Nei periodi di grande mutamento accade che si cerchino nuovi punti di riferimento, magari scovandoli nel passato; si ricordano luoghi, eventi, personaggi, capaci di rendere il presente meno difficile da decifrare. Durante ogni crisi si ridiscute della propria identità. Così da qualche anno assistiamo in Trentino (e in parte anche in Sud Tirolo) a una sorta di rincorsa alla ricerca di un “mito fondativo” della nostra autonomia e, più in generale, del nostro essere regione alpina.Piergiorgio Cattani, "Trentino", 24 febbraio 2012
L’alfiere di questa impostazione, che potremmo definire storico/ideologica, è sicuramente l’assessore alla cultura Franco Panizza: va ammirata, al di là di ogni ironia o retorica, la sua coerente dedizione alla causa pantirolese e a una chiara interpretazione del Trentino, visto come maggiormente rivolto verso il mondo tedesco. Le celebrazioni per Andreas Hofer, i progetti in cantiere per il centenario dall’inizio della prima guerra mondiale, le lapidi per i caduti trentini che combattevano per l’esercito austro-ungarico e molte altre iniziative sono da leggersi nell’ottica della riproposizione, nella realtà o nell’immaginario poco importa, della centralità del Tirolo storico per il nostro futuro. Una pietra d’inciampo potrebbe essere il grande raduno degli alpini a Bolzano che, con ogni probabilità, sarà occasione per uno sfoggio di italianità. Questo però è un altro discorso.
Tornando a noi, pare che l’impostazione del “ministro della cultura popolare” e prossimo leader del PATT sia sposata anche dal presidente Dellai e pure da Gianni Kessler quando era presidente del Consiglio provinciale. Il lato più affascinante di questa visione si concretizza nel progetto dell’Euregio, rilanciato negli scorsi giorni da Dellai in visita a Innsbruck. Proprio ai piedi del monumento a Hofer, il governatore trentino ha elogiato la bontà del progetto transfrontaliero, la sua apertura al futuro, la risposta che esso potrebbe dare alla crisi epocale in cui siamo immersi.
Si tratta di muoversi secondo nuove coordinate. Occorre innanzitutto interpretare, per quanto possibile, l’evolversi della globalizzazione. In futuro non ci saranno direttori ristretti per governare il mondo, né club di potenze egemoni, bensì un intrecciarsi di potere, un affacciarsi di nuovi attori extra statali (multinazionali ma anche Ong), un imporsi di organismi regionali. La parcellizzazione degli interessi, spesso incomponibili, porteranno a tensioni in grado di frantumare, di volta in volta, equilibri faticosamente raggiunti. Lo scenario più probabile è quello di un medioevo post moderno, costituito da tanti piccoli frammenti di interessi, sovranità, influenze in competizione o in alternativa. La sfida è quella di proporre un disegno opposto che freni le tendenze centrifughe, progettando un edificio fondato su due pilastri: le istituzioni internazionali e le comunità locali. Il futuro si gioca in questi due poli, a cui vedremo se ne aggiungerà un terzo. In mezzo sta tutto il caotico mondo che cerchiamo di governare.
Questo tipo di complessità si può solamente affrontare in una logica di rete. In una rete di relazioni il potere e la responsabilità sono diffusi, anche se non necessariamente posti sullo stesso piano; in una rete i saperi e le competenze crescono in maniera orizzontale e non scendono a cascata dai livelli superiori; in una rete ogni territorio sviluppa le proprie particolarità. E così via. Il mondo diventa la rete delle reti.
Per noi l’Europa diventa il terzo attore in campo accanto all’orizzonte globale e locale. Un terzo protagonista che in realtà sarà la figura di riferimento, intorno a cui si costruisce o cade tutto. È già scomparsa la distinzione tra affari interni ed esteri, si è già indebolita la sovranità nazionale a vantaggio di una Europa politica, ancora tutta da inventare ma che non è all’orizzonte.
La logica di rete non deve interessare però soltanto la dimensione politica, in quanto l’Europa resta un’intuizione dello spirito, un traguardo ideale che impegna la nostra visione del mondo fondata sulla libertà, sulla giustizia, sull’uguaglianza e sulla fraternità. Il progetto di unificazione progressiva deve riguardare la cultura, lo scambio dei saperi, la dimensione esistenziale: pensarsi sempre cittadini europei, aperti al mondo e radicati nella propria tradizione. L’idea dell’Euregio può innestarsi in questo movimento che abbraccia una dimensione sociale e culturale. Questa è davvero l’unica strada da percorrere.
Tutto ciò è vero. Altri dati di fatto contestano però la visione generale. A livello economico e sociale siamo ammirati dalla Germania ma i giovani preferiscono imparare lo spagnolo invece che il tedesco. Non solo perché è una lingua ritenuta più difficile ma proprio perché il mondo germanico non ha quell’appeal caldo e fascinoso della cultura latina. I trentini non sanno il tedesco e probabilmente non vogliono impararlo, nonostante tutti gli incentivi.
Di regionale sono rimasti soltanto l’orchestra Haydn e il programma di pensione integrativa Pensplan, più altre iniziative secondarie. Nel cuore della gente la Regione non dice nulla. Come si può sperare che sia l’Euregio a scaldare gli animi?
Il Trentino tuttavia non ha la massa critica (di popolazione, di risorse, di creatività) sufficiente per farcela da solo. Andare allora verso nord o verso sud? L’orizzonte è troppo vasto per guardare in una sola direzione. Occorre avere uno sguardo capace di osservare dappertutto. Il Trentino non può pensarsi senza l’Italia e senza l’Europa: la prospettiva “tirolese” può essere quindi un elemento di un disegno più ampio. Su questo bisogna avviare la discussione.
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