"Difendere i principi dello Stato e intendere le diverse radici politiche non come differenza ma come un valore aggiunto. E' questo il messaggio lanciato dall'on. Gero Grassi ricordando Aldo Moro. L'occasione è quella di un appassionato ricordo dello statista pugliese domenica 12 settembre, offerto dal parlamentare Pd in un incontro, al quale ha partecipato anche la nostra parlamentare trentina Laura Froner, organizzato questo pomeriggio alla Festa Democratica sulla Neve a Folgaria. Lorenzo Passerini - Marta Frassoni, Folgaria, 19 gennaio 2012
Nella sua introduzione, l’on. Laura Froner ha evidenziato come la cifra politica della figura di Aldo Moro sia stata quella della scelta in favore del primo centrosinistra e dell’anteporre il valore della persona a tutto, anche allo Stato. Questa visione profonda, durante la sua prigionia, non è stata colta fino in fondo dai politici di allora.
L’On. Gero Grassi ha tratteggiato attraverso note biografiche, riflessioni, citazioni la figura di Aldo Moro. Nel 1943, racconta Grassi, Moro scrisse sul giornale clandestino “La Rassegna” un articolo dal titolo “ogni persona è un universo”, titolo in cui era già emblematicamente racchiusa la sua filosofia di vita. Il 2 giugno 1946 si votò per il referendum e l’assemblea costituente. In Puglia la situazione del dopoguerra era drammatica: il 95% dei cittadini non aveva i servizi igienici in casa, l’80% non aveva l’acqua. Due furono i grandi protagonisti della campagna elettorale: Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, uomo esperto che sapeva parlare al cuore delle persone, “un personaggio coreografico”, con un retroterra di antifascismo. Con Di Vittorio duellava “un professorino” (aveva 30 anni Moro nel ’46), con un eloquio incomprensibile ai cafoni pugliesi. Nella Costituente ci fu un grande dibattito perché molti non volevano riconoscere, ma bensì concedere i diritti di cittadinanza. Moro si batté affinché i diritti venissero riconosciuti. Si batté anche per una Repubblica antifascista e non afascista. Aveva un’idea ampia della partecipazione: l’inclusione, la volontà di inserire nel circuito del potere quelli che ne erano esclusi, caratterizzò il suo percorso nel momento in cui diede vita al centrosinistra insieme ai socialisti di Pietro Nenni.
I due provvedimenti principali del centrosinistra furono: scuola media obbligatoria “perché solo attraverso la scuola possiamo far sì che i figli dei poveri possano diventare ricchi” e la nazionalizzazione dell’energia elettrica per superare piccoli monopolisti privati sparsi sul territorio. Moro non ebbe vita facile nei palazzi, ricorda Grassi, perché “aveva contro gli americani, i russi, gran parte del proprio partito, la parte più conservatrice della Chiesa”. Moro voleva realizzare due obiettivi: l’uguaglianza tra le persone e la democrazia compiuta. Una democrazia bloccata, in cui governano sempre gli stessi non funziona, ripeteva Moro, e portare nell’area di governo il Pci significava permettere l’alternanza.
Franceschini, il brigatista, dichiarò che “Andreotti era impossibile rapirlo, abitava in centro, Fanfani apparteneva alla Seconda guerra mondiale, Moro era il futuro”: avevano capito che nel maggio 1978 Moro sarebbe diventato Presidente della Repubblica, Pertini infatti disse che “se Moro fosse stato ancora vivo questo posto sarebbe stato suo”. Uccisero Moro perché con la sua morte si sarebbe riaperto il solco tra Dc e Pci.
In quei 55 giorni di prigionia, vissuti da Moro in condizioni disumane, successe di tutto: Dc e Pci si dichiararono contro la trattativa, l’unico partito a favore era il Psi di Craxi per ragioni umanitarie. Dal carcere Moro scrive a Berlinguer :“anche il Pci mi ha condannato a morte” e al Papa: “anche il Papa ha fatto pochino”. Il ‘potere di allora’, leggendo quelle lettere, disse che non potevano essere di Moro, o che le aveva scritte sotto effetto della droga. All’epoca Grassi testimoniò, da studente universitario, che in quegli scritti Moro era coerente con il suo pensiero, secondo cui uno Stato non può barricarsi dietro la ragion di Stato per non salvare una persona. Moro chiese di essere salvato perché “la persona viene prima dello Stato”. Quando le Br decisero del destino di Moro in 5 non votarono per la sua morte: furono i suoi carcerieri che, col passare dei giorni, vennero “conquistati” da lui, come testimoniano le loro lettere che inizialmente parlavano di Moro come “servo delle multinazionale” per poi definirlo, negli ultimi messaggi, “uomo di Stato”. “Quello di Moro fu un delitto di abbandono, perché Moro diceva verità scomode”, ha affermato Grassi.
Il funerale fu senza bara, perché le famiglie non concessero il corpo. Ci fu anche papa Paolo VI che nell’omelia si arrabbiò con il padre eterno: “Padre, tu non ci hai ascoltato”.
Che cosa è rimasto di Moro nella nostra società ? Quasi nulla. Il potere italiano tenta di non parlare di Moro, perché farlo significherebbe parlare degli omissis di Stato: è ancora un argomento scomodo, perché Moro nei 55 giorni di prigionia non risparmiò nessuno.
Il 15% dei nostri universitari in un sondaggio di oggi ha dichiarato che Moro “era il capo delle brigate rosse”: è un dato allarmante, indice di uno spaventoso deficit culturale. Ricordare oggi personaggi come Moro diventa invece molto significativo e importante in tempi in cui la politica è un contenitore vuoto, dove è rimasto solo un “parlamentarismo svuotato”.
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