Si fa un gran parlare in questi giorni del ritorno della Margherita. Al punto che Pierangelo Giovanetti, sull'Adige di domenica, l'attribuisce a una mossa tattica di Dellai, che, in un sol colpo, si libererebbe della fastidiosa presenza di Grisenti (ti levo da sotto il naso il giocattolo, e tu non sai più cosa fare) e spiazzerebbe ancor più il Partito Democratico, costretto (anche per sue colpe) a uno "splendido" isolamento a sinistra.
Io non la vedo così e tendo, forse per inclinazione personale, a considerare il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. Credo cioè che con questa operazione, peraltro condivisa da altri, Dellai si proponga, all'interno della sua area politica di riferimento, di ridare fiato e spazio a un qualcosa che assomigli a un "partito", più di quanto oggi avvenga con l'UpT, la quale, più che a un partito, sembra un assemblaggio di personalità, utili certo a competere elettoralmente (soprattutto nelle valli), ma meno a intessere con la comunità trentina un rapporto stabile e proficuo. Insomma, il ricorrente sogno del "partito territoriale".
E il PD? Secondo Giovanetti, come detto, starebbe rinchiuso in una "riserva indiana" (sia a Trento che a Roma), dalla quale -mi par di capire- potrebbe uscire solo se si aprisse all'elettorato moderato e si dotasse di un profilo politico consono a questa strategia, ingaggiando con la Margherita una competizione per la conquista del "centro". Insomma, ancora una volta, il partito "a vocazione maggioritaria" di veltroniana memoria, sufficientemente forte da competere da solo con il centrodestra e sufficientemente "liquido" da poter intercettare fasce diversificate di popolazione. Dimenticando, magari, che proprio questa esperienza, nel mentre portava il PD al massimo dei consensi possibili, lo isolava in una solitudine mortale.
Io credo invece che alle sollecitazioni di Dellai, se le vogliamo prendere sul serio, il PD debba rispondere con "più" partito e non con "meno" partito. Debba cioè caratterizzarsi con più chiarezza nei valori di riferimento e nei programmi, lavorare alacremente sul terreno dell'identità (giunge a proposito la Conferenza programmatica di maggio) e aprire, soprattutto nelle valli, canali di comunicazione con i territori, magari attraverso l'esperienza delle nascenti Comunità di valle, ma anche partendo dalla base, attraverso i circoli e la fattiva azione di militanti e simpatizzanti. Del resto, lo dico per esperienza, quando un circolo si ritrova a discutere dei problemi della propria zona, non si pone il problema di "intercettare l'elettorato di centro", ma di dotarsi di un profilo chiaro e riconoscibile e di dare una risposta "progressista" (oserei, quasi quasi, dire "di sinistra") ai problemi sul tappeto. Senza timori e complessi di inferiorità.