tendenti all’omologazione della popolazione che si sono scontrate con usi e costumi montani messi a punto con l’esperienza maturata nei secoli per adattare gli stili di vita degli abitati ai tempi rurali di un territorio ostico e, a seconda delle annate, persino avaro. Il cum operare per superare gli ostacoli naturali e umani, il darsi delle regole per stabilire l’equità fra i membri delle comunità, il rispettare i ruoli sociali, erano e sono tuttora gli elementi catalizzanti di una sana coesione sociale. Il coesistere pacificamente, coniugando il “far da sé” allo spirito solidaristico, fra le nostre montagne si perfezionò dall’adozione di sistemi economici semplici, miranti alla pura autosufficienza, a quelli complessi, fra cui spiccò, per l’indole intrisa di credo popolare guidata da personaggi illuminati del clero e del laicato ottocentesco, quello della cooperazione di stampo cristiano-sociale, scelto come terza via fra il capitalismo e il collettivismo.
Un sistema economico che per sua natura rafforzò la democrazia partecipativa di un autogoverno attento ai bisogni dei soggetti più deboli della società. La richiesta insistente di autonomia amministrativa varca i secoli per approdare al riconoscimento oggi scolpito nella Costituzione.
Utilizzando le prerogative dell’autonomia speciale il popolo trentino è riuscito in poco più di sessant’anni a portare il reddito procapite, che partiva sotto la soglia di qualsiasi città della Calabria, ad uno dei più elevati d’Italia.
E questo non perché siamo semplicemente fra le “terre alte”, né per finte regalìe da Piano Marschall, né per privilegi concessi dalla Corte, ma perché la costituzione materiale dell’autonomia è stata scritta con la fatica, l’operosità dei trentini ed il buon governo della Comunità.
Se di specificità e di identità bisogna parlare è imprescindibile partire da queste considerazioni basilari che ne cementano il marco.
Questa specialità dunque è insieme la cifra politico-culturale e la condizione di agibilità di un modello di autogoverno che vuole realizzare quell’idea di una Repubblica fondata sulle Autonomie perché fa propria un’idea di società meno verticale, meno dipendente da un’economia eterodiretta dalla finanza dove a pagare il prezzo dell’omologazione sono sempre le fasce più deboli della popolazione. L’Italia sta attraversando una fase di drammatica recessione economica che certamente impone uno sforzo straordinario di risanamento della finanza pubblica rispetto al quale il Trentino deve fare la sua parte. Per questo sono contrario a qualsiasi forma di facile ma controproducente difesa dogmatica e conservativa dello status quo imponendosi anche per la comunità trentina il responsabile compimento di cambiamenti che per altro abbiamo già avviato.
Ma se il nostro Paese oggi paga il prezzo di un dissesto finanziario causato da politiche pubbliche dissennate che hanno aggravato via via il debito deprimendo la competitività della nostra economia la colpa non è indistintamente di tutti! C’è chi ha governato bene e chi meno. Pensare di ricostruire le fondamenta di un paese moderno e competitivo che abbia pieno domicilio in un’Europa più unita e politicamente forte attraverso un’operazione di standardizzazione dell’impianto istituzionale è un grave errore. Con i tagli orizzontali e la proposizione di un modello centralista si rischia di indebolire la parte più sana e produttiva dell’Italia.
Lo Stato dovrebbe invece intravedere in un sistema che valorizza le Autonomie, un laboratorio per elevare gli standard qualitativi del Sistema Paese. Se il richiamo all’identità e alla specialità autonomistica può spaventare i “globocrati” ciò non dovrebbe valere per i buoni amministratori statali i quali dall’esperienza dell’esercizio virtuoso dell’autogoverno dovrebbero trarre spunto per proporre un nuovo patto per uscire dalla crisi e soprattutto ricostruire un futuro di maggiore equità, oggi drammaticamente pregiudicata dal protagonismo della speculazione finanziaria. Un patto che si fondi sulla preventiva definizione di alcuni standard prestazionali nell’impiego delle risorse pubbliche, sulla capacità di verificare il rispetto degli stessi e sul conseguente riconoscimento di una sorta di premialità a chi dimostra di saper raggiungere gli obiettivi. Questo si tradurrebbe in una sfida anche per le Autonomie e per il Trentino.
Efficienza della Pubblica Amministrazione, produttività delle imprese, tasso di occupazione e qualità del lavoro, welfare inclusivo e sostenibile, dovrebbero essere i parametri attraverso i quali misurare il contributo di ogni Comunità alla costruzione di un paese “più giusto”, in una sorta di confronto meritocratico. Questo significherebbe anche per il Trentino uno stimolo a migliorare la qualità delle proprie politiche senza coltivare alcuna rendita di posizione ma valorizzando il capitale sociale accumulato dalla cui dissipazione nulla ricaverebbe di buono il governo centrale.