Nei giorni scorsi il Consiglio Provinciale ha discusso (e respinto) il Disegno di Legge del consigliere Borga (PDL) sul tema della gestione dei servizi idrici. La proposta, dall'evidente carattere provocatorio, presentata all'indomani dell'esito referendario, si proponeva di rovesciare la situazione precedente al referendum, passando dall'obbligo alla privatizzazione ad un altro obbligo, quello della pubblicizzazione. Un dibattito surreale, a parti rovesciate.Michele Nardelli, 7 dicembre 2012
Avendo partecipato, durante la campagna referendaria, ad un confronto diretto al Liceo Da Vinci con il consigliere Borga so bene quanto le nostre posizioni fossero allora (e siano tutt'oggi) distanti, nel mio caso per garantire la gestione del servizio idrico come bene comune, nel caso di Borga favorevole alla privatizzazione tanto da esprimersi chiaramente contro l'abrogazione del decreto Ronchi.
Qual'era dunque lo scopo di questa proposta? L'intenzione dei proponenti (peraltro dichiarata) era quella di "svelare l'imbroglio" del voto referendario e la presunta incoerenza dei soggetti - politici o della società civile - che in Trentino si erano espressi a favore dell'abrogazione.
Non amo rivendicare coerenze e so bene quanto nell'agire politico (e non solo) sia importante la capacità di compromissione, nel senso nobile ma in genere poco apprezzato del termine. Ciò nonostante vorrei rivendicare la linearità e l'efficacia di un'azione politica che, in Trentino, ha saputo anticipare di alcuni mesi l'effetto della vittoria referendaria.
Prima però di entrare nel merito del percorso realizzato, mi preme ricordare un aspetto solo apparentemente tecnico, come cioè il quesito referendario si proponesse l'abrogazione dell'obbligatorietà alla gestione privatistica del servizio idrico, ovvero il ripristino della situazione precedente che lasciava piena libertà ai Comuni di decidere le forme gestionali, fermo restando il carattere di demanio pubblico degli acquedotti. Un altro quesito, che avrebbe fatto divieto nella gestione idrica di avvalersi di società per azioni anche interamente pubbliche, non venne ammesso dalla Cassazione.
Quale sia stato il percorso intrapreso in Trentino è presto detto. Con la Finanziaria 2011 la Provincia Autonoma di Trento, in base alle proprie prerogative autonomistiche, ha legiferato per garantire ai 193 Comuni trentini che avevano fino ad allora gestito in economia il servizio di distribuzione dell'acqua potessero continuare a farlo ed auspicando di fare sistema sul piano territoriale.
In quel contesto il Consiglio Provinciale ha assunto un ulteriore impegno rivolto ai 17 Comuni che avevano affidato a Trentino Servizi e a Dolomiti Energia in seguito la gestione del servizio idrico. Con l'approvazione dell'ordine del giorno n.184 il Consiglio Provinciale impegnava la PAT a favorire "... lo scorporo da Dolomiti Energia spa delle attività relative al ciclo integrale dell'acqua per permettere la formazione di una nuova società, interamente controllata dagli enti locali che attualmente partecipano a Dolomiti Energia, alla quale affidare successivamente il servizio idrico".
Nei mesi successivi l'esito positivo del referendum ha rafforzato questo percorso. Provincia, Comune di Trento e Comune di Rovereto hanno avviato un lavoro di verifica sulla fattibilità dello scorporo e della costituzione di un nuovo soggetto provinciale per la gestione dell'acqua, un passaggio di grande valore anche simbolico proprio nella direzione del voto referendario, per rimediare al fatto che la gestione del servizio idrico di una parte del Trentino fosse finito impropriamente in Dolomiti Energia (non a caso al momento della costituzione di DE si è prevista la clausola di scorporo per acqua e rifiuti) e per fornire a tutto il Trentino uno strumento efficace al servizio della comunità nella gestione del servizio di acquedotto, facendo sistema e valorizzando la storia e le competenze che dalle vecchie municipalizzate sono successivamente transitate in Trentino Servizi e poi in Dolomiti Energia.
Non possiamo infatti nasconderci come nella gestione in economia del servizio da parte delle comunità locali siano emersi problemi che riguardano l'efficienza delle reti, i controlli sulla qualità, la necessità di investimenti peraltro fino ad oggi coperti dai finanziamenti provinciali, la razionalizzazione dei bacini di utenza, la stessa politica tariffaria se consideriamo la disomogeneità del costo dell'acqua sul territorio trentino (che oscilla da 0,10 a 0,70 euro al m3). E che potrebbero trovare risposte positive in una gestione integrata.
Nella Finanziaria 2012, infine, si è adeguato l'assetto legislativo provinciale all'esito referendario.
Tutto questo sta ad indicare non solo la linearità di un percorso ma anche il valore politico sul piano della ripubblicizzazione per quanto riguarda le utenze gestite da DE nei comuni di Trento, Rovereto, Ala, Albiano, Aldeno, Borgo Valsugana, Brentonico, Calliano, Civezzano, Fornace, Grigno, Lavis, Mori, Nave San Rocco, Nomi, Roveré della Luna, Volano, Zambana (oltre duecentomila utenze) finite impropriamente in una società come Dolomiti Energia nata per uno scopo diverso. Valore riconosciuto di primaria grandezza da esponenti di primo piano di una realtà come il Contratto mondiale per il diritto all'acqua, il movimento che per primo in Italia ha avviato la battaglia contro la privatizzazione dell'acqua.
Scorporo che comprende anche la riacquisizione dell'acquedotto di Trento e di quella parte dell'acquedotto di Rovereto realizzato da DE, il primo finito inerzialmente in DE per effetto dell'assorbimento della SIT (spa che era controllata al 99% dal Comune di Trento), la seconda realizzata con il contributo della PAT, che dunque non possono essere certo ceduti a prezzo di mercato.
Un percorso virtuoso che si pone nella tradizione che considera l'acqua come un uso civico, indisponibile e per questo sottratto a logiche di natura mercantile o, peggio ancora, finanziaria.
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