Piergiorgio Cattani "Trentino", 11 marzo 2011
Mancano 2 anni e mezzo alle elezioni provinciali e i partiti stanno iniziando le manovre di avvicinamento a questa scadenza elettorale. Per i semplici cittadini trenta mesi potrebbero sembrare un tempo lunghissimo ma solitamente per la politica trentina occorre cominciare ad allenarsi molto presto per una gara sempre insidiosa.
Enrico Pancheri ripeteva che la campagna elettorale incomincia il giorno successivo all’avvenuta elezione: altri tempi forse quando la Dc sembrava immortale e si agiva sui tempi lunghi. Oggi tutto si è velocizzato ma ugualmente chi pianifica prima più possibilità ha di ottenere un buon risultato.
È noto come Lorenzo Dellai sia un abile pianificatore. In questi ultimi anni però qualcosa si era appannato sia a livello provinciale sia a livello nazionale. Troppi esperimenti falliti, troppa confusione in una matassa difficilmente districabile. Con la nascita del Partito democratico (nel 2007 quando c’era ancora il governo Prodi) si è involontariamente innestata una spirale negativa per tutto il centro sinistra, con crescenti ripicche e con la sconfitta elettorale del modello veltroniano del partito “a vocazione maggioritaria”.
Dellai ebbe buon gioco a criticare fin da subito il progetto affermando che in Trentino bisognava costruire un soggetto più territoriale e autonomista. Per alcuni mesi, a causa del suo veto, il Pd non poté nascere in Trentino. Alla fine anche il Presidente, segnato dall’impatto negativo delle inchieste giudiziarie e timoroso (forse troppo) di un tracollo elettorale, decise di chiudere l’esperienza della Margherita e di varare l’Upt.
Superfluo sottolineare come le motivazioni addotte per giustificare la nascita dell’Upt erano molto simili a quelle portate alcuni anni prima per la fondazione della Civica Margherita e ancora più simili a quelle descritte oggi per il ritorno alle origini. Ma non può essere altrimenti perché Dellai continua a rappresentare il punto di riferimento per l’elettorato post democristiano le cui priorità non cambiano. Ritornare alla Margherita significa certificare l’inadeguatezza del progetto dell’Upt e fare marcia indietro rispetto alle ultime “sbandate” nazionali. Partecipare in prima linea alla nascita dell’Api di Rutelli, ora sparita nel calderone del terzo polo, non ha fatto bene al nostro Presidente giudicato troppo desideroso di trovare una collocazione nazionale. Tuttavia qualche mese fa nessuno prevedeva che in primavera Berlusconi fosse saldo a Palazzo Chigi, che il progetto di Fini trovasse così grandi difficoltà e che le elezioni si spostassero fin forse ad arrivare alla scadenza naturale del 2013. Il quadro è sostanzialmente mutato e occorre subito adattarsi.
D’altra parte il Pd veleggia in acque burrascose con vorticose correnti (interne) sempre sull’orlo della scissione. In effetti il partito le ha provate tutte: la piazza e la raccolta di firme contro Berlusconi, il confronto in Parlamento sui contenuti, l’alleanza larga da Fini a Vendola, il partito perno di una coalizione più omogenea... niente da fare, la spregiudicatezza e il controllo dell’informazione di Berlusconi consentono al primo ministro di dormire sonni tranquilli (nonostante i processi che avrebbero fatto dimettere chiunque), mentre i dirigenti del Pd, come allenatori sull’orlo dell’esonero, cercano di cambiare formazione a ogni partita.
Non è un caso che questa situazione del Pd si ripercuota anche sul partito in Trentino causando malumori e fuoriuscite. Anche la prova di governo provinciale del partito stenta quasi che si preferisca restare in seconda fila per ottenere una rendita di posizione. Al di là di ragioni personali sempre presenti in queste scelte, il senatore Molinari è uscito dal partito per motivazioni politiche anche se lasciare la nave quando affonda non è il massimo dello spirito di sacrificio e del senso di appartenenza.
Ora il tempo a disposizione si dilata e il 2013 sembra lontano a tutti. Analizzando il quadro politico Dellai si è deciso a tornare alle origini. Rispolverare la Margherita significa anche gettare un amo sia a chi vuole ritornare al centro dopo essere transitato nel Pd (leggi Molinari e altri che ancora non si sono palesati) sia ai “vecchi amici” persi nel 1998. Non è un caso che in questi mesi il protagonista più attivo sulla scena politica trentina non sia un partito, bensì un’associazione. Le “nuove vie” di Azzolini, Paolino e Zanoni sono in realtà antiche vie (penso che i fautori dell’associazione sarebbero contenti di recuperare qualcosa di utile dalla tradizione passata) e potrebbero fornire la sponda propositiva alla nuova-vecchia Margherita. Tre convegni non fanno primavera ovviamente, però è innegabile che Nuovevie abbia parlato di temi molto concreti dai trasporti, all’Università, come i partiti non sono riusciti a fare. Queste iniziative non sono casuali. Dimostrano come il “centro” voglia ritornare a contarsi e a contare.
Alcune incognite però potrebbero minare il progetto di ricostruzione centrista. Innanzitutto il problema della leadership: Dellai sarebbe capace di svolgere il ruolo di grande federatore per poi lasciare la mano a un delfino di cui ora non si intravede neppure l’ombra?
Le iniziative dellaiane sono state sempre “presidenzialiste” (il capo del partito è il capo dell’esecutivo) contravvenendo alla tradizione democristiana. Una svolta sarebbe il ritorno a una gestione condivisa del partito, anche se questa visione sembra irrimediabilmente perduta.
La seconda incognita si chiama Silvano Grisenti. L’ex caterpillar attende l’esito dell’appello del processo che lo riguarda, ma è già stato assolto dal suo popolo: “el Silvano” manca a molti che rimpiangono quel suo modo di fare e di essere giudicato diretto e concreto. Grisenti non fa mistero di voler tornare in politica prendendo forti posizioni (vedi Metroland) in aperto contrasto con Dellai. Riusciranno a stare insieme nella nuova Margherita? O meglio quale visione di Trentino prevarrà?