Welfare: verso il piano sociale provinciale

Il 24 ottobre ho convocato la commissione legislativa che presiedo (competente tra l’altro sui temi welfare, sanità, istruzione e ricerca) per una seduta straordinaria: all’ordine del giorno non vi erano disegni di legge o regolamenti su cui esprimere un parere, ma una tornata di audizioni sul tema del “Welfare di Comunità”.
Mattia Civico, 27 ottobre 2011

Siamo in un momento di grandi cambiamenti: l’aumento evidente di situazioni di fragilità e la contestuale riduzione delle risorse rischia di schiacciare il dibattito sul welfare unicamente su temi amministrativi e di organizzazione dei servizi in cui la parola d’ordine è spesso razionalizzazione e riduzione della spesa, rischiando a volte di perdere di vista l’aspetto più politico e sociale legato al welfare che è quello della costruzione di uno spazio collettivo in cui ognuno può sentirsi meno solo e fragile. Che diventa spazio sempre nuovo di identità futura.

Il welfare dunque come strumento per generare tessuto connettivo, mantenere insieme il tessuto sociale nelle sue diverse articolazioni, per costruire condizioni volte a ridurre disuguaglianze, disparità, sofferenze, esclusioni, fragilità, conflittualità.

In questo senso la nostra Provincia ha un tessuto sociale forte e ricco, una radicata esperienza legata alla mutualità, alla cooperazione, alla capacità delle istituzioni e delle comunità locali di ascoltare e organizzare la solidarietà e la giustizia sociale. Un livello di benessere sociale e di competenze in campo, con una oggettiva qualità dei servizi che pone il nostro territorio certamente all’avanguardia nel panorama nazionale.

Nella scorsa legislatura la riforma istituzionale e la riforma del welfare hanno trasferito le competenze di politica sociale in buona parte ai comuni e alle comunità.

In questa legislatura la riforma sanitaria ha riorganizzato il settore dell’integrazione sociosanitaria. A breve saremo chiamati a valutare i regolamenti che fisseranno livelli essenziali e costi standard.

E quindi: siamo in questa fase cruciale di scelte e cambiamento che sono destinati a mutare  anche i modelli di welfare. Dobbiamo dunque prestare massima attenzione: operare sulla organizzazione dei servizi, qualificare l’offerta, specializzare, innovare, aumentarne la qualità, senza mai perdere di vista il fine primo ed ultimo del welfare: affermare nei fatti l’appartenenza di ognuno alla medesima comunità e quindi costruire le condizioni perché sia davvero uno spazio di giustizia sociale.

Prima dunque di addentrarci ulteriormente nei compiti affidati alla Commissione (valutazione del Piano Sociale Provinciale) mi è parso opportuno promuovere un momento di confronto ed approfondimento per mettere a disposizione uno spazio istituzionale al confronto, per una maggiore consapevolezza di tutti di quali siano i punti di forza e debolezza in questo delicato momento.

Lo abbiamo fatto innanzitutto invitando tre esperti di fama nazionale:

FRANZA OLIVETTI MANOUKIAN: psicosociologa dello Studi APS di Milano (Analisi Psico-Sociologica).  Da circa trent’anni svolge attività di formazione, consulenza organizzativa e ricerca in particolare presso organizzazioni che producono servizi. E’ socia e presidente dello Studio APS, società di consulenza che opera presso aziende sanitarie locali, enti pubblici, aziende private. Ha pubblicato vari articoli e testi sui servizi; ha evidenziato come l’immagine di welfare cui siamo ancora attaccati “fa parte di un mondo che non esiste più. Non si può pensare che ogni problema umano o familiare possa avere risposta, o che – come nonostante tutto i programmi politici continuano a promettere – i disagi sociali saranno risanati fino a soddisfare tutte le aspettative di benessere e felicità individuali”. Il grave è che credere in questo welfare non è senza conseguenze: moltiplica le difficoltà e impedisce di riconoscere la vera natura dei disagi, inducendo la gente a fidarsi dei primi imbonitori che trova. Anziché parlare di welfare occorre sforzarsi di comprendere la vera natura dei problemi, che vanno riconosciuti e rappresentati “in modo convergente”. I problemi non si possono eliminare o semplificare (ad esempio medicalizzandoli): vanno gestiti”. Come? “Tutelando i diritti soggettivi delle persone, che anche quando sono anziane hanno una loro storia e dignità da rispettare pienamente. Ma questo può accadere – ha concluso Manoukian – solo costruendo legami, connessioni e sinergie”. Un approccio metodologico di questo tipo permette di risparmiare risorse.

