Ad Alessandro Olivi non è piaciuta per niente la fuga in avanti del Comune di Trento verso la liberalizzazione degli orari dei negozi.«Ma se scrivete che ho da ridire sulla loro scelta, mi arrabbio», spiega l'assessore provinciale al commercio. Del resto, non potrebbe arrabbiarsi, perché le aperture giornaliere extralarge e le domeniche a serrande alzate dieci mesi all'anno, sono cose che la «sua» legge provinciale sul commercio prevede ampiamente.L. Pontalti, "L'Adige", 14 giugno 2012
Perché allora Olivi si è arrabbiato? Anzi, no, altrimenti si arrabbia: perché ci è rimasto male? Per una questione di metodo. Non l'ha presa con filosofia, perché se la prende proprio con la filosofia.Quella che sta dietro la scelta degli inquilini di palazzo Thun. Colpevoli di aver agito in tutta fretta e da soli nella convinzione di dover sfruttare le aperture romane del decreto Monti (il termine per adeguarsi al quale scade a fine mese) temendo che presto venga sancita l'incostituzionalità della norma provinciale («tutta da vedere, ma fino alla pronuncia si applica la norma provinciale su cui nessuno può dire niente», annota fiducioso Olivi), e non per sfruttare lo spirito trentino della riforma Olivi.Sottigliezze? Che possano sembrare tali a prima vista, lo ha ammesso lo stesso assessore, nel corso della conferenza stampa appositamente convocata ieri pomeriggio: «Nella sostanza le norme, quella della Provincia e quella del governo, sono simili. Molto simili. Ma è nella forma, nella teoria ispiratrice che sono profondamente diverse».Il discorso è tutto politico: la Provincia bacchetta il Comune perché ha fatto qualcosa che piazza Dante stessa gli permette di fare, ma dicendo che lo fa perché glielo lascia fare Roma.E la cosa non va bene, perché «il cambiamento degli orari delle attività commerciali va concordato tra le varie amministrazioni, e tra le parti sociali. Fare tutto da soli, non va bene», prosegue Olivi, che invita tutti i municipi, «assieme alle categorie economiche e sindacali a non intraprendere ognuna un percorso individuale, ma a privilegiare, soprattutto in questo momento, una azione unitaria».Sullo sfondo c'è la lotta proprio contro Roma, con il governo accusato di una autentica invasione di campo «in una materia come quella del commercio la cui competenza primaria è in capo alle regioni. Non è un puntiglio di una provincia autonoma: sulle nostre posizioni ci sono anche regioni ordinarie, dal Piemonte alla Lombardia al Veneto alla Toscana. Il governo non può imporsi in una materia come questa e se ne parlerà domani (oggi, ndr) proprio nella capitale al tavolo di coordinamento della Commissione attività produttive della Conferenza Stato - Regioni. Abbiamo anche chiesto in merito un parere a un costituzionalista di chiara fama come Valerio Onida, che sostiene le nostre ragioni. I risultati della sua analisi verranno resi noti il 20 giugno durante l'incontro che avremo con parti sociali, categorie e sindaci dei maggiori Comuni trentini».Ai quali Olivi chiederà di ragionare tutti assieme sulle potenzialità offerte dalla legge provinciale sul commercio «che a differenza di quella del decreto Monti non è strutturata solo su paletti dimensionali, ma su molto altro. Per permettere a tutti i comuni di dare spazi alle proprie realtà coordinandosi per crescere, ma tutti assieme. Fare da soli sacrificando il gioco di squadra sarebbe schizofrenico».Gli schizofrenici, tuttavia non ci stanno: nel pomeriggio, a stretto giro di posta elettronica è arrivata la replica al comunicato di piazza Dante, in cui l'amministrazione del capoluogo si dice «stupita dalle dichiarazioni di Olivi: il Comune di Trento ha avviato un percorso di confronto ampio e la scelta di adeguarsi alla normativa nazionale (l'odiata Roma) è stata comunicata alla Provincia il 24 maggio scorso», chiedendole nel contempo «come intendesse adeguarsi alle citate ordinanze. Non essendoci pervenuta dalla Provincia alcuna risposta, l'amministrazione comunale ha individuato la strada da percorrere nell'avvio, come detto, di un confronto articolato per garantire l'applicazione della normativa nazionale».
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