Quando Degasperi parlò a Predazzo

Beppe Zorzi, "Trentino", 13 marzo 2011
Predazzo e la Valle di Fiemme hanno sempre risvegliato in Degasperi non solo il tenero ricordo della madre,ma anche l’ardore degli anni giovanili, quando, a soli ventiquattro anni, il politico trentino si batteva in difesa dei “segantini” e a trenta, nel 1911, veniva eletto deputato a Vienna, anche con il suffragio dei fiemmesi, che facevano parte del suo collegio elettorale.

 Scorrendo le pagine de “La Voce Cattolica” del 1905, il 17 agosto troviamo un articolo del Nostro, con l’usuale pseudonimo Fortis, in cui vengono descritte le pessime condizioni di lavoro dei lavoratori nelle piccole segherie della val di Fiemme e dove si auspica un’associazione per rendere più forti le loro richieste. Il ragionamento di Degasperi è come al solito asciutto e concreto: “... il proprietario della sega affida ad un operaio-maestro la sega e paga £1,70 per %. Le assi vengono accastellate a disseccare e l’operaio che lo fa riceve 10 soldi per 100 assi. La sega gira giorno e notte incessantemente; l’operaio deve quindi prendere un socio che condivida sonno e lavoro... Così di giorno, così di notte, e la giornata è di 14 ore... Quando questi due uomini alla festa faranno i conti, saranno felici se potranno dire d’aver guadagnato £ 1,20 al giorno!... Inoltre, in caso di piena o di gelo... il segantino deve starsene colle mani in mano, tanto che nelle seghe di Predazzo, per esempio, non si lavora in media più di 10 mesi l’anno”.
 Incaricato dai “segantini” della valle di interessare la pubblica opinione - “quest’altra potenza di cui in tutte le lotte si deve tener conto” - Degasperi lottò sino a quando riuscì a portare a casa quanto riteneva giusto per la sua gente, gente dalla “scarpa grossa”, non avvocati della ristretta e ricca borghesia cittadina!
 Quarantasette anni dopo, il 31 agosto 1952, in val di Fiemme “l’Alcide” sarebbe invece tornato come Presidente del Consiglio e in uno dei suoi più riusciti discorsi pubblici, quello pronunciato proprio a Predazzo, avrebbe ricordato che in questo paese “ho cominciato ad occuparmi dei lavoratori più poveri, i lavoratori a favore dei quali si dovettero organizzare degli scioperi per arrivare a undici ore di lavoro, perché ne facevano quattordici... e allora feci le mie prime armi, o quasi le prime armi, oltre a quelle che come studente universitario facevo con gli arrotini emigrati dalla Rendena, emigrati dal Trentino, anche essi poveri, abbandonati, in mezzo ad una nazione straniera e che avevano bisogno di un appoggio, di una organizzazione”.
 Sentendo già nel primo contatto con i “suoi montanari” che “bisogna lavorare per questo popolo, perché il popolo abbia quello che è necessario”, ecco che per Degasperi l’incontro di Predazzo “è incontro di popolo, gente del lavoro. Non sono qui rappresentate le ricchezze, non sono rappresentati antichi castelli, né io le potrei rappresentare, perché mi mancano le attitudini, l’esperienza della ricchezza. Ma è qui rappresentato il lavoro, è rappresentata la povertà, è rappresentata la onesta vita della fatica”.
 Lo si è più volte ricordato: la storia politica di Degasperi è stata quella di un grande statista; ma anche quella di un politico, di un uomo per molti versi “solo”. Non stupisce. Consapevole, per un verso, che “ciò che importa non è aver ragione subito, ma a distanza di 20 anni”, Degasperi era anche convinto che il vero politico si qualifica per la capacità di “maturare l’azione a mano a mano che maturano i tempi e le azioni”, facendo comunque sempre il proprio dovere, a qualunque costo!
 Sapeva, peraltro, Degasperi di appartenere ad una generazione “disgraziata”, per essere passata attraverso ben due guerre mondiali. Continuò fino alla fine dei suoi giorni a rifiutare certa retorica di parte, convinto com’era che “la Repubblica italiana sarebbe perduta se, per obbedire alle sue leggi, fosse lecito aspettare che essa divenga o rossa o bianca o verde. Il tricolore vale per tutti”.
 In tempi in cui non solo la politica sembra talora essersi trasferita a Porta a Porta o in altri salotti televisivi dagli svariati colori, ma dove, ancor più, spesso con l’avversario non si ha più né tempo né voglia di argomentare, ancor meno di costruire e consolidare quello che andrebbe semplicemente definito “bene pubblico” o “bene comune”, credo fermamente che ad una Fondazione come quella da me diretta - una Fondazione che si presenta sull’esterno come “trentina” e nel nome di Degasperi - risulti strategicamente fondamentale quanto eticamente doveroso un investimento crescente nel sostenere e facilitare un forte e sempre più diffuso confronto culturale e civico di “popolo”, nelle valli così come nei centri cittadini di questa speciale “terra tra i monti”.
 Perché, in fondo, resta vero quello che Degasperi volle dire, a fine discorso, alla gente di Predazzo in quel lontano 1952, e cioè che al di là di ogni giusta trasformazione e modernizzazione la politica deve sempre essere al servizio delle aspirazioni più autentiche dei popoli in cammino, specie delle nuove generazioni che di volta in volta si fanno strada: se dunque è inevitabile che “le acque cambiano per il lavoro che deve procurare nuove energie”, è bene non dimenticare mai che “le fonti dell’Avisio e del Travignolo sono sempre quelle”.