Con l’approssimarsi del referendum proposto dalla Lega Nord del Trentino, si moltiplicano gli attacchi alle Comunità di Valle. Vale la pena chiarire quale sia la posta in gioco di questo confronto che purtroppo sta assumendo toni da battaglia, su un tema dove invece ci sarebbe bisogno di pacatezza e lucidità.Giuliano Muzio, 17 febbraio 2012
Quando la Provincia ha introdotto le Comunità, era chiaro il disegno riformatore che voleva essere messo in campo (basterebbe prendere in considerazione il titolo della norma che le ha istituite): rafforzare e rinnovare l’Autonomia del Trentino, che, giunta a una fase di svolta epocale, aveva necessità di essere ripensata e rilanciata con forza (oggi il dibattito su questo tema è entrato nel vivo). Di fronte infatti a una Provincia, che, per non cedere terreno sulle questioni finanziarie, cominciava a negoziare con lo Stato centrale l’ampliamento delle proprie competenze (fase che è tuttora in pieno svolgimento), il peso dell’assetto istituzionale allora vigente sembrava eccessivo e lasciare a un sistema totalmente centralizzato l’onere dello sviluppo del nostro territorio si stava rivelando non più percorribile. Risultava quindi necessario decentrare parte delle funzioni di programmazione e di indirizzo, immaginando che le diverse comunità territoriali (ricordo che la prima parte della legge proprio alla definizione degli ambiti territoriali è dedicata) diventassero protagoniste del proprio sviluppo, facendosi carico in prima persona, in applicazione del principio di sussidiarietà, di definire e applicare le “regole” per la propria crescita. Vista in questa luce, la riforma istituzionale è quindi in primo luogo la riforma della Provincia.
Purtroppo, le principali critiche a questa riforma ignorano questo fatto. E tengono unicamente in considerazione l’altra parte della questione: il rapporto tra le Comunità e i Comuni, alimentando e paventando un conflitto tra queste due istituzioni e vedendo solo una faccia della medaglia. Il conflitto che si teme è reale o presunto? In realtà non si vedono grandi motivazioni al sorgere di conflitti, anzi. I Comuni hanno un nuovo interlocutore che devono prendere in considerazione, ma questo nuovo protagonista non è un interlocutore “in più”, ma deve in gran parte sostituire il vecchio interlocutore. E’ un problema questa sostituzione? Non dovrebbe esserlo, anzi, un sindaco ha molti più strumenti per essere ascoltato dal proprio presidente di Comunità che non dal Presidente della Provincia. Inoltre, la Comunità è più focalizzata sui bisogni del territorio di quanto non lo sia la Provincia. E i servizi? Gestire i servizi in forma associata è innanzitutto una necessità in termini di fabbisogni e che i Comuni si “spoglino” della gestione diretta di alcuni servizi a favore della Comunità è prima di ogni altra cosa una garanzia della loro sostenibilità finanziaria. A patto ovviamente che si riescano a generare economie di scala e che la Comunità dimostri capacità di operare.
Le critiche sollevate alle Comunità si basano quindi in larga misura su considerazioni di stampo ideologico. Oltre che sulla naturale e umana resistenza al cambiamento. Il vento dell’antipolitica è fortissimo come sappiamo e sparare sulle Comunità di Valle è facilissimo da questo punto di vista. Quello che molto francamente non si capisce è quale alternativa propongano i detrattori delle Comunità all’attuale scenario. Non temono i fustigatori delle malefatte dei politici che oltre all’acqua sporca si getti via anche il bambino? Bisogna dirlo molto chiaramente, chi oggi crede che il referendum (questo referendum) sia la risposta ai problemi del Trentino e dell’Autonomia rischia di minarne alla base le radici e di aprire per il post-referendum scenari incogniti, assai pericolosi in una fase come questa. E’ vero che le cose sono andate più lente del previsto, è vero che la Provincia avrebbe dovuto forse affezionarsi di più alla riforma, ma questo non giustifica l’abbattimento della riforma stessa. Anche perché, su questo come su altri temi, vale sempre il principio che chi è senza peccato può scagliare la prima pietra.
Questo passaggio delicato andrebbe quindi affrontato più sul confronto pacato delle idee e delle proposte concrete, che sul terreno delle contrapposizioni demagogiche e populiste. A chi ha scelto questo terreno come attacco alla maggioranza che governa la Provincia si può dire che ha scelto il terreno sbagliato per due motivi: la posta in gioco è troppo importante e i primi risultati della riforma cominciano a vedersi. Nella Vallagarina, per esempio, i Sindaci cominciano a confrontarsi tra loro e a ragionare in un’ottica di Valle, fuori dagli steccati di campanile. C’è anche chi, stimolato da questo percorso, sta proponendo una fusione tra Comuni. Non era proprio uno degli obiettivi che si volevano ottenere per il Trentino?
La riforma che ha introdotto le Comunità di Valle è una buona riforma. Bisogna solo darle il tempo di affermarsi e di cominciare a far vedere i suoi frutti. Chi urla agli scandali, agli sprechi e alla moralizzazione dei costumi dovrebbe dirci che idea ha del futuro del Trentino. Ragioniamoci insieme che forse possiamo fare ancora meglio. Lasciamo stare i Savonarola e il referendum usato come clava su temi complessi e delicati. Ne va il futuro della nostra terra.
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