L'intervento di Pier Luigi Bersani alla Direzione nazionale del PD

"Vorrei iniziare questa relazione con una premessa che, ai miei occhi, è importante. Al di là delle vicende di questi giorni, come quella del mercato del lavoro su cui tornerò, vorrei che scavassimo più a fondo e condividessimo un punto: il giudizio sulla situazione che abbiamo di fronte e sul suo punto cruciale."
Roma, 26 marzo 2012

Io credo che il punto sia questo: reggere la connessione tra il governo che abbiamo voluto e che sosteniamo lealmente, un governo la cui esigenza viene largamente riconosciuta nell’opinione pubblica, sia in ragione dell’emergenza sia come esigenza di cambio di passo dalla fase precedente, ed il malumore, l’ansia e la radicalizzazione di tantissimi cittadini davanti ad una crisi economica, sociale e di finanza pubblica ancora acutissima, lunga. Siamo di fronte a una recessione che, purtroppo, non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti e che viene e verrà aggravata da necessarie misure di risanamento che continueranno nei prossimi mesi. Una recessione, che è la più forte al paragone con gli atri importanti paesi europei.
Ecco noi, Partito Democratico, siamo i principali titolari e interpreti di questa difficile connessione, siamo nel mezzo di questo problema proprio perché siamo la forza più grande di questo paese, la più radicata e la più nazionale. È esattamente ciò che intendevo, scusate l’antipatica citazione, quando il giorno dell’insediamento del governo Monti dissi: ”Questo sarà il vero battesimo del Partito Democratico”. Oggi ribadisco il concetto così: nella larga opinione pubblica, anche in quella popolare, vivono assieme sia l’esigenza di non disturbare troppo il manovratore sia la sofferenza e l’insofferenza per le condizioni reali di occupazione, di reddito, di accesso ai servizi e di possibilità di avere uno sguardo sul futuro. A noi si chiede conto di questo, e sempre di più sarà così, penso, nelle prossime settimane.

Quindi noi ci stiamo prendendo responsabilità e rischi. Misuriamo e misureremo anche difficoltà di comprensione, sofferenza e qualche effetto di spaesamento nel nostro elettorato, che dunque deve avere chiaro quello che stiamo facendo. Non solo quello che faremo: non pensiamo, come dire, di scavalcare questa fase guardando al dopo. Qui c’è un “durante”. Aggiungo come corollario che, come tutti possono constatare, intorno a noi si muovono forze, e non solo dal lato della destra, che vedono in questa situazione un possibile varco per soluzioni di prospettiva che mettano al guinzaglio la politica. E’ una fase cioè in cui la politica dovrebbe pagare i costi senza poi avere, se vogliamo dire così, i ricavi. Ecco io credo che sia questo il tema. Chi non lo vede vuol dire che non vede il punto principale della questione.

Ecco allora il senso della premessa: se è vero che è questa la fase che attraversiamo, allora c’è bisogno che noi trasmettiamo saldezza, unità, determinazione, convinzione in noi stessi. Tenere ferma una linea che gestisca quel varco, che dia il senso della nostra posizione, che sappia far leggere i vincoli che vengono dalla necessaria transizione, dal disastro berlusconiano, e, assieme a questi vincoli, la comprensione, la vicinanza, l’iniziativa, sulla situazione reale del paese.

Dicevo mostrare e trasmettere sicurezza in un paese carico di ansia e di incertezza. La sicurezza di un partito che può dire la sua perché è il primo partito del paese, ha largamente vinto le elezioni amministrative scorse, ha dato una mano decisiva alla vittoria nel referendum, ha mandato o almeno ha contribuito a mandare a casa il governo Berlusconi e si mette nel solco di una possibile riscossa progressista europea ed italiana. Sottolineo questo perché voglio anche dire che lungo le settimane che vanno dall’ultima direzione ad oggi questa sicurezza non è emersa abbastanza. Questa sicurezza è stata spesso scalfita, indebolita. Da cosa? Primo: da fatti che nella realtà o nell’immaginario, nella verità o nella strategia di forze che sono variamente avverse a noi, mettono tutti nel mucchio e ci accomunano alle corruzioni, al malcostume al discredito della politica. Senza che, e comincio da me, non si alzi più forte la nostra voce. Dobbiamo essere pronti a provvedere, se ci sono problemi veri, ma tutti nel mucchio no.

Tutti nel mucchio no. Su questo dobbiamo avere una reazione più forte. Secondo: quella sicurezza ci è stata scalfita dal non avere avuto le condizioni politiche per mettere mano ad alcuni aspetti, anche strutturali, della nostra vita di partito e dei nostri meccanismi di partecipazione. Adesso basta: bisogna correggerli. Terzo: la sicurezza è stata scalfita anche da un costume politico immaturo, che non può essere ovviato con le regole e che mostra spesso l’assenza di univocità e di solidarietà fra noi. Le discussioni sono arrivate, qualche volta, addirittura a mettere in gioco il rispetto personale. Nei momenti difficili e cruciali e negli inciampi non si è colta l’occasione per rafforzare, ripeto nei giorni difficili o negli inciampi, le buone ragioni del partito, lasciando le discussioni al dopo. Piuttosto le discussioni sono state usate per dare luogo a visibilità, a un universale gioco dei posizionamenti. Non si dica che questo ci aiuta ad allargare le ali. Ce le tarpa.

