Il dibattito sulla «riforma del lavoro» anche in Trentino rischia di essere appiattito sull’unica questione dell’articolo 18 e di rimanere prigioniero di paradigmi ideologici. Così inevitabilmente si fanno strada scorciatoie semplicistiche e vecchi slogan.Alessandro Olivi, "L'Adige", 14 febbraio 2012
La «riforma del lavoro» non può essere avulsa da una prospettiva di sistema, che intrecci più dimensioni: la complessità delle (troppe) fattispecie contrattuali, che vanno semplificate; la competitività del tessuto economico, che va rilanciata proprio attraverso il capitale umano; l’integrazione tra formazione e ricerca, che deve supportare l’innesto di nuove professionalità nelle imprese; le politiche attive del lavoro, che devono offrire tutele più eque ed adatte ai nuovi scenari introdotti dalla crisi.Un dato è certo: la flessibilità non basta e non è la soluzione a tutti i problemi. Essa può concorrere a migliorare la produttività del sistema soltanto a precise condizioni, che rappresentano i veri nodi da sciogliere. Da un lato, la cosiddetta flessibilità in uscita va spalmata fra tutti i protagonisti del mercato del lavoro. Dall'altro, non basta regolamentare i licenziamenti ma si deve favorire anche la flessibilità in entrata ossia sostenere di più coloro che, come i giovani, faticano maggiormente ad entrare nel mercato del lavoro. Il contesto attuale è radicalmente cambiato e per questa ragione non è possibile limitarsi, solo, a conservare l’esistente: infatti così facendo si difendono solo formalmente i già protetti, peraltro spesso attraverso mere enunciazioni giuridiche che mal si coniugano con la realtà. Spesso infatti il mercato del lavoro italiano viene definito come «il mercato del lavoro peggiore del mondo»: peggiore non per il tasso di lavoro precario, che è più o meno in linea con il resto d’Europa, ma per il maggior tasso di disoccupazione permanente, di lavoro nero, di esclusione dal lavoro di donne, giovani e anziani.In questa direzione ritengo debba essere approfondita la proposta di «contratto unico», per introdurre un rapporto a tempo indeterminato a tutele gradualmente crescenti, destinato ai nuovi assunti, in modo da coniugare la flessibilità dei contratti con la sicurezza dei lavoratori. Così come occorre investire di più sull'apprendistato nella sua triplice configurazione (apprendistato «per la qualifica», «professionalizzante» e «alto»).Ma il fulcro del mercato del lavoro è il suo intimo legame con la qualità del sistema economico. Qui sta la massima criticità: il nostro tessuto produttivo non è sempre in grado di assorbire professionalità altamente qualificate e, per questo, da anni, vi è una continua erosione di competitività, nonostante i massicci investimenti pubblici in formazione e ricerca operati in Trentino dalla Provincia.In proposito mi trovo in sintonia con la posizione di Franco Ianeselli della CGIL (l’Adige del 9 gennaio 2012) quando dice che i talenti, intesi come portatori di competenze, devono poter trovare una struttura economica in cui finalizzare le loro aspettative di lavoro. Dietro il sipario della crisi dobbiamo perciò porre le basi per un’economia rigenerata da massicce dosi di conoscenza e di tecnologia, nella quale comparti diversi convivano in condizioni competitive e di pari dignità. Nella nostra visione c'è un Trentino che si atteggia a distretto della conoscenza, favorendo la fertile contaminazione tra la ricerca, le agenzie formative, l’università, le imprese, la politica e le istituzioni. Il nuovo Polo della Meccatronica a Rovereto nasce con queste finalità.In questa prospettiva, con la nuova legge sugli incentivi alle imprese, stimoleremo ancor più di oggi l’innovazione e la ricerca, così come l’internazionalizzazione e l'interconnessione delle imprese, e susciteremo nuovo spirito imprenditoriale nei giovani e nelle donne. Lo schema è chiaro: produrre sviluppo combinando il lavoro e la conoscenza. C'è, poi certo, la dimensione del welfare. Oggi l’Italia carica i giovani di un enorme debito pubblico e pensionistico e li priva di prospettive per il futuro relegandoli ai margini del mercato del lavoro. La spesa per la protezione sociale in Italia è ripartita in modo del tutto svantaggioso per le nuove generazioni di lavoratori, garantendo prevalentemente il sistema pensionistico e sanitario. Soltanto il 18 per cento delle persone in cerca di occupazione riceve un sussidio, mentre negli altri paesi europei, dove la spesa sociale è distribuita in modo meno sproporzionato e non penalizzante, oltre il 70 per cento dei disoccupati riceve un benefit. Per rintuzzare le speculazioni sull'Autonomia, bisogna che anche su questo tema la Provincia sappia essere laboratorio virtuoso, con due principali obiettivi: garantire maggiore equità del sistema di welfare, attraverso misure universalistiche (ossia modellate sulla generalità dei cittadini) e svincolare il sostegno al reddito dei lavoratori dalle condizioni di dipendenza degli stessi dalle imprese, perché in una democrazia matura, con un mercato del lavoro vischioso e instabile, il godimento dei diritti sociali deve prescindere dalla condizione lavorativa dei cittadini. In definitiva, lavoro, qualità del tessuto economico e welfare sono versanti del medesimo problema, da affrontare in modo organico. Per questo, personalmente credo sia un rischio anzi un errore ancorare il lavoro esclusivamente al welfare, derubricando le politiche del lavoro alla mera gestione degli ammortizzatori, e privandole così della loro qualificazione di politiche «attive». Queste ultime, infatti, non considerano soltanto i lavoratori in uscita, ma tessono un legame stretto con le politiche industriali, in modo da forgiare risposte non artificiose all'offerta di lavoro, fondate sull'economia reale. La precarietà del lavoro si affronta infatti in modo duraturo soltanto combattendo alla radice la precarietà produttiva.Dobbiamo, in sintesi, desettorializzare il tema del lavoro, consapevoli che sviluppo innovativo, qualità del lavoro, spirito imprenditoriale, welfare, valorizzazione dei talenti sono un tutt'uno su cui si gioca il futuro della nostra comunità e la capacità della nostra Autonomia di coniugare sviluppo e coesione sociale.
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