FLAVIANO ZANDONAI: sociologo, si occupa di organizzazioni non profit e di impresa sociale. E’ segretario di Iris Network, la rete degli istituti di ricerca sull’impresa sociale e si occupa di comunicazione per conto di Euricse, l’istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale. Opera inoltre come ricercatore e consulente per conto di importanti organizzazioni (Gruppo cooperativo Cgm) e media (Vita Magazine) del settore; ha analizzato il modo di intendere il proprio ruolo e quello degli altri soggetti attivi nel welfare che si ha nell’ente pubblico e nelle imprese sociali. Lo ha fatto a partire da un’indagine del 2006 e tuttavia proprio per questo libera dall’assillo dell’attuale dibattito sulla riforma istituzionale. La ricerca metteva a confronto rappresentazioni e pratiche degli addetti ai lavori negli enti locali (122 i comuni sentiti) e nelle organizzazioni non profit produttive (imprese sociali, 51 interviste). Rivelando che le amministrazioni comunali si considerano in grado di gestire in modo trasparente le risorse rispettando regole e procedure (garanzia dei diritti) e vedono nel terzo settore un interlocutore capace di leggere i bisogni e pianificare interventi più flessibili. Il non profit si considera invece in possesso di competenze superiori a quelle degli enti locali (percependosi come il “sistema esperto” nel campo del welfare). Di convergente tra pubblico e Terzo Settore vi è un approccio relativamente unitario alla qualità del welfare incentrato sulla risposta ai bisogni degli utenti caso per caso, la professionalità degli operatori (formazione), la capacità di leggere i bisogni emergenti (metodo), l’integrazione degli interventi (innovazione). In conclusione, per Zandonai, i capisaldi di un possibile nuovo welfare comunitario che vedono una sostanziale concordanza tra comuni e soggetti non profit sono: la responsabilizzazione della cittadinanza, la ricerca di risorse aggiuntive, la razionalizzare della spesa e la diversificazione della domanda.

FABIO FOLGHERAITER: docente universitario di metodologie e tecniche del lavoro sociale presso l’Università Cattolica esperto nel lavoro sociale di rete, editore (Erickson), formatore di molti operatori sociali, assistenti sociali e professionisti che operano nel welfare trentino. “Quando si vuole giocare la partita del welfare con una presunzione risolutiva dei problemi sociali – ha osservato Fabio Fologheraiter – l’esito non è solo negativo in termini di risorse ma si ritorce contro gli stessi operatori dei servizi erogati”. Qual è allora l’alternativa? “In una provincia come la nostra in cui i sistemi di welfare sono ben strutturati, ragionare per standard minimi vorrebbe dire battere in ritirata, significherebbe riconoscere che il nostro welfare attuale è più ricco di quello che ci si può permettere e che occorre arretrare verso linee di confine più realistiche. Il tema dello standard minimo è stato introdotto dalle politiche liberiste per le quali bisogna lasciare al mercato la gestione dei servizi più personalizzati, la care. Si tratta allora di decidere se cedere al mercato la cura e assistenza della persona è adeguato o meno. Il Trentino – ha concluso Folgheraiter – ha nel dna della propria tradizione di welfare comunitario i propri anticorpi a questa deriva. Una tradizione di esperienze di cui non siamo sufficientemente consapevoli, che ci dicono che il welfare comunitario è una possibile via d’uscita dai guai in cui ci troviamo”. In che senso? Nel senso che “il welfare non significa più affrontare le situazioni con il ‘laser’, ma favorire nelle persone l’interesse per il proprio miglioramento, affinché questo interesse trasferisca nelle situazioni l’energia tipicamente umana indispensabile perché le cose possano migliorare. Il sistema dovrebbe concentrarsi sulle preoccupazioni consapevoli delle persone, perché si rendano conto dei loro problemi e si attivino per cercare una soluzione. Questa è una risorsa fondamentale”.

