È sempre bene discutere di lavoro: significa che questo tema ha riacquistato la sua centralità nel dibattito pubblico, dopo che per troppo tempo era stato considerato una questione secondaria e trascurabile.
Bruno Dorigatti, "L'Adige", 27 novembre 2011
Parlare di lavoro significa parlare di lavoratrici e lavoratori, che sono i primi fattori di produzione della ricchezza: ma sono soprattutto esseri umani in carne ed ossa, portatori di diritti irrinunciabili. A loro bisogna pensare ogni qual volta si immagina un qualsiasi intervento sul mercato del lavoro: di teorie astratte, elaborate a tavolino, che considerano i lavoratori elementi neutri della produzione non ne possiamo davvero più. I lavoratori sono tornati al centro della scena: la crisi ha dimostrato a tutti che senza lavoro non c'è sviluppo, e che il lavoro precario e instabile non genera progresso. Il punto di partenza per ogni discussione non può che essere questo.
Dentro il Partito Democratico il dibattito è acceso, segno di una vivacità culturale positiva: una grande risorsa, quando non si tramuta in scontro strumentale.
Vivo con forte sofferenza la divisione interna al partito: non perché non ami il dibattito, al contrario. Ritengo queste divisioni molto dannose perché sono proprio esse a stroncare il confronto: in un partito diviso le idee non sono più argomento di arricchimento collettivo e spunto per un programma di governo, ma diventano armi per la sfida del predominio interno. Finché le idee vengono usate come clave per vincere un duello tutto chiuso all'interno del partito, queste idee sono destinate a rimanere parole vuote. Trovo quindi del tutto fuori luogo che il Presidente del Partito democratico del Trentino intervenga sull'Adige non per esprimere le posizioni del suo partito, ma quelle della sua corrente: non nego a lui la possibilità di intervenire nel dibattito interno, ma ci tengo a ribadire che ci sono luoghi opportuni per farlo, e sono le assemblee e i confronti tra gli iscritti, non gli editoriali sui quotidiani.
La linea del Pd sul lavoro non è un idolo intoccabile, ne sono consapevole: ma è fuori da ogni logica di correttezza dimenticarsi che quanto emerso dal Congresso è vincolante per tutti, a maggior ragione per chi ha il privilegio di ricoprire alte cariche. Il Segretario Bersani è stato molto chiaro: non si barattano i diritti dei padri con quelli dei figli. Parlare di flexsecurity significa parlare di politiche attive del lavoro, di ammortizzatori sociali, di copertura contributiva nei periodi di non lavoro. Cosa c'entri questo con l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori non è dato sapere: nemmeno le parti datoriali credono che aumentare la libertà di licenziamento possa rendere più dinamico il mercato del lavoro, in mancanza di una seria strategia di politica industriale.
Forse di questo bisognerebbe parlare: di come rendere più forte, innovativo e competitivo il sistema industriale italiano. Non è affatto una politica conservatrice, al contrario: è quanto di più progressista si possa attualmente fare, perché senza innovazione non c'è crescita, senza crescita non si creano buoni posti di lavoro, e senza posti di lavoro l'unico destino che abbiamo di fronte è fatto di precarietà e disoccupazione. È molto difficile e impegnativo, perché chiama in causa molti fattori: di licenziare son buoni tutti, ma è la famosa risposta semplice ad una domanda complessa, e noi dobbiamo fare qualcosa di più.