Il pubblico da salvare

Ho letto e apprezzato il coraggioso editoriale di Francesco Terreri sulla «spending review»: di questi tempi, dove al centro dell'attenzione sembra esserci esclusivamente la questione dei tagli alla spesa pubblica, parlare di politiche economiche, di intervento pubblico in economia, di incentivi alle imprese, è un'iniziativa controcorrente ed estremamente audace.
Bruno Dorigatti, "L'Adige", 12 luglio 2012

Leggere quelle riflessioni è stato come prendere una bella boccata d'aria, nel clima soffocante che respiriamo oggi: perché è vero che, come afferma Terreri, in questa notte senza luna non si riesce più a distinguere l'investimento dallo spreco, gli strumenti efficaci da quelli inutili e dispendiosi.
Ma fare i distinguo, ora più che mai, non è una raffinatezza senza senso: al contrario, è un passaggio fondamentale per capire come orientare l'azione di governo, a livello locale, nazionale ed europeo.
Io credo che sia indubbio che la spesa pubblica vada messa sotto controllo, che gli sprechi vadano eliminati, che i costi della politica vadano diminuiti. Ma attenzione, non per questo va messo in discussione il ruolo del pubblico nel sostegno e nel rilancio dell'economia: e in molti punti, par di capire, la spending review va proprio in questa direzione. In tempo di crisi, però, tagliare gli investimenti pubblici può essere devastante. Keynes proprio durante la Grande Crisi del '29 in una lettera a Roosevelt scrisse: «Il momento giusto per l'austerità è l'espansione, non la recessione».
Questa crisi, lo dimostrano i numeri, si fa sempre più profonda, anche a  causa delle politiche di austerità e di tagli alla spesa pubblica e sociale. Il modello liberista, che sta alla base dell'attuale catastrofe, ha ormai dimostrato nei fatti il suo fallimento e se il Trentino, fino ad ora, ha risentito meno della crisi che stiamo attraversando, è proprio perché la struttura pubblica non è stata del tutto sfasciata. Per contro, dove ci sono state privatizzazioni, dove si è fatto ricorso alle presunte capacità terapeutiche del mercato, si sono avuti solo maggiori aggravi del costo dei servizi per i cittadini. Lo dico senza paura: il debito pubblico, anche qui da noi, non può diventare un'ossessione ideologica. Gli sprechi sono sprechi e nulla hanno a che fare con la spesa pubblica intesa come sostegno all'occupazione e stimolo alla domanda, il cui calo, assieme alla speculazione finanziaria, sta alla radice di questo momento drammatico.
Privatizzare o semplicemente sciogliere le società pubbliche, senza valutarne il ruolo e l'efficienza, è del tutto privo di senso. In Trentino le società della Provincia non sono nate per caso, ma quasi sempre per supplire, da parte del pubblico, a incapacità, inefficienze o mancanza di interesse del settore privato, in un territorio difficile come il nostro. Tra l'altro si parla di aziende che danno lavoro, e lavoro qualificato anche dal punto di vista del reddito. E di lavoro buono da tutti i punti di vista, quindi anche sicuro, abbiamo bisogno più del pane per uscire da questa crisi. I diritti dei lavoratori, in Italia in particolar modo, sono arretrati in modo drammatico e si è assistito ad un progressivo impoverimento delle classi lavoratrici.
 Negli ultimi venticinque anni nella Ue sono stati spostati 8 punti di Pil dal lavoro alle rendite finanziarie. Ciò significa, secondo l'Ocse, che ogni anno, negli ultimi 20 anni, nei Paesi dell'Unione 120 miliardi di euro sono stati dirottati dai salari alle rendite sui capitali. Insomma, le premesse per l'esplosione dei conflitti sociali ci sono tutte e, se non si cambia rotta, l'inevitabile crescita della disoccupazione farà da detonatore ad una miscela esplosiva.
Noi potremmo tagliare fin che vogliamo, dalla spesa sanitaria a quella per l'educazione, ma fino a quando non si taglieranno gli artigli alla speculazione finanziaria e non si rimetterà ordine nel caos folle della finanza, non ne usciremo. Una famiglia in mano agli usurai può ridursi anche alla fame ma non ce la farà mai a pagare i debiti. L'unico modo per liberarsi è quello di fare arrestare l'usuraio. Per questo mi appello a chi intende ragionare al di là degli schemi ormai consunti, per costruire insieme una linea comune di difesa dell'Autonomia. Autonomia che offra un esempio di come un'economia non completamente in mano ai «mercati» possa rappresentare una speranza per uscire da questa crisi, sempre più epocale, sempre più simile a quella del '29. Perché oggi come allora rischiamo di rimanere schiavi di un'ideologia fallimentare che ci porterà nel baratro.