La recente pubblicazione di Avivah Wittenberg-Cox sulla: “Womenomics in Azienda” fornisce una nuova lettura sull’interruzione delle carriere femminili. Stando alle notizie dei media, le donne entrano nelle imprese e fanno carriera con numeri da record. Poi, improvvisamente, vengono bloccate prima di arrivare ai gradi più alti, quello di membro del consiglio di amministrazione o di partner.Margherita Cogo, "L'Adige", 2 dicembre 2011
Constatazioni di questo tipo hanno prodotto decenni di ricerche e rapporti su quello che stanno facendo o non stanno facendo le donne e su che cosa dovrebbero cambiare, migliorare o reimpostare per raggiungere i vertici delle piramidi aziendali. La domanda che ci si posti per anni è: “che cosa c’è di sbagliato nelle donne, che impedisce loro di arrivare ai vertici?” Questo problema ora che in tutto il mondo il 60% dei laureati sono donne, sembra superato.
In realtà non c’è alcun soffitto di cristallo. La verità è molto più preoccupante, e il problema è endemico. Ne sono impregnati i muri e le culture delle aziende. L’autrice lo definisce “amianto di genere”.
In tutte le imprese il numero delle donne diminuisce rispetto a quello degli uomini in funzione del livello gerarchico, praticamente a partire dal primo. Accade in tutti i settori e in ogni Paese. La domanda di questo secolo non è che cosa c’è di sbagliato nelle donne, ma che cosa c’è di sbagliato nelle imprese, che non riescono ad attrarre, trattenere e promuovere la maggioranza del serbatoio di talenti laureati di oggi, o a mettersi in relazione con la maggioranza del mercato.
Secondo Corrado Passera: “Oggi, (…) è a un più ampio e diversificato bacino di talento che possiamo e dobbiamo rivolgerci per ritornare a crescere e a investire nel futuro: quello delle donne. Secondo i dati elaborati dall’OCSE oggi le donne europee, incluse le italiane, sono nettamente in testa alla classifica per numero di laureati nelle università e nel dottorati di ricerca, con un trend di crescita che rimarrà costante nei prossimi 9 anni. Parallelamente, le donne dei paesi occidentali controllano attualmente la maggioranza delle scelte di acquisto dei maggiori beni di consumo, un mercato stimato in circa 20 mila miliardi di dollari, con previsione di crescita del 40% nei prossimi 5 anni.”
L’eliminazione dell’amianto di genere, dunque pare necessario e richiederà l’impegno congiunto di uomini e donne, nella consapevolezza condivisa, che sarà un passo positivo per l’impresa.Qual è il limite dell’impresa di oggi? Secondo l’autrice sta nell’organizzazione tayloristica del lavoro che si è affermata, in modo egemonico, nel corso del Novecento e che prevede tre cicli distinti:
la carriera inizia dai venti a trent’ anni, quando al giovane lavoratore si chiede di imparare a fare e soprattutto ad obbedire; accelera tra i trenta e quaranta, quando il neo dirigente o funzionario deve mettere alla prova le sue abilità relazionali e le sue capacità di suscitare fiducia; consegue il picco fra i quaranta e cinquanta quando il dirigente spicca il volo verso il top management. Va da sé che questo modello lineare e soprattutto ininterrotto è pensato per l’uomo e non si confà alla situazione della donna, che dai venti a trent’anni intende generare figli e dedicarsi alla famiglia. Accade così quello che le statistiche puntualmente confermano: al loro rientro in azienda, agli inizi del loro terzo ciclo, le donne trovano le posizioni apicali già occupate dagli uomini. Non sono dunque i figli ad impedire l’avanzamento di carriera delle donne, quanto piuttosto il modo arcaico in cui continuano ad essere gestiti nelle imprese i cicli di carriera del personale.
La grande novità delle nuove tecnologie è quella di rendere obsoleta e quindi scarsamente produttiva l’organizzazione tayloristica del lavoro.
Il prof. Zamagni Stefano, professore di Economia Politica all’Università di Bologna, per rendere bene l’idea di come la nostra società e il nostro mondo produttivo abbia bisogno di sviluppare il bilinguismo di genere, e cioè la capacità diarmonizzare tra loro le esigenze di uomini e donne, utilizza la metafora della biga alata del Fedro di Platone: se l’auriga non riesce ad armonizzare tra loro il cavallo nero e il cavallo bianco, la biga non potrà procedere spedita.
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