Tonini: pronti a rinunciare ai 9/10

La proposta del senatore del Pd: inutile continuare a inseguire il governo, la crisi ci deve imporre scelte drastiche.
"Trentino", 29 luglio 2013

TRENTO. Il ragionamento è quasi obbligato. E, in fondo, addirittura banale. Più o meno suona così: ha senso, ogni giorno, correre dietro a questo o quello provvedimento del governo per cercare di metterci una pezza in extremis, il più delle volte passando per i soliti “egoisti” e, comunque, raramente ottenendo il risultato che ci si era prefissi? È utile continuare a schermarsi con il totem dell’Accordo di Milano per sostenere che certo, le Province non si tirano indietro di fronte alla necessità di partecipare al risanamento della finanza pubblica, ma che in sostanza Trento e Bolzano hanno già dato? Ma soprattutto: di fronte a una crisi finanziaria che non sembra conoscere tregua, che potrebbe durare ancora a lungo con conseguenze al momento non pienamente pronosticabili (e chissà, magari catastrofiche), è giusto continuare a fare riferimento alle norme sui rapporti finanziari tra Roma e le autonomie contenute nello Statuto? Non sarebbe invece il caso di ridiscuterle, quelle norme, di rivedere articoli, commi e soprattutto cifre? Detta più chiaramente: quella dei 9/10 delle risorse fiscali prodotte dal territorio trentino, e che qui poi tornano, è una quota tabù ieri, oggi e per sempre? Oppure, in tempi di recessione incalzante e di spending review che mai appare sufficiente, quella cifra va invece rivista (e ovviamente al ribasso) per poi ripartire da lì nel ridisegnare in toto la specialità trentina?

A chiederselo è il senatore del Pd Giorgio Tonini. Lo fa dopo l’approvazione da parte della Commissione bilancio della cosiddetta “clausola di salvaguardia” delle autonomie, emendamento al decreto governativo sulla spending review che domani, quando il testo passerà all’aula, verrà inserito nel maxiemendamento dell’esecutivo. Senza però contenere, contrariamente a quanto richiesto dai parlamentari locali, alcun riferimento all’Accordo di Milano che a fine 2009 (vedi a fianco) già aveva fissato i termini dell’apporto delle Province al riassesto dei conti pubblici. Monti sul decreto domani porrà la fiducia, che Tonini voterà con convinzione, «senza se e senza ma, a maggior ragione dopo l’ok alla clausola di salvaguardia, che sancisce l’ennesimo riconoscimento di come i contributi delle autonomie speciali al risanamento dello Stato vadano resi nel rispetto delle norme costituzionalmente previste». Ma l’esclusione di rimandi all’Accordo di Milano per Tonini è una sorta di punto di non ritorno. Tanto da fargli affermare, testualmente, che l’Accordo «nei suoi equilibri finanziari è superato e va rivisto, poiché era stato sottoscritto prima del pieno avvento della crisi: oggi il contesto è troppo diverso da allora e, pur sempre attraverso il medesimo metodo pattizio, i contenuti non sono più al passo con i tempi. E per questo vanno aggiornati».

L’analisi di Tonini è stringente: parte dalla constatazione che Stato e Provincia chiedono a loro stessi sempre di più in termini di risparmi. Mentre su tutto incombe l’obbligo del pareggio di bilancio nel 2013, impegno su cui a sua volta pesano i costi degli interessi sul debito pubblico, pari al 10% della spesa. Per non parlare del “fiscal compact”, il Patto di bilancio dell’Unione europea che a sua volta comporta per l’Italia la riduzione dell’eccedenza del debito di 1/20, pari in questo caso a 50 miliardi di euro l’anno. «Un’impresa titanica cui deve partecipare tutto il Paese - commenta Tonini - nessuno capirebbe come due Province ricche come Trento e Bolzano possano chiedere di esserne esentate». Né peraltro lo fanno, aggiunge, «poiché si limitano invece a chiedere di poterlo fare, legittimamente, sulla base di proprie scelte». Comunque sia, secondo Tonini tutto questo di fatto rende superato l’Accordo di Milano. «E i casi sono due: o continuiamo a rincorrere il governo e suoi colpi di mano, oppure dobbiamo cercare di ritrovare il filo del metodo pattizio. Del resto lo stesso Statuto prevede procedure semplificate per la modifica delle norme finanziarie: se c’è intesa non è necessaria una legge costituzionale, basta quella ordinaria». Possibile farlo entro fine legislatura? Più probabile che il tema alla fine passerà in eredità al nuovo Parlamento (e di pari passo al futuro Consiglio provinciale). Il punto comunque è chiaro: «Gli accordi vanno rivisti, compresa la norma sui 9/10, che in questa fase secondo me non è più realistica, un domani chissà - conclude il senatore del Pd - la realtà è che già ora la Provincia dà allo Stato molto più del decimo che dovrebbe: quindi, invece che cercare ogni volta vie traverse, con dubbi risultati, meglio rinegoziare il tutto per vie dritte».

Il tema dunque c’è. E Claudio Molinari che in questi giorni ha “presidiato” minuto per minuto la Commissione bilancio, non si sottrae al confronto. Anche perché, spiega, «che l’Accordo di Milano avesse scarso fondamento giuridico io l’ho detto fin dall’inizio». Ma alle estreme conseguenze di Tonini, che pure Molinari non vede negativamente, il senatore dell’Api preferisce arrivare attraverso un’altra strada: quella che passa per la considerazione di come, in questi decenni, le Regioni a Statuto speciale abbiano intrapreso percorsi diversi. Lo spiegherà domani in aula, dove voterà sì alla fiducia, ma solo dopo essere intervenuto per sostenere «l’assoluta necessità di una revisione complessiva dei rapporti tra Stato e autonomie». Spiega Molinari che l’eliminazione, dall’emendamento sulla clausola di salvaguardia, dei riferimenti all’Accordo di Milano, «non ha origine dal governo, ma è invece frutto delle manovre di chi, come la Sicilia, nulla ha dato in termini di compartecipazione al risanamento dello Stato». E si tratta di una regione le cui decine di parlamentari hanno una forza d’urto senz’altro maggiore di quella di Molinari e soci. La lettera comune e Monti di Trento, Bolzano, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia va letta proprio in questa chiave: il primo passo di una riflessione sulla diversa evoluzione, dal 1948 ad oggi, delle autonomie speciali. Ma se si vuole riaprire la partita finanziaria, sostiene Molinari, non deve trattarsi di un semplice do ut des: «Lo si deve fare chiedendo al governo: riconosci le ragioni costituzionali della nostra autonomia? Se sì, devi porre fine all’opera di smantellamento. E questa premessa è infinitamente più importante di 100 milioni di euro in più o in meno».