Allora, adesso abbiamo davanti a noi alcune settimane cruciali: elezioni amministrative, appuntamenti politici europei, acutissime decisioni di governo e parlamentari. Qui ci giochiamo sia l’immediato sia la prospettiva. Questa è la premessa che volevo fare e dà il senso anche di questa relazione, dove ci sarà poco o nulla di analisi e non si parlerà di tutto, perché non credo sia tempo di eccessive divagazioni, ma dove si parlerà di decisioni responsabili. Io quindi cercherò di presentare proposizioni precise e leggibili su alcuni principali temi politici, in modo da essere certi della strada che dobbiamo prendere tutti assieme, in una solidarietà convinta. Sceglierò questi pochi punti sperando, ripeto, che venga fuori da questo confronto una direzione di marcia, sulla quale, esaurita la discussione, chiederò una conferma con un voto. Dico questo perché – e non so se lo vedo solo io questo punto - noi abbiamo in questa fase una responsabilità enorme verso l’Italia, verso gli italiani, verso tutti i progressisti europei, e non possiamo venire meno in nessun modo a questa responsabilità.

Primo punto di orientamento: il nostro profilo europeo. Noi dovremo nelle prossime settimane e mesi sviluppare iniziative in questa direzione e dobbiamo essere sicuri di noi. Non credo sia utile che ad ogni nostro passo in campo europeo, criticabile o meno che sia, si apra sulla stampa più vicina a noi, e quindi anche su quella più lontana, o nei gruppi dirigenti, un dibattito quasi ontologico, identitario, che evochi il dubbio su quello che siamo, producendo anche qui un messaggio di precarietà. Noi siamo il Pd e non c’è bisogno di descrivere un'altra volta quello che siamo. La nostra particolare identità e il nostro profilo indicano la nostra strada e cioè operare a livello internazionale ed europeo per la convergenza di progressisti e di democratici di diversa ispirazione per la costruzione di nuove case comuni a livello internazionale ed europeo. A livello internazionale noi abbiamo rapporti con tutti e proponiamo a tutti l’oltrepassamento delle antiche famiglie fondamentalmente eurocentriche. In Europa la formazione di un gruppo parlamentare dei socialisti e dei democratici va in quella direzione ed indica la strada anche per l’evoluzione dei rapporti fra i partiti. Nelle forme opportune noi allarghiamo la gamma delle nostre relazioni. Ad esempio con i Verdi tedeschi. Sentiamo e diciamo a chiare lettere che un vero europeismo progressista non può ispirarsi solo alle forze della sinistra europea, ma certamente da queste forze non può prescindere.

Ora, noi abbiamo lavorato per una piattaforma comune dei progressisti per chiudere il ciclo delle destre populiste, o condizionate dai populismi, e che hanno mandato l’Europa al disastro. È una piattaforma nettamente europeista, per un diverso intervento europeo nella crisi. Una piattaforma puntuale che riprende tantissimo di quello che abbiamo discusso noi e deliberato noi. Nei prossimi appuntamenti elettorali noi sappiamo, e non lo sappiamo solo noi, che collegare il cambiamento delle diverse dimensioni nazionali ad un credibile cambiamento europeo è una carta importantissima. Per questo cerchiamo di tenere collegate le prossime campagne elettorali, immaginando che, naturalmente, un eventuale successo dei progressisti in un paese possa aprire la strada o comunque facilitare la strada agli altri. Questi appuntamenti, intendiamoci, sono molto difficili, perché l’Europa è ancora in preda ad un ripiegamento, a elementi di spaesamento. Basta guardare a tutti gli appuntamenti elettorali. Anche in Francia è difficile, più di quel che sembri: è difficile per l’unico candidato che può contrastare una vittoria delle destre, Hollande, e che è sostenuto da un partito con cui siamo nel gruppo parlamentare europeo. Abbiamo piattaforme largamente coincidenti sui temi dell’intervento dell’Europa nella crisi, naturalmente non sovrapponibili. Noi, per esempio, nella concreta situazione italiana voteremo il fiscal compact ma se dicessimo che quel trattato è sufficiente o adeguato o risolutivo andremmo in contraddizione frontale con tutto quello che abbiamo detto o deliberato noi stessi fin qui. Quindi quel trattato ci vuole, ma non basta. L’Italia più di ogni paese sa che non basta. E lo sa drammaticamente. E deve saperlo anche un partito che si candida a governare per i prossimi anni. Credo che ciò che ho appena detto, più o meno all’essenziale, sia l’asse del nostro ragionamento. Se è così, allora lavoriamo su questo asse con coerenza, con rigore, perché su questo ragionamento ci guardano e ci leggono anche da fuori: noi siamo tra le più grandi forze progressiste europee e tutti in Europa devono sapere dove precisamente siamo e dove possono trovarci.