TERZO SETTORE: il presidente di Consolida ha presentato un documento unitario del Terzo Settore trentino (Consolida, Consolida, Caritas, Anffas, Villa Maria, Fondazione Famiglia Materna) che allego qui di seguito. Un documento denso nei contenuti e importante dal punto di vista politico: è frutto dello sforzo condiviso tra soggetti diversi e penso che in questo preciso momento questa modalità di relazione con le istituzioni sia anche dal punto di vista del metodo un apporto prezioso. Presente anche la rappresentanza delle case di riposo (UPIPA). “La pianificazione a livello di comunità sta muovendo i suoi primi passi”, ha osservato Silvano Deavi  non solo a nome del Consolida di cui è presidente ma anche di numerosi altre associazioni non profit presenti alla consultazione. “Il quadro di indicazioni metodologiche e statistiche è ancora troppo poco definito. Il sistema informativo delle politiche sociali è in fase di cantierizzazione e, ad oggi, la base statistica su cui sviluppare l’analisi dei bisogni e dei servizi esistenti è deficitaria e disomogenea”. Solo da poco diverse comunità hanno costituito i Tavoli necessari per realizzare l’analisi dei bisogni ed elaborare i Piani. Il lavoro di mappatura dei bisogni è quindi necessariamente parziale ed approssimativo. “L’utilità e la validità del lavoro realizzato fino ad oggi – ha proseguito Deavi – deve perciò considerare queste oggettive condizioni di limitatezza dei risultati a cui arriveranno le comunità. Considerazione necessaria se sulla base di tali risultati saranno formulate le decisioni in ordine al riparto delle risorse finanziarie ed organizzative da assicurare alle comunità nel 2012″.

CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI: Erano presenti gli assessori Menapace (CAL), Violetta Plotegher (Trento), Luigi Olivieri (Giudicarie), Fabrizio Gerola (Rovereto). Hanno manifestato qualche preoccupazione circa i tempi di elaborazione dei Piani sociali di Comunità (consegna linee di indirizzo entro il 31 ottobre) che poi dovrebbero ispirare il Piano Sociale Provinciale.

ASSESSORE ROSSI: ha illustrato i motivi e le condizioni che dal suo punto di visto richiedono l’intervento regolamentare urgente pur dicendosi disponibile alla “manutenzione in itinere” del piano sociale Provinciale”

LA CONCLUSIONE DI FRANCA OLIVETTI MANOUKIAN: “Non possiamo rimuovere tutti i mali del mondo ma cercare di tutelare i diritti evitando di escludere qualcuno apriori. La coerenza economica è un dato di realtà purtroppo molto sottovalutato nel passato. Questioni di metodo.. Non si può partire dalla rilevazione dei bisogni perché la gente vuole di tutto e di più. Occorre allora muoversi con delle ipotesi su come affrontare i fenomeni e chiedere ai rappresentanti dei cittadini e alle organizzazioni sociali cosa ne pensano. Partecipazione non vuol dire chiamare tutti a raccolta per parlare insieme di un problema, ma avere un’ipotesi rispetto alla quale si sollecita a portare ragionamenti, esperienze ed istanze. Preferisco la parola progettazione al termine pianificazione, perché implica il pensiero di chi la utilizzerà. La rilevazione delle questioni richiede un forte investimento nella elaborazione e nell’interpretazione per poter restituire alle persone qualcosa di significativo e permettere loro di capire. Chi sta peggio è meno in grado di capire di che cosa ha bisogno. Esempio: adolescenti problematici: il problema non sono loro ma il fatto che siano saltate le relazioni intergenerazionali. Da qui dipendono interventi sociali diversi. Per garantire un minimo di protezione a tutti occorre muoversi in maniera dinamica. Non fare la fotografia di tutto, ma tener d’occhio quello che succede. Il capitale sociale non è statico ma può essere accresciuto o diminuito a seconda dagli interventi che si mettono in campo. Per questo è importante rivolgersi alle famiglie e riconoscere le differenze. Nelle politiche sociali è molto più facile e utile intervenire sulle situazioni di disagio più lievi perché possano uscire rapidamente dalla tutela dei servizi e diventare a loro volta risorse per il sociale aiutando ad affrontare altre situazioni più gravi. Sotto questo profilo è forte tra gli operatori sociali la resistenza ad un cambiamento. C’è più attenzione alle realtà legislative istituzionali che alla dimensione orizzontali, alle esperienze che ci muovono sul territorio. Un nuovo approccio al sociale è possibile a partire dalle piccole esperienze.