Che cosa significa “cultura della pace”? Il Trentino, nell’ormai lontano 1991, ci ha fatto una legge (la LP n.11/91) che s’intitola proprio così: “Promozione e diffusione della cultura della pace”. Con questa legge i legislatori intendevano affermare che la pace non la si afferma solo in opposizione alla guerra, quando si avverte il sordo stridore delle armi, ma in tempo di pace, se così si può dire in questo villaggio globale dove la guerra è una presenza costante fino a diventare normalità.Michele Nardelli, 16 luglio 2012
La pace come prevenzione della degenerazione violenta dei conflitti, per un approccio nonviolento nella gestione degli stessi. La pace come studio ed elaborazione dei conflitti, se vogliamo imparare qualcosa dalla storia ed evitare che le tragedie del Novecento si ripetino all’infinito. La pace come analisi dei lati inconfessabili della natura umana. La pace come attenzione e dialogo verso ogni diversità, perché le identità sono il prodotto dell’incontro e sempre in divenire. La pace nell’equità e nella sostenibilità delle scelte che andiamo a compiere, nella consapevolezza del carattere limitato delle risorse.
La pace non è dunque qualcosa per le “anime belle”, investe le scelte di fondo, quegli stili di vita che qualcuno ritiene "non negoziabili", facendoci pericolosamente avvicinare al baratro di una guerra di tutti contro tutti. Quella del petrolio l'abbiamo già conosciuta, quella dell'acqua è in corso, così come quella per la terra, bene limitato se pensiamo che fra non molto saremo in 9 miliardi di esseri umani sul pianeta.
Dalla percezione sempre più diffusa dell'insostenibilità del nostro modello di sviluppo, nasce la paura. Paura di dover fare posto a qualcun altro che oggi non ce l'ha, paura verso l'altro da te, del diverso...
La paura può essere affrontata cercando soluzioni ai problemi, oppure cavalcata per ricercare facile consenso. La richiesta di armarsi nasce qui. E devo dire che la militarizzazione dei corpi di polizia locale è una risposta accondiscendente verso questa paura. Quest’ultima non va nemmeno esorcizzata: quando la paura c’è questa va riconosciuta, presa per mano, elaborata. Non è poi affatto casuale che la paura si acuisca in un contesto di solitudine, personale e sociale. La politica, le istituzioni, dovrebbero servire proprio a questo, “a dire al prossimo tuo che non è solo” come ebbe a scrivere Massimo Cacciari qualche anno fa.
La risposta delle armi è semplicemente una sconfitta della politica. La sicurezza delle nostre comunità si chiama coesione sociale, accoglienza, cittadinanza nel rispetto dei diritti e dei doveri di ogni persona, solidarietà, investire nelle relazioni, quelle con mondi tanto lontani e così vicini come quelle dentro le porte di casa nostra. Nella capacità di affrontare i conflitti e di farli evolvere in maniera virtuosa. Insomma, investendo sulla cultura della pace.
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