Le parole del capo del Governo Mario Monti sulla monotonia del posto fisso, i giudizi offensivi del sottosegretario Martone sugli studenti fuori corso, gli ultimatum verbali del ministro Fornero ... io credo che serva più rispetto per chi lavora, in una fase drammatica segnata da disoccupazione e precarietà. Le parole vanno usate con cura.Bruno Dorigatti, "Trentino", 4 febbraio 2012
capisco che in politica spesso si cerchi la frase ad effetto, per conquistare l'attenzione con poche, incisive parole. Ma con le parole bisogna stare attenti: bisogna averne cura, perché se la democrazia è convivenza basata sul dialogo, lo strumento che permette questo dialogo sono proprio le parole. Vanno quindi usate con attenzione e un po' di sobrietà, tanto più se si ricoprono importanti ruoli istituzionali e di governo. Per questo motivo non ho apprezzato le parole del presidente del Consiglio Mario Monti sulla "monotonia" del posto fisso. E nemmeno la battuta del sottosegretario Martone sugli studenti fuori corso. Capisco pienamente che, alle spalle, hanno riflessioni ben più solide, condivisibili o meno. Ma proprio per questo non si può avvilire il ragionamento alla battuta di circostanza, alla barzelletta, per quanto sagace e intelligente: se ci si rivolge all'intera società, di questa bisogna avere pienamente rispetto, in tutte le sue componenti. Anche di quelle che, per una ragione o per l'altra, le battute non le possono interpretare nella loro complessità. Un disoccupato, un cassaintegrato, un precario cronico, non sono nelle condizioni per pensare che forse Monti intendeva altro, quando ha parlato di "monotonia" del posto garantito: penseranno, giustamente, che per loro quella monotonia sarebbe un sogno, non una condanna, e che la loro condizione di instabilità è tutt'altro che eccitante. Certo Monti voleva porre l'accento sulle opportunità delle esperienze diversificate nella professionalizzazione di un lavoratore: ma non si è capito, e chi fa politica deve rendersi conto che l'incomprensione è prima di tutto un problema di chi comunica, non di chi ascolta. Anche Martone probabilmente intendeva lanciare un messaggio positivo agli studenti italiani, segnalando loro la necessità di avere carriere universitarie efficaci e ben calibrate: ma le sue parole sono suonate, alle orecchie dei più, come lo sciocco esibizionismo di un privilegiato figlio di papà, mai alle prese con le turbolenze dei percorsi di vita della gente comune. Non è questo il modo di affrontare le questioni del lavoro, in un Paese che ha il 30% di disoccupazione giovanile e nel quale, in questi anni di crisi, sono andati persi oltre 800mila posti di lavoro. Il lavoro è una parte fondamentale nella vita delle persone: perderlo, non trovarlo, averne uno precario o mal pagato lascia segni indelebili e, dopo aver compromesso la dignità individuale, mette in crisi il senso di cittadinanza. Sono sempre più convinto che buona parte della crisi della coesione sociale, del crollo verticale del rispetto delle istituzioni, della sempre più sensibile mancanza di senso civico, sia legata alla situazione drammatica che sta vivendo il mondo del lavoro: prima ce ne renderemo conto, prima troveremo le risposte migliori per uscire dalla crisi e garantire a tutti i cittadini una posizione lavorativa stabile e dignitosa. Non è una battaglia di retroguardia, tutt'altro: significa impegnarsi sul fronte della formazione, significa immaginare un nuovo e più giusto sistema educativo, significa trovare idee e risorse per un welfare attivo e moderno. Significa, in buona sostanza, rilanciare la mobilità sociale e promuovere lo sviluppo di ogni cittadino, rimuovendo quegli ostacoli economici e sociali che già la nostra Costituzione individuava come nemici dell'equità.
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Partito Democratico del Trentino