Secondo punto: il governo Monti. Noi abbiamo preso l’impegno a sostenerlo fino al 2013 e intendiamo mantenere questo impegno. Abbiamo compiuto un atto responsabile, generoso, e abbiamo fatto bene. Berlusconi non è più a Palazzo Chigi, il discredito mondiale è finito, le prospettive del default si sono allontanate ma c’è un prezzo da pagare all’eredità del governo di destra. C’è un prezzo da pagare sulla strada che ci allontana dal baratro. Un prezzo che stiamo pagando e che pagheremo a lungo nel pieno della crisi più grave del dopoguerra.

Quando dico crisi più grave mi riferisco al fatto che noi non abbiamo memoria di un numero così alto di piccole imprese che saltano, di una difficoltà così elevata a mantenere o a trovare il lavoro per gli ultra 55enni o per i giovani, mai un carico fiscale così pesante, mai una forbice di diseguaglianza così elevata, mai un calo così rilevante dei consumi, mai un calo così rilevante degli investimenti, pubblici e privati, e così via. Ecco la forbice che descrivevo prima tra l’esigenza riconosciuta di non disturbare quel manovratore che ha molte curve da affrontare, e tutti le vedono, e quel disagio montante, dicevo, che ci investe, che chiede conto a noi. E noi dobbiamo rispondere. Dobbiamo rispondere, dicevo, non solo su quello che faremo ma su quello che stiamo facendo oggi. Dobbiamo rispondere cominciando, io la vedo così, con due punti fermi politici che vi chiedo di condividere e di gestire con forza e univocità. Il primo: non si può cancellare la memoria. Monti non è venuto dopo i partiti, Monti è venuto dopo Berlusconi e i disastri di Berlusconi.

Noi non siamo usciti dalla fase di Berlusconi, siamo in transizione dalla fase di Berlusconi. Il Parlamento è quello che è, l’eredità è quella che è: un risveglio amaro dopo favole rosa. E quindi l’IMU che è arrivata e l’IVA che temo arriverà, e altrettante cose del genere, non cadono dal cielo, derivano dalla favola perseguita per anni dei conti a posto, della spesa sotto controllo ecc. Sono esattamente le bombe a orologeria che Berlusconi e Tremonti avevano messo e che noi avevamo denunciato. Quindi se c’è da dire qualche cosa a Monti possiamo farlo noi. PDL e Lega devono stare zitti, perché loro ci hanno portato fin qui, ed io invito a ripetere come una giaculatoria questa affermazione ovunque, perché c’è bisogno di ripeterla. C’è bisogno, perché la memoria è corta e c’è una destra che sta puntando sull’attenuazione e annebbiamento della memoria. Il secondo punto politico: non ci si attardi più per favore - non lo dico per il nostro dibattito qui, ma è un messaggio che vorrei rivolgere fuori - nel gioco stucchevole tra tecnica e politica. Immaginando possibili scenari per cui la politica possa essere messa al guinzaglio, magari per via tecnica. O anche senza questo. Magari solo per un vezzo, qualche volta sentiamo l’eco di questo gioco in certe affermazioni del governo, dintorni tecnici, politici, qualche volta anche in alcune nostre discussioni.

E’ un abbaglio, perché o i partiti e i tecnici reggono assieme, o ce la fanno assieme a convincere il paese, oppure si vedrà che sotto la pelle del paese c’è sufficiente materiale in fusione per dare la chance a nuovi protagonisti populisti e protestatari, di qualsiasi razza e genere, capaci di prendere a cazzotti sia i politici che i tecnici. Io credo che quello che c’è nel paese non corrisponde alla dialettica tra politici e tecnici, attenzione. E se ci si attarda su questo e non si vede il resto si rischia. Attenzione. Quello tra politica e tecnica è un battibecco da polli di Renzo. Allora, siccome vediamo questo, non sottovalutiamo la situazione. Noi sappiamo che è la politica, nei suoi rapporti sociali, territoriali, che deve poter reggere e sorreggere questo governo. E deve essere aiutata a farlo da un’attenta sensibilità del governo. Senza questo non sarà la buona grazia di qualche commentatore, nazionale o internazionale, in questi difficili mesi a garantire la tenuta, il risultato. Ed io devo dire qui che questa connessione profonda fra, diciamo, la fase tecnica e l’esigenza di tenuta politica c’è una persona che l’ha capita molto bene ed è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che io oggi, anche da qui, voglio ringraziare. Ora, fissati questi punti politici, ne deriva l’esigenza che in questa fase e nella piena lealtà al governo il Pd si segnali con una sua iniziativa incisiva, con una parola chiara e univoca su quelle questioni di saldatura. L’emergenza, la situazione economico sociale, la vita comune dei cittadini. Qui c’è da scegliere quale messaggio vogliamo fare uscire, anche da questa direzione. Io vorrei che emergesse da questa direzione soprattutto un’esigenza: quella di mettere un qualche argine alla recessione. Adesso.

