Con l'uscita di scena di Berlusconi abbiamo in molti tirato un sospiro di sollievo. Ciò nonostante è bene sapere che il tunnel dal quale uscire è ancora lungo, non solo perché l'eredità che ci lascia è di quelle pesanti, ma perché se l'uomo di Arcore ha potuto governare per così a lungo è stato grazie al consenso di un paese che si è andato smarrendo sul piano dei valori e dell'immaginario collettivo.
Michele Nardelli, 23 novembre 2011
Un'amnesia profonda, fatta di populismo e cattiveria sociale, di spaesamento e di caduta morale. I nodi di un mondo impazzito stanno venendo al pettine uno dopo l'altro. Crisi ecologica, crisi finanziaria, crisi politica e morale dovrebbero indurci alla riflessione su quel che stiamo confezionando per le generazioni a venire, eppure ho la sensazione che ci sia una diffusa incapacità di mettere a fuoco gli avvenimenti, preferendo come al solito rincorrere le emergenze.
Eppure quel che accade è così grave che non possiamo permetterci uno sguardo distratto, incapace di legare una crisi all'altra, tanto meno pensare che possiamo affrontarle nella logica del «si salvi chi può». Faticano ad emergere narrazioni all'altezza delle trasformazioni in atto ed un progetto culturale e sociale realmente alternativo alle ragioni che hanno fatto precipitare questo nostro tempo (e questo nostro paese) in una crisi forse senza precedenti. Provo a mettere in fila questi nodi.
1) Sette miliardi di esseri umani A Manila è venuta alla luce Danica, il sette miliardesimo essere umano del pianeta Terra. Evento peraltro subito contestato da chi rivendicava altrove tale primato. Contesa ci racconta di come un avvenimento che dovrebbe farci meditare sia stato dai più considerato come un fatto di cronaca. Che la popolazione della Terra si stia moltiplicando in misura esponenziale tanto da prevedere il raggiungimento dei 9 miliardi di esseri umani nel 2030 non sembra affatto turbare le coscienze anestetizzate dal mito della crescita. Eppure per far posto a ciascuno di questi sette miliardi di cittadini è necessario che tutti facciamo un passo indietro.
2) Il clima è fuori dai gangheri Poche ore di intensa pioggia e territori caricati all'inverosimile si trasformano in fiumi di fango e morte. Che il clima stia cambiando ad una velocità senza precedenti, lo riconoscono tutti ma poi prevalgono l'incuria e l'interesse privato. Ad essere a rischio - oltre al nostro Bel Paese immerso nel dissesto idrogeologico - sono i ghiacciai alpini, i poli che si stanno assottigliando, ma anche molte delle specie viventi se consideriamo che nell'arco di pochi anni sono scomparse il 71% delle specie di farfalle, il 54% delle specie di uccelli, il 28% delle piante.
3) L'ossessione Anziché interrogarsi su dove stiamo portando il pianeta, i fari sono puntati sull'ossessione di un'economia che non sa immaginarsi senza crescita. Ovvero di quello sviluppo senza limiti che della crisi ecologica e dell'impoverimento del pianeta è la causa principale. Il panico è per l'andamento dei mercati, senza nemmeno accorgersi che il sistema finanziario globale è da tempo entrato in una spirale perversa, per cui l'economia reale confligge con una finanza che scommette sulla sua stessa crisi, sulla penuria e sui prezzi delle materie prime, sulle guerre che ne vengono, sulla disoccupazione, sull'andamento delle banche e dei titoli di stato emessi per salvarle dalla loro ingordigia speculativa (per questa operazione la Federal Reserve ha stanziato verso le banche statunitensi la modica somma di 16 trilioni, ovvero 16.000 miliardi di dollari).
4) Un modello che non crea ma distrugge valore Un modello che non s'interroga sulla propria insostenibilità ha prodotto un debito pubblico senza precedenti, che pesa come un macigno su ciascuno di noi. Che si è prodotto in una fase ben successiva a quella dell'intervento dello Stato nell'economia. Anzi, per dirla tutta, è balzato alle stelle proprio quando si è teorizzato il contrario, ovvero con l'idea che di «politica economica» non si dovesse più sentir parlare. È stata la finanziarizzazione dell'economia la causa principale della spirale del debito, dovendo sostenere un sistema che produce sempre meno e non valorizza a dovere quello che ha di unico, la terra, l'ambiente, la cultura.
5) La crisi di visione Le manovre che abbiamo conosciuto in questi anni partivano dall'idea che ci si trovava di fronte a crisi congiunturali, che dunque il problema era quello di far cassa in attesa di tempi migliori, non di mettere in atto riforme strutturali. Tant'è vero che anche nell'ultima manovra di bilancio, gli interventi hanno riguardato le pensioni, i tagli alla finanza locale, la privatizzazione delle municipalizzate (quando con il voto referendario l'Italia si è espressa per la salvaguardia di un bene comune come l'acqua). Scontiamo in altre parole la terza crisi, quella di una politica priva di visioni alternative. La dittatura dei mercati (finanziari), la deregolazione dell'economia e dei rapporti internazionali, lo smarrirsi della cultura della responsabilità e dell'etica nei comportamenti, hanno favorito la nascita di fondamentalismi, di volta in volta fondati sulla «non negoziabilità» di sistemi di vita globalmente insostenibili, sullo «scontro di civiltà» e sulla paura.
6) Un cambio di prospettiva s'impone, la cultura del limite. Dovremmo dirci con molta onestà che l'ammonimento sui «limiti dello sviluppo» lanciato nell'ormai lontano 1972 dagli scienziati del Club di Roma è stato ampiamente superato dalla realtà. Allora vennero tacciati come catastrofisti, ma erano realisti, invece, visionari come dovrebbero essere le persone che guardano con responsabilità al futuro piuttosto che al loro consenso. Ripartire dalla terra (dall'economia vera), investire sul patrimonio straordinario che l'Italia ha sul piano dei beni ambientali e culturali, imparare la bellezza e l'eleganza della sobrietà, intrecciare le unicità con la fantasia, la ricerca e l'innovazione, smetterla di buttare miliardi nelle diseconomie delle spese militari, valorizzare i saperi e l'esperienza, piuttosto che la cultura della rottamazione: mi piacerebbe che la politica sapesse mettere nella propria agenda (e in quella dell'azione governativa di Mario Monti) almeno qualcuno di questi nodi di fondo.