25 aprile, la modernità dei diritti

Per la seconda volta ho avuto l'onore di stare sul palco delle celebrazioni del 25 aprile, una grande emozione: condivido con voi il testo del mio intervento, nel quale ho cercato di proporre una riflessione sulla modernità dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Bruno Dorigatti, 26 aprile 2012

"Autorità, gentili ospiti, care cittadine e cari cittadini, care compagne e cari compagni.
sono molto orgoglioso di partecipare nuovamente a questa cerimonia:
ho infatti la convinzione di poter parlare ad un pubblico attento e sensibile, che non si aspetta parole retoriche, ma parole di speranza e di fiducia.
E' questa una preoccupazione per chi, come me, per tanti anni ha seguito dal pubblico la celebrazione del 25 aprile:
ma è nel contempo uno stimolo straordinario, per ritrovare assieme quella voglia di partecipazione indispensabile per poter cambiare l'attuale stato di cose.
Infatti, io credo che il 25 Aprile non possa ridursi ad essere un rito vuoto e stanco, destinato ad appagare la memoria di un sempre più piccolo gruppo di "Quelli che c'erano", perché questa data rappresenta la nostra storia nazionale, la definitiva caduta di una dittatura - quella fascista - e simboleggia la vicenda umana, ideale e politica di un'altra Italia: un'Italia che non fu solo nella gloriosa evidenza del Movimento Resistenziale, ma quella di tutti coloro che non si piegarono alla retorica oppressiva del fascismo. Il 25 Aprile deve raccontare a tutti noi - e alle nuove generazioni in particolar modo- il cammino quotidiano, spesso sconosciuto ed assolutamente faticoso, di tante persone che hanno cercato di salvare il salvabile della dignità e della storia di questo Paese: magari senza eroismi evidenti, ma con la capacità straordinaria di non lasciarsi abbagliare dall' "aria che tirava"; e quindi di respingere la tentazione di "marciare con la Storia"; ma di salvare quell'intelligenza critica che non si lascia sedurre dai belati del gregge, nemmeno quando questi sembrano i ruggiti dei leoni.
E' questa una grande storia di impegno civile che ho visto rinnovata nel gennaio di quest'anno, partecipando con centinaia di giovani trentini alla visita al campo di Auschwitz: un'esperienza che ha insegnato a tutti- e a me per primo- quanto importante sia tenere viva la partecipazione democratica e l'impegno per il bene comune, consapevoli che la democrazia non è un dato acquisito, ma un modello da rinnovare e riempire in continuazione di significato.
Negli ultimi anni abbiamo assistito al dilagare di confusione, volgarità, prepotenza, corruzione e sconcezze di ogni tipo, che hanno sommerso l' intero Paese, intaccandone l' immagine e minando la credibilità delle Istituzioni.
A fronte di tutto questo, abbiamo anche visto quanto sia forte la tentazione di lasciarsi andare ad un'indifferenza crescente: ed è questa stessa indifferenza che si prova- ormai da tempo- a mettere in soffitta il racconto della Resistenza e dell'antifascismo, rileggendo la Storia con il miope e colpevole sguardo dei revisionismi di diversa provenienza.
Negare e reinterpretare quelle pagine difficili ed amare la nostra vicenda collettiva significa attentare al cuore stesso della Costituzione repubblicana, che nasce dalla Resistenza e che è la spina dorsale di un civile "essere comunità", come sempre ci ricorda lucidamente il Presidente della Repubblica.
Si tratta di elementi che non si possono scindere, perché è dentro quel binomio che trae alimento la nostra stessa idea di democrazia e di sviluppo.
La Resistenza ha infatti impresso nella Carta fondamentale quei valori di umanità nuova, di speranza, di libertà e di dignità del lavoro sui quali si è andata costruendo l'ossatura di questo Paese.
Ed è questo "capitale" che non possiamo accettare che venga improvvisamente cancellato, in nome delle leggi del mercato e del profitto incontrollato.
Sono principi e diritti irrinunciabili e di straordinaria modernità e nel contempo- possono essere ancora il motore per affrontare le grandi sfide che ci attendono, partendo dal diritto al lavoro.
Rinnegare quella speranza di miglioramento delle condizioni di vita, quei principi di uguaglianza e libertà, in nome di una presunta modernità o di un vuoto richiamo al rinnovamento è un'operazione pericolosa e viscida.
Non esiste un "Nuovo" migliore che si crea cancellando diritti e dignità della gente che lavora.
Non esiste un "Nuovo" migliore dove i diritti sono un orpello di troppo, un ostacolo alla competizione. Questo "Nuovo" non è affatto nuovo, ma è vecchio; non è affatto moderno, ma al contrario ci riporta indietro nel tempo, a quando i diritti erano l'eccezione e l'arbitrarietà era la regola.
Per questo motivo va ripresa con forza l'azione della politica, nel suo senso più alto, quello di azione collettiva per il cambiamento: e i partiti, che dovrebbero essere i soggetti fondamentali di un sistema democratico, devono rinnovarsi, ritrovare la loro natura più pulita e sana, e riprendere il loro ruolo di portatori di interessi generali del Paese. Senza scorciatoie e ricette facili, perché la politica può cambiare solo all'interno di un radicale progetto di rinnovamento della società italiana:
un progetto che, se impone sacrifici alle lavoratrici e ai lavoratori, necessita di un grandissimo consenso e di una solida credibilità della politica: come diceva il compianto Enrico Berlinguer.
Il 25 Aprile allora trasmette ancora - e con tutta la sua potenza - la lezione forte della consapevolezza, della capacità di non mollare mai, di non scoraggiarsi e pertanto non basta più indignarsi.
Il 25 Aprile ci ricorda come tutto sia possibile e che si può reagire: ci ricorda che l'indifferenza è una tentazione sciocca e controproducente.
C'è sempre stata un'altra Italia rispetto a quella a cui ci stavamo abituando, allora come oggi.
E' l'Italia del 25 Aprile, l'Italia migliore della gente che lavora, l'Italia di cui ci sentiamo orgogliosamente parte".