Io credo che dobbiamo partire da lì, noi siamo pronti, nelle forme che si riterranno, che il governo riterrà, a discutere con il governo, con le altre forze politiche che lo sostengono, in Parlamento, e nella consapevolezza piena degli strettissimi limiti dell’azione possibile. Non siamo demagoghi. Tuttavia discutere un piano di intervento, questo sì urgente, che si occupi di alcune cose; come riselezionare gli investimenti pubblici, come modificare un po’ il patto di stabilità per immediati investimenti dei comuni, come trovare meccanismi per la circolazione di liquidità e i pagamenti, anche qui utilizzando i comuni.

E trovando una triangolazione con banche, con la Cassa depositi e prestiti. E ragionare di politiche industriali, ridare un orizzonte alle politiche industriali, a piani di efficienza energetica e vedere se c’è bisogno di un qualche strumento nuovo per le politiche industriali. Bisogna capire qual è la missione della Cassa depositi e prestiti, bisogna che ne discutiamo. C’è bisogno di un tavolo che cominci a mettere a fuoco il tema dei prezzi e delle tariffe nei settori regolamentati. Non si dica che non si può far niente. Il rincaro della benzina non va sottovalutato: è un elemento assolutamente pervasivo dei consumi e uno dei fattori fondamentali che porta al 4,5% l’inflazione del carrello della spesa. Si può fare l’accisa mobile, metterla sul tavolo e vedere con i petrolieri cosa ci mettono gli altri. E, infine, occorre verificare ogni margine per ridistribuire il carico fiscale a vantaggio di chi ha bisogno di consumare vedendo se c’è una qualche possibile alternativa, almeno parziale, all’aumento dell’IVA che si annuncia, che è un fatto delicatissimo.
Ecco io credo che sotto il titolo arginare la recessione, dare un po’ di lavoro, sollecitare un po’ di investimenti, senza pretendere miracoli ma senza stare fermi, ci sia il punto cruciale. Aggiungo a questo l’esigenza di far valere da parte di tutti quanti, senza far miracoli anche qui, un po’ di sensibilità sociale anche nel messaggio. Per esempio non c’è dubbio che si stia facendo qualcosa di positivo anche per il Sud. È vero. Però diciamo qualcosa all’Italia anche dal Sud. Pronunciamola questa parola visto che facciamo degli investimenti, per la scuola, per il Sud. Andiamo a dirlo, parliamo all’Italia anche da Napoli, da Palermo, dalla Puglia.

Sulla scuola e l’università abbiamo avuto un passaggio parlamentare non felice. Anche qui non si chiedono miracoli, ma almeno un segnale, anche muovendo risorse interne, bisogna darlo. Cambiamenti in questa direzione bisogna farli.
Sulle condizioni di povertà incombente, bisognerebbe aprire un tavolo con i comuni, vedere se lo sportello comunale riesce a rispondere, sia pure parzialmente, a fatti che preoccupano largamente. Ripeto senza miracoli ma con l’esigenza di dare dei segnali.

Ed eccoci qui al tema del mercato del lavoro. Su tutte queste partite, pensioni, lavoro e dintorni, aleggia un tema diciamo inespresso: quale modello sociale per il futuro? Cioè quale riforma del modello europeo? Dobbiamo sapere se c’è la possibilità di modificare il modello di welfare europeo o c’è bisogno di deregolarlo. Non c’è tempo qui di approfondire. Ma è il tema di fondo inespresso. Sono diverse settimane che dal di fuori cominciano ad individuare in casa nostra una faglia tettonica tra sociali e liberali (variamente chiamati). E non li sfiora la mente che noi siamo una sintesi di ingredienti. Dovrebbero guardare come il Pd si è comportato sul decreto liberalizzazioni e adesso sul mercato del lavoro. Noi abbiamo una certa idea di organizzazione della società che certamente discende da diverse ispirazioni e le mette a sintesi. Questa riprogettazione certamente non la si può chiedere ad un governo d’emergenza, ma noi dobbiamo tenere fermi i punti che ci consentono di portare avanti il nostro progetto di società, non questo o quel pezzo. E vedere di non pregiudicarlo.

