Il senatore esorta il Pd: spazio ai dirigenti giovani. Se le politiche saranno nel 2013 vuole un leader di nuova generazione.
L. Patruno, "L'Adige", 1 novembre 2011
Per il Pd nazionale il tempo è quasi scaduto. Sembra un paradosso, ma mentre il governo Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene sta attraversando il suo periodo peggiore di conflittualità interna, il principale partito di opposizione non riesce ad approfittarne, perché non viene riconosciuto come un'alternativa credibile. Il Pd infatti non ha ancora deciso cosa vuole essere e - sempre alle prese con gli scontri interni - rischia oggi di esplodere o dichiarare fallimento.
E liberi tutti. Il senatore Giorgio Tonini, presidente del Pd del Trentino, è tra i fondatori del Partito democratico, avendo vissuto al fianco del primo segretario Walter Veltroni la nascita di questo ambizioso progetto di partiti a «vocazione maggioritaria» nel 2007. Tonini riconosce che il momento è cruciale per il futuro del partito, ma esclude gli scenari più cupi perché è pronto a scommettere sui tanti giovani del Pd che proprio in queste settimane hanno iniziato a confrontarsi su idee diverse.
E invita i big e i «vecchi» del partito a farsi da parte.
Senatore Tonini, il Big bang di Matteo Renzi è la metafora di un partito che salta per aria? Macché. Il Big bang rappresenta la nascita, non la morte di qualcosa. Io non sono stato a Firenze ma guardo con molta attenzione e rispetto a quello che è successo a Firenze come ai duemila giovani del Pd che si sono ritrovati a Napoli o l'incontro di Civati-Serracchiani a Bologna dell'altra settimana. Ho la soddisfazione di un padre che vede i figli prendere la propria strada. Tutto questo non spacca il Pd, ma è bello, creativo, vivace e dimostra che il Pd è pieno di giovani.
Stanno emergendo energie nuove, ma poi alla guida del partito restano sempre i soliti nomi. Bersani a proposito del ricambio generazionale ha detto che i più vecchi, ovvero noi, dobbiamo metterci a disposizione dell'emergere di una nuova generazione di dirigenti.
Cosa vuol dire secondo lei? Penso che se ci sarà, come mi auguro, un governo di solidarietà nazionale per gestire la grave crisi economica e si andrà al voto nel 2013, avremo tutto il tempo per un confronto democratico che faccia emergere nuovi dirigenti; e tutti noi vecchi dovremo farci da parte.
Quindi anche un nuovo segretario. Devono farsi da parte Bersani, la Bindi e gli altri vecchi di cui si parla? Sì, tutti. Siano questi giovani il nostro investimento sul futuro. Abbiamo sempre detto che il Pd sarebbe nato veramente quando non avremmo più parlato di un «ex qualcosa» ma solo di democratici. Questo è il momento.
Lei dice che questa vivacità e capacità di elaborazione nel partito rappresentata dal sindaco di Firenze e da altri è una ricchezza. Ma la realtà è che esprimono idee molto diverse, in alcuni casi opposte. Il Pd è in grado di metterle in ordine e scegliere cosa vuole essere? Questo è il vero problema. Alla stazione Leopolda con Renzi abbiamo visto molti giovani ricercatori, imprenditori, cervelli italiani in fuga, ovvero parte del target a cui il Pd degli inizi voleva rivolgersi e ai quali non siamo riusciti a dare una casa. Quando Veltroni si dimise da segretario riconobbe il suo fallimento per non essere riuscito a organizzare le tante energie.
Il vostro segretario Bersani parlando di Renzi è stato molto duro dicendo che ha espresso «idee usate degli anni ‘80». Cosa ne pensa? Non ho condiviso l'anatema di Bersani. Liquidare così quell'incontro mi è parso aver ceduto a un riflesso vetero-comunista inaccettabile. Riproporre le polemiche Pci-Psi degli anni ‘80 è sbagliato. Tanto più che su tutti i temi di allora, esclusa la grande questione morale, aveva ragione il Psi di Craxi rispetto al Pci di Natta. Se qualcuno pensa di ripartire da quell'approccio degli anni ‘80 allora il Pd è destinato a finire male. E men che meno ha senso riproporre una polemica postuma su Clinton e Blair.
Però questo è il punto cruciale su cui il Pd deve fare una scelta: vuole essere un partito di sinistra stile Vendola e Cgil o un partito riformista? Certo, è il punto cruciale. Renzi si è comportato come il nano sulle spalle dei giganti, che è la cultura politica della «terza via», ovvero di una sinistra che vuole guardare avanti a sè, non una sinistra legata a vecchi dogmi e conservatrice. I nostri valori della solidarietà e dell'uguaglianza non possono essere identificati con gli strumenti delle società industriali degli anni ‘70. La sfida è l'innovazione nell'affrontare problemi nuovi e sarebbe paradossale che Berlusconi si appropriasse delle nostre idee, come la proposta di Pietro Ichino sulla flexecurity, che unisce sicurezza e flessibilità sul lavoro, come nei paesi scandinavi.
Tra i giovani del Pd c'è chi non la pensa così. Lo so. Orlando, Fassina, Zingaretti e anche Civati e la Serracchiani hanno altre idee. Ci sarà un confronto.
E se si vota nel 2012? Sarebbe un incubo: una campagna elettorale con l'alleanza tragicomica guidata da Berlusconi-Bossi e dall'altra il Pd nella santa alleanza contro, che poi non riesce a governare. Non se ne può più. L'Italia ci chiede di voltare pagina.