Il perdono non può sostituire la giustizia

L'intervento dell'On. Antonio Boccuzzi (ex operaio Thyssen) sul tema delle morti bianche e della sicurezza sul lavoro.
Folgaria, 17 gennaio 2011

Sembra incredibile, ma a distanza di quasi quattro anni dalla tragedia avvenuta alla Thyssen, ancora oggi è quasi assurdo nonché estremamente triste, trovarsi nell’imbarazzo di scegliere come iniziare questo intervento.

Il bollettino degli incidenti sul lavoro non si è arrestato, e seppur migliorato
l’andamento, è sempre eccessivo il numero delle vittime sul lavoro, sintomo di
un Paese alla continua ricerca della civiltà smarrita.

Fortunatamente non solo tristi avvenimenti hanno caratterizzato questi ultimi mesi. A cinque anni da quel doloroso 25 novembre, si è chiuso il capitolo della tragedia di Campello sul Clitunno, l'incidente sul lavoro costato la vita a quattro operai. Sette anni e sei mesi di reclusione per il "padrone". Questa la condanna, per omicidio colposo plurimo, inflitta all'imprenditore Giorgio Del
Papa, 63 anni, allora presidente del consiglio di amministrazione della Umbria
Olii, azienda specializzata nella raffinazione dei liquidi vegetali.

Un  processo che avrebbe meritato anche sotto l’aspetto mediatico una migliore attenzione, anche per la singolare e quantomeno opinabile strategia di difesa dello stesso del Papa, giunto a chiedere un risarcimento di 35 milioni di euro ai familiari dei lavoratori deceduti, oltre ad autoprosciogliersi prima in
tribunale attraverso perizie di parte che imputavano ad altri responsabilità che i pm avevano contestato allo stesso Del Papa e poi nelle pagine di un libro scritto da un suo legale, intitolato appunto “io non ho colpa”.

E da un’ “auto proclamazione di innocenza”, passiamo ad un datore di lavoro la cui innocenza è stata urlata anche da una lavoratrice che nel suo laboratorio ha rischiato di perdere la vita.

Già, la vita, quel bene prezioso, e questo aggettivo vuole sottolineare proprio il valore inestimabile della stessa.

Si può quantificare quanto essa possa valere? Al tempo degli schiavi d’America forse sì, in quelle parti di mondo dove viene considerata un bene da scambiare per poter mangiare anche, ma nel nostro Paese possiamo stabilire un valore?

A Barletta si scopre che questo dono prezioso, inestimabile, vale quattro euro all’ora. Si prova uno strano senso di confusione, una difficoltà apatica ad accettare una tragedia nella tragedia, ma sta di fatto che il dono divino che dovrebbe essere valorizzato vivendo, si scopre abbia un bassissimo valore nella morte di quattro donne e di una bimba di quattordici anni.

Morire in una realtà morta, perché mai esistita, un luogo di lavoro fantasma che ha inghiottito l’esistenza delle cinque vittime, ma anche la coscienza di chi ha contribuito perché questa tragedia accadesse.

La contrapposizione, quantomeno nella variazione cromatica alle morti bianche, il fenomeno del lavoro nero.

In una fase storica caratterizzata da una straordinaria modernizzazione e velocizzazione dei processi produttivi e degli strumenti della conoscenza e della partecipazione civile e sociale, viviamo, non solo nel nostro Paese, un’apparente e paradossale regressione sul piano della cultura dei diritti del lavoro, al punto di veder rispuntare le forme più odiose di organizzazione, sfruttamento, vessazione e umiliazione di alcune categorie di lavoratori, nella sostanziale indifferenza o inerzia di troppe istituzioni nazionali e locali.

Per usare una metafora potremmo dire che, nell’era della rete della comunicazione in tempo reale, assistiamo allo spuntare delle catene per nuove forme di schiavitù.

In ultimo, ma non ultimo il processo della Thyssen. Un processo che a differenza di altre analoghe situazioni ha avuto il pregio di avere un’attenzione mediatica importante.

Non ci sarà Quarto grado a tornare con innumerevoli puntate speciali alla ricerca quasi ossessiva di sostituirsi alla giustizia.

Non ci sarà la costruzione del plastico di Vespa o la figura del criminologo ormai ospite irrinunciabile.

Ma c’è stata un’attenzione genuina, che a mio avviso ha permesso ad un tema “snobbato”, dimenticato, come la sicurezza sul lavoro, di assumere credito e considerazione nei confronti della gente.

Questo è stato un processo esemplare, lo è stato per molti aspetti : a partire dal reato contestato all’amministratore delegato, senza dimenticare quanto è stato grande e quanto ancora lo è, il dolore dei familiari per la perdita dei loro cari.

Quindi ad una situazione “esemplare“, in cui sono state evidenti colpe e responsabilità occorreva rispondere con una sentenza esemplare, che non è una risposta vendicativa,ma una risposta di civiltà ed un risarcimento che non sarà mai congruo.

Nessuna vendetta dunque, nel tempo si valuterà anche se ci sarà lo spazio per il perdono, ma il perdono non si può sostituire alla giustizia.