Una drammatica e squilibrata eredità ci ha consegnato un sistema pensionistico molto costoso che ha sbilanciato il nostro welfare. Si è provveduto a una riforma organica che certamente può dare stabilità al sistema pensionistico. E’ una riforma inedita, sconosciuta in Europa, molto dura, organica, anche razionale, ma con un buco. Intanto con un deficit di assenza di gradualità e con un buco grave, che va colmato: parlo degli esodati. E’ un tema che va affrontato, il governo deve affrontarlo. Non è chiusa questa partita. Ma al di là del fatto in sé probabilmente c’è un problema strutturale, sistemico. Era meglio trovare un meccanismo di flessibilità in uscita, come avevamo indicato. Insomma, c’è un problema. Prima lo affrontiamo meglio è.
Detto questo una riforma di questo genere per noi deve essere collegata, con l’attivazione di una quota anche parziale delle risorse risparmiate, per accompagnare l’allestimento di un sistema universalistico di tutele sociali e una regolazione più moderna dell’ingresso e dell’uscita dal lavoro. L’insieme di questi interventi è il messaggio al mondo ed ai famosi mercati. Non risolviamo la questione, se andiamo dai mercati tutti i giorni con un pezzettino.

Perché è sullo squilibrio tra le risorse impegnate nella previdenza e quelle impegnate nelle tutele sociali che è arrivata l’obiezione all’Italia. In ogni caso, è chiaro che la nostra direzione di marcia è una correzione di un modello che comunque ha le radici nel continente europeo e parte dalla valutazione delle migliori esperienze del continente. La nostra vita è in Europa, la nostra vita economica è lì, i nostri modelli culturali sono lì e anche le esperienze migliori, le migliori chance che sono state espresse nel mondo sono lì. La riforma si occupa di questo, naturalmente per quel che se ne sa: i testi non li abbiamo ancora visti e conosciamo un po’ l’impianto.

La nostra posizione è chiara. Noi vogliamo portare in porto la riforma e ci mettiamo positivi verso la sua conclusione. Lo vogliamo fare in una discussione parlamentare, come è ovvio. Ci sono state polemica sul tema decreti, non decreti; ma fosse stata anche un'altra materia non era più tempo di intervenire per decreto e con voti di fiducia: ne abbiamo uno tutte le settimane, e credo che questa sia un’obiezione fondata. Ancora di più lo è per norme delicate, che innescano meccanismi che partono dal 2017. La polemica è dunque fuori luogo. Noi garantiamo rapidità in questa discussione, impegno. Ci sono norme contro la precarietà, contro la discriminazione e per l’estensione di meccanismi di tutela che noi stessi abbiamo voluto. Nell’iter parlamentare possono essere perfezionate, possono essere colmate alcune lacune, che ci sono anche in queste parti del provvedimento. Quindi ci si lavorerà. Sul punto di conflitto, noi ribadiamo la nostra contrarietà a meccanismi di allontanamento dal lavoro che sostituiscano la giusta causa con una pura e semplice monetizzazione. Noi pensiamo che avrebbero un effetto sistemico, non accettabile dal lato del sistema sociale. Vogliamo far evolvere la nostra situazione dal lato delle migliori esperienze europee.

Quando abbiamo alluso al modello tedesco sapevamo che ha certamente le sue specificità. Quel modello non è esattamente sovrapponibile al nostro. Ma comunque è un modello che garantisce un equilibrio dei diritti e che ha un certo modo di svolgere il tema della coesione, cioè prevede un meccanismo di coesione e non di frantumazione e di dissociazione. Ecco. Noi terremo ferme queste nostre convinzioni, le discuteremo, rifiutando, lasciatemi dire, con sdegno di essere sempre considerati dei codisti di questo o quel sindacato. Per favore: qui non stiamo discutendo di un contratto. Noi siamo un grande partito e abbiamo una certa idea di società. Compreso il diritto dei cittadini e dei cittadini lavoratori. E ci sia consentito di averla, senza essere sempre descritti in coda a quello o quell’altro. E rifiutiamo altresì di essere descritti come un partito che alza bandiere ideologiche. Perché l’ideologia è di altri. Di chi contro ogni evidenza empirica e contro ogni valutazione degli stessi imprenditori mette sempre al centro quel punto. Come fosse l’impedimento ai famosi investimenti esteri. Chi ha frequentato il tema degli investimenti esteri sa benissimo quali sono gli impedimenti, lo sa benissimo.

E rifiutiamo che il problema del lavoro sia descritto come un problema del Pd. Certo, noi siamo quelli che discutono, che frequentano questo tema, che si interessano a questo tema. Noi mettiamo il lavoro nel cuore della nostra prospettiva, del nostro progetto. Ma abbiamo già dimostrato a chi pensa di romperci le ossa - anche in questi ultimi giorni molta gente ha pensato di romperci le ossa, di metterci all’angolo – che sulle grandi questioni siamo centrali. Consiglierei ai nostri avversari di smetterla con questo eterno ritornello. Io continuo a dire, ribadisco, che in un paese in recessione, che perde imprese e occupati, che vede indebolire redditi, che vede crescere disoccupazione, preoccupazione e paura un accordo è un valore. Non un inciampo o un limite. Abbiamo detto e ripetuto che le condizioni per una larga condivisione, a nostro giudizio, ci potevano essere, ci sono. Su una linea di cambiamento e non di conservazione.

