Almeno due lezioni possiamo ricavare dall'appuntamento elettorale che, nello scorso fine settimana, ha interessato più d'un paese europeo. La prima: che chi governa solo con la calcolatrice può forse raddrizzare i bilanci, ma non è detto che sappia dare prospettive a un Paese. La seconda: che i cittadini sono del tutto insoddisfatti di chi li ha governati negli ultimi anni. Alessandro Andreatta, "L'Adige", 9 maggio 2012
Lo sono i francesi come i greci, gli abitanti dello Schleswig-Holstein come quelli della Brianza. Cresce la protesta, dunque. Cresce anche l'inquietudine, visto l'affermarsi - sulle sponde dell'Egeo come Oltralpe - di partiti xenofobi e nostalgici (in Grecia) addirittura dei misfatti dei famigerati colonnelli.E da noi che succederà? Le elezioni provinciali sono dietro l'angolo e, sebbene talvolta qualcuno affermi che la bolla del benessere della nostra autonomia continuerà a volare alto, io credo che il Trentino sarà costretto a consistenti cambiamenti, che dovranno prevedere anche la riorganizzazione ancora più decisa della spesa pubblica. Da questo punto di vista, credo che l'analisi che il direttore Pierangelo Giovanetti ha condotto nell'editoriale pubblicato sull'Adige di domenica sia ineccepibile. Non è più possibile vivere al di sopra delle proprie possibilità, né investire sul superfluo o pretendere che «autonomia» sia la parola magica che garantisce a chi abita a nord di Borghetto un trattamento privilegiato. In altri termini, occorre - come ha scritto Giovanetti - «procedere a un percorso epocale di ridisegno della spesa pubblica, rivedendo le priorità dei bisogni». Non possiamo permettere che questa revisione della spesa ci venga imposta da Enrico Bondi, il commissario straordinario per i tagli: dobbiamo giocare d'anticipo, se vogliamo che i danni siano contenuti, che il modello trentino (indubbiamente di successo) si evolva senza però snaturarsi, diventi più maturo e non sia archiviato come archeologia.Penso all'esempio della Sardegna, che proprio domenica ha votato in massa per l'abolizione di quattro nuove province, istituite in modo irresponsabile e a fini puramente clientelari qualche anno fa. Non solo: i sardi si sono dichiarati favorevoli anche all'abolizione delle province storiche, ritenendo evidentemente che i Comuni e la Regione possano assolvere egregiamente le funzioni amministrative oggi in capo all'ente Provincia; vogliono abolire i consigli di amministrazione di tutti gli enti e le agenzie della Regione; chiedono di ridurre da 80 a 50 il numero dei consiglieri regionali.Insomma i sardi, autonomi come noi, hanno dato un bello scossone al sistema, disinnescando preventivamente qualcuna delle bombe disseminate dall'antipolitica.Si badi che a prendere l'iniziativa non è stato qualche pericoloso estremista, ma un movimento referendario ispirato da quel Mariotto Segni che, già all'inizio degli anni '90, promosse la consultazione che cambiò la legge elettorale nazionale da proporzionale in maggioritaria.Io credo che il centro sinistra autonomista trentino dovrebbe prendere esempio dai sardi e mettere in campo già da ora un progetto per aggiornare i nostri apparati e liberare risorse in grado di rafforzare il nostro welfare, consolidare la nostra economia, valorizzare il nostro ambiente. Occorre agire subito per elaborare una proposta credibile, praticabile, non demagogica, ma funzionale alla prosperità della provincia. È chiaro che insieme al progetto dovrà maturare anche la leadership che si farà garante della sua realizzazione. Come hanno dimostrato le presidenziali francesi, non credo servano effetti speciali per catturare consensi: servono piuttosto idee chiare, equilibrio, un forte senso etico. Oppure, per dirla con le parole usate ieri dall'antropologo Marc Augè per commentare la disfatta di Sarkozy, servono «sangue freddo, rigore e speranza».Se aspetteremo immobili il giro di boa del 2013, se continueremo a pensare che tanto in Trentino non cambia niente, che la nostra prosperità è inattaccabile, che chi ci critica ha sempre torto, rischiamo il dilagare di quell'antipolitica che qui non ha mai attecchito per una semplice ragione: per la capacità finora dimostrata dalla politica di ascoltare e intercettare i bisogni dei cittadini. Il compito, a dire il vero, era più facile in tempi di abbondanza di risorse. Dunque, chi prenderà il timone del Trentino avrà davanti una sfida ancora più difficile che in passato.Ma io credo che questo territorio saprà esprimere il progetto, la leadership migliore, la squadra all'altezza di questa grande responsabilità.
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Partito Democratico del Trentino