Le vicende dell’economia globale e della crisi sociale che ne è la conseguenza hanno determinato nelle ultime settimane reazioni e mobilitazioni che ci rendono evidente che siamo ormai seduti su una “polveriera sociale”. E sono stati, come altre volte nella storia è accaduto, i giovani per primi a dare segnali di ribellione contro una politica che ha confiscato loro il futuro.
Lorenzo Passerini, "Trentino", 21 ottobre 2011
La questione generazionale esiste eccome ed è ben presente: quella dei giovani d’oggi infatti rischia di essere una generazione saltata. Molte sono le persone di valore che conoscono le lingue, hanno una formazione di qualità, si impegnano, ma l'Italia è un Paese strutturalmente conservatore che privilegia le rendite a chi innova. E queste persone devo arrabattarsi in qualche modo senza mai avere una prospettiva di lavoro qualificante che permetta loro di essere utili a sé stessi e agli altri.
Troppo spesso però sono i giovani stessi a non capire che la dimensione pubblica e politica è una delle poche armi che permette loro di contare di più. Se sono altre generazioni ad essere maggiormente organizzati, a fare la fila per votare inevitabilmente poi i loro interessi peseranno di più nelle scelte. Sarebbe però troppo facile criticare però i giovani su questo terreno. Il valore politico principale dei movimenti di massa non sta infatti nella bontà delle proposte programmatiche. I movimenti non sono partiti, non sono dipartimenti di ricerca accademici, sono aggregati magmatici, plurali, fatti di tante voci spesso tra loro contraddittorie.
È però necessario sforzarsi di proporre soluzioni realistiche e dare canalizzazione politica ad un movimento che anzi rischia di colorarsi di antipolitica. I giovani devono quindi richiedere politiche pubbliche orientate verso i settori innovativi e capaci di cambiare nel profondo e stabilmente i connotati strutturali della nostra economia. Si pensi ai nuovi business basati sulle tecnologie ambientali e sul risparmio energetico. Vi è inoltre la necessità di ridurre la distanza tra la scuola, l’alta formazione, la ricerca e le imprese per far si che i talenti possano trovare una struttura economica in cui finalizzare le loro aspettative di lavoro. Solo così potremmo infatti garantire in futuro quei posti di lavoro qualificati in grado di valorizzare meglio i percorsi formativi e professionali dei più giovani.
Le politiche che mirano a qualificare la crescita e il lavoro devono però essere accompagnate a moderne politiche di welfare. È quindi importante garantire maggiore equità promuovendo misure universalistiche svincolando le politiche di sostegno e stabilità dei redditi dei lavoratori dalle condizioni di dipendenza degli stessi dalle imprese.
Sebbene le nuove generazioni si tengano a debita distanza dalla politica, nel momento in cui chiedono più lavoro, scuola migliore, più speranza per il loro futuro, più giustizia sociale e libertà di esprimere il proprio talento, di fatto stanno chiedendo più politica, anche se inconsapevolmente. Stanno chiedendo più capacità di capire i bisogni e di tradurli in decisioni e cambiamento.
Oggi siamo attoniti per gli scandali che occupano le cronache quotidiane e disgustati dal discredito gettato sulle istituzioni, ma questi sentimenti comprensibili dovrebbero spingerci ad un maggiore impegno in politica, non alla distruzione del poco che è rimasto, sull’onda dell’antipolitica.
I giovani devono quindi maggiormente impegnarsi in prima persona, sporcarsi le mani, combattere, raccogliere consenso e tradurlo in rappresentanza in tutte le sedi decisionali.