E noi su questo lavoreremo. Noi proponiamo di abbassare i toni. Ma terremo fermo il nostro punto di vista e proporremo alle altre forze in Parlamento di riflettere su questo punto. A noi non interessa mettere la bandierina del Pd su un punto di civiltà di questo genere. Riflettiamo, discutiamo, ascoltiamo, facciamoci un’opinione razionale e mettiamo in campo un’iniziativa per dare un po’ di lavoro, cosa che mi sembra molto importante. Quindi sul piano operativo, appena usciranno le norme, fisseremo un opportuno presidio per questa discussione, un tavolo con i nostri gruppi parlamentari e con il partito, che potrà seguire la vicenda in Parlamento, che potrà, naturalmente, avere relazioni di interlocuzione e di dialogo con i soggetti sociali. Ecco io chiedo a tutti di stare a questo metodo. Nelle prossime settimane non servono proposte e idee estemporanee, non prestiamo il fianco a chi cerca sempre di descrivere il nostro partito come il partito delle cento voci. E’ chiaro che c’è sempre chi cerca di raffigurarci, ogni volta, come un luogo di problemi e di incertezze e non come un luogo, come siamo invece, di sicurezze e di soluzioni. Io credo che capiamo tutti che questo è un passaggio delicato. Allestiremo un meccanismo che consentirà un’attenta e puntuale discussione sugli andamenti di questa fase.

Terzo punto: le riforme. Anche qui voglio restare all’essenziale. Noi sappiamo bene che in un anno, più o meno è quello che ci rimane, è molto difficile arrivare ad una riforma organica, complessiva del sistema istituzionale. La destra lo chiede, ma può essere anche il paravento per dire: vogliamo fare tutto e poi alla fine non si fa niente. Girano su questi temi dei sospetti reciproci tra forze politiche. Vediamo cosa diciamo noi, proprio in grande trasparenza. Io direi qui che è necessario perseguire come prioritaria e indifferibile l’approvazione di una nuova legge elettorale e di quegli elementi di riforma istituzionale che rendano coerente il sistema imperniato su una nuova legge elettorale. Circoscriviamo la priorità e cerchiamo di gestirla. Nella legge elettorale che dovremo discutere con gli altri il principio cardine per noi è quello di rafforzare e rendere effettiva la possibilità di scelta dei cittadini sia per la scelta dei parlamentari, sia per la scelta dell’indirizzo di governo.

Credo che possiamo riconoscere assieme che la legge attuale non garantisce nessuno dei due aspetti. Perché nella sostanza il maggioritario di coalizione non ha offerto ai cittadini una scelta vera tra due progetti di governo ma una competizione fra schieramenti finalizzati essenzialmente a prendersi il premio di maggioranza. Ora questa legge ha di fatto azzoppato il bipolarismo o con l’interruzione di legislatura o portando a soluzioni che alludono a larghe intese senza neanche esserle dichiaratamente. Quindi noi siamo di nuovo di fronte al tema non certo di negare una democrazia dell’alternanza, vorrei tranquillizzare su questo, ma al contrario di vedere come la si fa. Sapendo bene che l’alternanza in ultima analisi è affidata ai progetti politici e che l’eccesso di fiducia del potere conformativo dei meccanismi elettorali finisce per generare amare illusioni. Noi abbiamo una nostra proposta. Siamo gli unici, ricordiamolo questo, che abbiamo depositato una proposta di legge in Parlamento. Con un doppio turno di collegio, con un equilibrio proporzionale. Questa proposta per noi è quella giusta per rispondere a quelle due esigenze ma non si trova, su questo meccanismo del doppio turno, una convergenza, un’intesa sufficiente. Non c’è accordo, dobbiamo prenderne atto. E naturalmente dobbiamo fare i conti con gli altri. Non vorrei che suonasse come un’affermazione di rito. Se non ci accetta l’idea che la legge che uscirà non ci piacerà del tutto, perché frutto di un accordo con gli altri, tanto vale riposarsi perché rischiamo di tenerci quella che abbiamo.

Ora noi partiamo dall’esigenza di superare la legge che abbiamo nei suoi aspetti più distorsivi. Liste bloccate lunghe, coalizioni forzose che impediscono una scelta vera sull’indirizzo di governo. Noi dobbiamo dare la disponibilità ad un confronto su un modello che, pur rinunciando al doppio turno, cerchi di dare risposta a quelle due esigenze. Cioè consenta la scelta dei parlamentari, in un mix di collegi uninominali e liste corte, e dia ai cittadini la possibilità di una scelta, di un indirizzo di governo con un meccanismo che individui e premi il partito intorno al quale costruire la coalizione di governo.

