Il decreto sul federalismo municipale, più volte riscritto rispetto alla versione iniziale, è stato posto in votazione in Commissione bicamerale il 3 febbraio 2011, con esito infruttuoso (15 a 15). Il Consiglio dei ministri ha successivamente tentato di varare comunque il decreto, ma il Presidente della Repubblica si è opposto all'emanazione giudicando "non ricevibile" il decreto e sollecitando il Governo a riportarlo in Parlamento e nella Conferenza Stato-Regioni-Autonomie.
L'ampia riscrittura della versione iniziale ha permesso di correggere alcuni limiti ed incongruenze, accogliendo almeno parte delle istanze sollevate dal mondo delle autonomie locali. Ma il quadro complessivo (descritto nella nota e nella presentazione che trovi in allegato) rimane nettamente al di sotto delle aspettative:
i comuni potranno contare, nel complesso, su minori entrate rispetto a quelle disponibili fino al 2010, a causa della conferma dei pesanti tagli dei trasferimenti decisi con il D.l. 78/2010. L'unica strada per recuperare parte delle risorse venute meno sarà l'utilizzo dei limitati spazi di autonomia fiscale (addizionale IRPEF in primis) e tariffaria;
il federalismo municipale comporterà più tasse dal 2011 per i redditi da lavoro e da pensione (per effetto dello sblocco delle addizionali IRPEF, parziale fino al 2012 e totale dal 2013) e dal 2014 per le attività produttive e gli enti non commerciali (a causa dell'aliquota IMUP al 7,6‰, nettamente superiore all'attuale aliquota media ICI pari al 6,4‰), mentre sarà notevolmente ridotta l'imposizione sui proprietari di immobili locati (grazie all'introduzione della cedolare secca sugli affitti e alla previsione di un'aliquota IMUP dimezzata). Nessun beneficio significativo è invece previsto per le famiglie in affitto;
l'autonomia tributaria dei comuni sarà minore di quella garantita fino al 2007, quando era ancora in vigore l'ICI sulla prima casa e i tributi manovrabili rappresentavano il 42% delle entrate correnti dei comuni delle regioni a statuto ordinario. Nella fase transitoria (2011-2013) i comuni avranno voce in capitolo solamente sulla Tassa rifiuti e l'addizionale IRPEF (pari al 14% delle entrate correnti), mentre sugli altri tributi devoluti non avranno alcun potere decisionale. Dal 2014, con l'introduzione dell'IMUP e dell'IMUS, il peso dei tributi effettivamente manovrabili aumenterà a circa il 38% delle entrate correnti totali: un livello comunque inferiore a quello del 2007;
il principale tributo proprio dei comuni (l'IMUP) ricadrà prevalentemente da soggetti non residenti, accentuando la contraddizione aperta dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa. E' una scelta che deresponsabilizza gli amministratori locali negando il principio basilare del federalismo fiscale: “vedo, pago, voto”;
l'indeterminatezza dei fondi di riequilibrio (tra il 2011 e il 2013) e di perequazione (dal 2014) rappresenta un'incognita per la tenuta del sistema. In assenza di una efficace perequazione, gli squilibri nella distribuzione territoriale delle risorse potrebbero allargarsi notevolmente. La mancata definizione dei criteri di ripartizione apre inoltre la strada ad una sistematica conflittualità nella gestione dei fondi di riequilibrio, analogamente a quanto accade attualmente per il Fondo sanitario nazionale. SCARICA IL DOCUMENTO DEL PD SUL FEDERALISMO FISCALE!
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