Gentile Direttore,prendo spunto dalla lettera delle professioniste Agostini e Bressanini, che sottolineano come sarebbe opportuno che, in primis, le donne iniziassero a trasformare e attualizzare l'uso della lingua italiana, declinandola adeguatamente e correttamente al femminile. Margherita Cogo, "L'Adige", 28 luglio 2012
Vorrei fare una semplice premessa e cioè che l'italiano è una lingua viva e come tale subisce dei cambiamenti, che tengono conto delle trasformazioni della società che la utilizza.I neologismi, infatti, altro non sono che nuove parole, che, utilizzate costantemente nella lingua corrente, vengono ufficialmente introdotte nel vocabolario (ad esempio, il termine «paparazzo» cfr Devoto Oli è un sostantivo maschile che indica un fotoreporter intraprendente, introdotto nel vocabolario dopo il film «La Dolce Vita» di F. Fellini); oppure tante parole straniere, che ormai sono a pieno titolo appartenenti alla nostra lingua (come, ad esempio, computer cfr Devoto Oli che è un sostantivo inglese, che in italiano è divenuto un sostantivo maschile). C'è poi da fare un'ulteriore premessa, e cioè che la grammatica della lingua italiana è frutto della cultura e della tradizione di un popolo, in un particolare momento storico, che vedeva le donne decisamente subalterne agli uomini, sia politicamente, come pure economicamente ed anche culturalmente.A dimostrazione di ciò faccio un solo esempio: se si stila un lungo elenco costituito da 100 sostantivi, di cui 1 solo è maschile e gli altri 99 femminili, l'aggettivo che si aggiunge per chiarire la qualità dei sostantivi stessi deve essere concordato al maschile! Questo è l'esempio classico che chiarisce come nella schiera dei linguisti vi fosse una chiara predominanza del genere e della mentalità maschile.Venendo poi, in particolare, ai termini che vengono considerati «cacofonici e arbitrari» se declinati al femminile, il problema è tutto nostro, che non siamo abituati ad usare queste parole e, secondo l'Accademia della Crusca, poiché l'italiano non ha genere neutro, è corretto concordare al femminile il nome di cariche pubbliche finora ricoperte da maschi.Quando nel '93 divenni sindaca di Tione non vi fu scandalo quando usai tale termine al femminile, e nemmeno quando, da Presidente della Regione, non storpiai il termine, ma aggiunsi semplicemente l'articolo femminile ed ancora quando, da Vicepresidente, svolsi la stessa operazione, non rendendo né ridicoli né cacofonici i termini «la Presidente» e «la Vicepresidente». È del tutto evidente che se vogliamo ridicolizzare i termini che usiamo, è impresa molto semplice!Non nascondo che il problema è anche femminile, non è insolito incontrare donne che, rivestendo ruoli importanti ad egemonia maschile, rifiutino la declinazione al femminile del titolo, quasi considerandolo una diminuzione della funzione stessa.Comunque, ascoltando il suggerimento di molti sull'opportunità di utilizzare il vocabolario, consultando il Devoto Oli del 2010, al termine «sindaco» si legge che è un sostantivo maschile e che non è comune il femminile con a, quindi la sindaca è grammaticalmente corretto.È esemplare e significativo leggere l'edizione del 1971 del Devoto Oli, quando il termine sindaco compariva solo al maschile e dunque, se negli ultimi decenni non vi fossero state molte donne a ricoprire il ruolo di sindaca, la grammatica non avrebbe subito alcun cambiamento. Ci vuole, dunque, la volontà di adeguare il nostro linguaggio al nuovo ruolo di donne e uomini nella nostra società.
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