Dobbiamo essere chiari. La scelta dell’indirizzo di governo non va affidata alle trattative dei partiti dopo il voto. Nelle grandi democrazie europee, anche dove poi sono state trovate soluzioni eccezionali, i cittadini danno il voto chiamando in campo la forza di un partito che ha il compito di organizzare governo e coalizione. Davanti agli elettori deve essere esigibile il pronunciamento politico sulle proposte di alleanza. E come avviene nelle democrazie mature deve essere esigibile, evidente, qual è l’indicazione del candidato premier. A tutto questo che sto dicendo deve essere affiancata, proprio per dare garanzia al sistema, una qualche modifica istituzionale- costituzionale (riduzione del numero dei parlamentari, riforma dei regolamenti, fiducia costruttiva, abbassamento dell’età per l’elettorato attivo/passivo al Senato). E noi colleghiamo a questo una legge sui partiti che garantisca meccanismi di trasparenza nei finanziamenti, che garantisca meccanismi di trasparenza nei processi democratici interni, che garantisca l’esigibilità di codici etici e così via. A tutto questo, non c’è bisogno di dirlo, noi affianchiamo anche l’iniziativa, se ne parlerà ancora in questi giorni, sui temi della giustizia, su tutta la questione della corruzione.

Io credo che su questa impostazione noi dobbiamo discutere, avere un mandato. Dopo le elezioni amministrative si riunirà l’assemblea del nostro partito, e quindi vedremo di valutare se ci sarà un punto di caduta. Vorrei però che con questa direzione noi dicessimo anche chiaro cosa succede se dall’altro lato politico ci si rifiutasse di discutere e non si arrivasse a niente. Primo: se non si fa una legge sui partiti noi continueremo, come abbiamo fatto dal primo giorno di nascita del Pd, a far certificare il nostri bilanci, anzi allargheremo il sistema ai livelli regionali. Formalizzeremo meglio meccanismi trasparenti di partecipazione, rafforzeremo, se nel caso, i meccanismi che abbiamo già rafforzato dei codici etici.

Se rimarrà malauguratamente la legge elettorale, noi attiveremo meccanismi di partecipazione per la scelta dei parlamentari; se non si attiveranno processi per una riforma della RAI che escluda i partiti dalla gestione noi non parteciperemo, e così via. Perché su questi fronti non accettiamo più che si facciano sempre chiacchiere e mai fatti e non intendiamo essere sempre messi nel mucchio. E quindi io chiedo a questa direzione la conferma di questa impostazione. Senza sconti. Perché poi ci sono sempre sirene che cantano e noi dobbiamo essere fermi in una nostra impostazione.

Quarto punto, la battaglia amministrativa e le prospettive politiche. Davide Zoggia informerà sullo stato dell’arte per le amministrative. Io dico solo due cose. La prima: vanno a votare dieci milioni di persone. Nessuno può sottovalutare il delicatissimo passaggio politico. Quindi, massimo impegno, massima determinazione, accompagnare questa battaglia con il messaggio nazionale. Che non conceda sconti alla destra, come dicevo, e che spieghi le nostre ragioni di sostegno al governo facendole attraversare da un’attenzione ai temi sociali, ai temi dell’autonomia. Come abbiamo fatto a Genova l’altro giorno. Secondo, attenzione: noi avremo di fronte in questa campagna elettorale cittadini tutti interi che non chiederanno solo i programmi per il comune. Ne abbiamo già segni. E abbiamo già segni che il nostro avversario è sì la destra, il centro-destra che naturalmente esiste, è in piedi, anche se ammaccato qui e là, ma il disamore, la disaffezione per la politica, il turbamento. Non è semplice girare casa per casa, per chi lo fa, in questo periodo. E noi dobbiamo farlo. Anche fare le liste non sarà facilissimo con l’aria che tira. Quindi attenzione a non sottovalutare questi sentimenti. Faremo il punto, ovviamente, da qui a là per aggiustare il tiro. Adesso noi ovunque abbiamo schieramenti significativi, ampi, di centro-sinistra. Moltissime alleanze di liste civiche, un po’ ovunque. E alcune significative alleanze con forze di centro. Con l’UDC in particolare.

