Olivi: nessun dietrofront. E le nuove attività sopra i 1.500 mq dovranno passare per la “Valutazione integrata territoriale». "Se prima eravamo molto severi nei centri storici, ora lo saremo molto di più nel disciplinare il commercio al di fuori di questi"."Trentino", 29 luglio 2012
TRENTO. Prendete nota di questa sigla: Vit. Sta per “Valutazione integrata territoriale” e promette di diventare presto un termine con cui le cronache dovranno confrontarsi. Anche nell’ottica di sicure polemiche, un po’ come la Via per quanto riguarda l’impatto ambientale. Di che cosa si tratta? Al momento tutto è solo ancora sulla carta, ma il nuovo disegno di legge della giunta provinciale che andrà a regolamentare il commercio lA cita, rinviandovi a proposito delle future attività di dimensioni superiore ai 1.500 metri quadri. In sostanza sarà un organismo a disposizione delle Comunità di valle, cui il provvedimento affida la potestà in materia, che avrà il compito di analizzare le richieste di nuove aperture. Il che avverrà sulla base di considerazioni stringenti relative a parcheggi, viabilità, spazi a disposizione, altre attività nei pressi e così via. Ma ovviamente, una volta superato questo passaggio, ce ne sarà un altro, a livello provinciale, attraverso l’approvazione delle relative varianti urbanistiche: pur cancellando i vecchi paletti dei “contingenti” e delle soglie dimensionali, con la Provincia a distribuire a Comuni e Comunità le “dotazioni” di spazi per il commercio, Piazza Dante non resterà insomma al di fuori dei processi decisionali.
Ci tiene, l’assessore Alessandro Olivi, a spiegare che le nuove decisioni della giunta non vanno lette come un dietrofront. Non fosse altro perché in materia di orari, ciò che più aveva fatto discutere nei mesi scorsi, Trento non intende cambiare rotta. E dunque resta valido l’annuncio di un ricorso alla Corte costituzionale contro il decreto “Salva Italia” dello scorso novembre, che all’articolo 31 aveva di fatto completamente liberalizzato il settore. E sull’altro fronte su cui incideva il provvedimento del governo Monti, vale a dire la “deprogrammazione” (nel senso della facilitazione delle procedure autorizzative per l’apertura di nuova attività), la mossa della Provincia muove da una base precisa: uno studio affidato nei mesi scorsi al Politecnico di Torino e già nelle mani di Olivi. Illustrato nei giorni scorsi al Consiglio delle autonomie, afferma in sostanza che il modello fin qui seguito dei “contingenti” ai Comuni non regge più. Perché in molti casi, sulle autorizzazioni concesse, si innestavano logiche per così dire “cementizie”. Con il commercio, spiega Olivi, usato in sostanza come cavallo di Troia per altri fini: e fa l’esempio dei 10 mila metri quadri concessi a Mori ad appena 4 chilometri dal Millennium di Rovereto.
Lo studio era peraltro stato commissionato prima dell’entrata in vigore del “Salva Italia” e delle schermaglie Trento-Roma sugli orari. Decreto che lega comunque i nuovi insediamenti commerciali al rispetto di precisi criteri ambientali, urbanistici e, appunto, relativi alla compatibilità delle attività commerciali con il tessuto preesistente. Cioè gli ipotetici flussi prodotti. Con i privati che dovranno dunque presentare precise analisi di prospettiva. «Non abbiamo fatto altro che adeguare il Trentino all’evoluzione dello scenario nazionale - spiega Olivi - il che non significa affatto che la Provincia abdichi rispetto ai processi decisionali in materia». Che, secondo l’assessore, devono comunque continuare ad avvenire in una cornice di principi generali che poggiano sulla qualità del commercio. In altre parole: «Se prima eravamo molto severi nei centri storici, ora lo saremo molto di più nel disciplinare il commercio fuori da questi». Perché lo studio del Politecnico, che nei prossimi giorni sarà presentato nei dettagli, indica proprio nella liberalizzazione del commercio nei centri storici un forte elemento di incentivazione per tutte le attività che vi operano, e in grado più in generale di aumentare la loro attrattività. Senza considerare i vantaggi indiretti derivanti dal recupero di patrimoni edilizi altrimenti inutilizzati.
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