Ecco io credo che noi possiamo tenere agevolmente un filo logico nella nostra proposta di politica di prospettiva. Lo abbiamo fatto quando abbiamo detto prima di tutto l’Italia e non vogliamo vincere sulle rovine del paese. Oggi nelle battaglie amministrative quando diciamo l’Italia bene comune la nostra proposta di ricostruzione ha lo stesso suono. È una proposta nazionale di prospettiva. Io credo che dobbiamo tenere questa linea con grande coerenza cercando di far capire, di fare intendere, questa esigenza nazionale che non si oscurerà, perché questa crisi che dobbiamo attraversare non sarà brevissima. Noi dobbiamo far capire che questa sfida di ricostruzione poggia innanzitutto su una prima responsabilità del Partito democratico che vuole presentarsi come un punto di sicurezza, ordinatore, di questa prospettiva, ma non esclusivo. Dobbiamo metterci nelle condizioni di lanciare un appello largo innanzitutto rendendo credibile un rapporto di un centro-sinistra di governo, in termini non solo di programmi ma di meccanismi che garantiscano stabilità delle maggioranze e dei governi, e poi chiedendo che questo centro sinistra si rivolga a forze civiche, a forze moderate, alternative a un modello populista berlusconiano e leghista, sapendo che non scomparirà il modello populista. Non scomparirà l’alternativa tra modelli semplificati da un lato ed una riforma di un sistema propriamente costituzionale della nostra democrazia rappresentativa dall’altro.
Io credo che questa direzione, questa linea, ci consenta di avere una centralità, di parlare molto largamente. E poi ne vedremo gli sviluppi. Vedremo gli interlocutori cosa ci diranno, vedremo come reagire ad eventuali nuovi meccanismi elettorali, ad evoluzioni della situazione. Ma io inviterei a tenere questo asse perché credo che sia il più produttivo per noi ed il più utile per il paese.

Ultimo punto: il partito. Mi limito a una questione sola. Noi dobbiamo finalmente aggiustare il meccanismo delle primarie e poi vedere se ci sono anche passi urgenti, ulteriori, da fare su alcune questioni. Ho fatto un cenno prima a questioni etiche ed al rapporto tra denaro e politica. Dove stiamo già prendendo decisioni rilevanti ma, secondo me, bisogna sempre continuare a pensarci. Nell’estate scorsa avevamo avviato una discussione generale sul tema del partito che poi, per evidenti ragioni di agenda politica, non è stato possibile proseguire. Credo che su alcuni punti che sono urgenti sia necessario chiedere, come faccio qui, l’immediato riallestimento della commissione statuto perché si metta a lavorare e consegni all’assemblea prossima una qualche immediata decisione. Io in particolare dirò ovviamente delle primarie. Intendiamoci bene. Se guardiamo i dati, nei comuni capoluogo abbiamo fatto 16 volte le primarie su 28; 12 su 16 hanno vinto candidati del Pd, con partecipazione molto ampia. Per tacere delle primarie che si sono fatte nei comuni non capoluogo. Sono tantissime. Con risultati di partecipazione a volte incredibili. Con risultati del Pd soddisfacenti. Quindi sia chiaro, non so se ci sia ancora bisogno di dirlo, per noi le primarie sono uno strumento fondamentalissimo e anzi credo che dovremmo chiedere il copyright, visto che le hanno fatte anche in Francia e adesso comincia a farle anche il PDL.

Quindi lasciamoci alle spalle la discussione sul sì o sul no a questo strumento. Però abbiamo di nuovo verificato alcune criticità del meccanismo e bisogna trovare soluzioni correttive che lo mettano in sicurezza. Quali siano i punti sui quali discutere e arrivare a decisione oramai li sappiamo tutti. C’è la responsabilità della politica, da anteporre alla legittima aspirazione, al diritto, alla pretesa di singoli, di gruppi e così via: il se ed il come del processo delle primarie deve avere il filtro di una decisione, di una discussione politica. C’è l’esigenza di mettere in equilibrio a seconda dei contesti il ruolo guida del Pd. L’univocità delle candidature del Pd nelle primarie di coalizione. E a quali condizioni, secondo quali deroghe, può esserci una presenza plurima. La questione dei sindaci del primo mandato. Il tema degli albi degli elettori, che abbiamo visto cruciali. Il tema di connettere le decisioni tra scala territoriale e livello centrale: succede un guaio in un posto e si riverbera su tutto il resto senza che ci sia la possibilità di, come dire, intrecciare decisioni tra organismi territoriali e livelli centrali. Quindi io propongo che si convochi la commissione statuto e si metta l’assemblea di fronte a una scelta statutaria, regolamentare, che noi dobbiamo sciogliere. Alla commissione statuto andrà lasciato anche il compito largo di vedere se esiste qualche altra urgenza di aggiustamento che venga condivisa. Il meccanismo statutario prevede condivisioni molto ampie, quindi abbiamo elementi di garanzia reciproca.

Ho finito. Non ho parlato di tutto. Io chiedo che dalla direzione di oggi ci si metta in una situazione di sicurezza di tracciato, di coralità nell’iniziativa del partito. Io credo che si possa riassumere così quel che ho detto: in una situazione nebbiosa, difficile, incerta, il paese ha bisogno di vedere dal lato della politica qualcosa di solido, di determinato, ha bisogno di percepire un riferimento, un presidio vero, una guida politica. Io credo che questo non tocchi solo a noi. Ma in questa fase è chiaro che tocca soprattutto a noi.