Maurizio Agostini, "L'Adige", 25 gennaio 2011
Quando si invoca la crescita di una nuova presenza di cattolici impegnati in politica non si pensa più, finalmente, a una nuova unità dentro uno stesso partito. Per chi, come me, ha vissuto, in anni ormai lontani, l'impegno per il pluralismo politico dei cattolici e, nelle Acli, le difficili fasi della rottura del collateralismo con la Democrazia cristiana, è una bella soddisfazione.
Ho però l'impressione che ci sia ancora molto da dire e da fare a proposito del richiamo, che viene in più occasioni dai vertici della chiesa, circa l'esistenza di «valori non derogabili». Penso che la chiesa possa e debba avere l'ambizione, oltre che il diritto, di rivolgere a tutti - anche ai non credenti, naturalmente - i suoi richiami e le sue proposte di valori e obiettivi da perseguire per il bene comune. Sono convinto altresì che tutti, credenti e non, da persone adulte e responsabili, debbano poter riflettere e, se trovate convergenze minime necessarie, operare per costruire insieme le vie per realizzarli.
Accettando l'opinabilità e la provvisorietà che è delle costruzioni umane, senza cercare benedizioni o imprimatur e senza decretare ostracismi o imporre diktat. In questo campo c'è però nelle parole e nei comportamenti della chiesa istituzionale una macroscopica contraddizione. Papa Benedetto XVI nell'indirizzare un saluto alle Acli in occasione del primo maggio di qualche anno fa le incoraggiava a lavorare «per il primato della valenza etica del lavoro umano, con le ulteriori priorità che ne conseguono: quella dell'uomo sullo stesso lavoro, del lavoro sul capitale, della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata, insomma la priorità dell'essere sull'avere». Non si contano poi le occasioni in cui ha parlato in difesa dei diritti degli immigrati. Parole chiare, inequivocabili.
Ma giustamente, sottolineo giustamente, il papa e i vescovi non dicono se, sulla base di questi richiami, si sarebbe dovuto votare sì o no al referendum di Marchionne o se per governare i flussi migratori vada bene la Bossi Fini o qualche altra proposta. E se lo facessero sarebbe chiaro che l'opinione espressa, pur autorevole, potrebbe essere condivisa o meno, anche tra i cattolici. Su questa stessa linea, pochi giorni fa il nostro vescovo ha dichiarato di non potere né volere schierarsi pro o contro il termovalorizzatore a Trento, ma ha rivendicato e rinnovato nel contempo il costante e forte richiamo a uno stile di vita più sobrio, meno consumistico, più rispettoso dell'ambiente.
Questo atteggiamento cambia però radicalmente quando si tratta di altri temi, quelli ad esempio che hanno a che fare con la famiglia, i comportamenti sessuali, la contraccezione, il testamento biologico ma anche, curiosamente, la libertà d'insegnamento. Su questi argomenti non si ritiene di accompagnare la libera formazione delle coscienze dei laici, credenti e non, con richiami e indicazioni di valori da salvaguardare e promuovere nelle mutate condizioni storiche, ma si entra nel particolare con bocciature o promozioni di singole leggi, iniziative e disposizioni. Mi spiego anche qui con qualche esempio. Sono convinto che il ricorso all'aborto sia un fenomeno negativo da tendere a ridurre sempre più e non un semplice diritto civile da rivendicare, ma sono sostenitore convinto della 194, una delle migliori leggi in materia. Accetto e trovo coerente il richiamo alle famiglie e alle coppie ad essere aperte all'accoglienza della vita, ma penso che le scelte contraccettive per l'esercizio di una paternità e maternità responsabile debbano essere lasciate alla libera decisione di cristiani e cittadini adulti. Concordo sulla necessità di difendere la vita e sulla possibilità di dare un senso anche alla sofferenza, ma penso che nelle fasi ultime della vita sia giusta e perfino cristiana la libertà di aprire le braccia a «sorella morte» scegliendo di rinunciare o di sospendere provvedimenti che possono solo, a volte indefinitamente, prolungarne l'attesa.
Ritengo giusto e doveroso impegnarsi per difendere la libertà d'insegnamento, ma trovo del tutto fuori luogo tradurre questo richiamo in una richiesta di fare quadrato nell'esigere finanziamenti crescenti alle scuole private. Su queste e su molte altre questioni la chiesa si muove preferendo dettare regole e richiamando i «suoi» a fare quadrato. Così facendo, secondo me, finisce con il perdere ascolto e autorevolezza, fino a rischiare di essere insignificante. Ed esponendosi e accettando, o peggio cercandolo consapevolmente, un rapporto con istituzioni civili e governi tutto improntato alla strumentalità e intriso di ipocrisia.
Purtroppo ho l'impressione che questa sorta di «doppio registro» venga sostanzialmente accettato e quasi subìto anche nell'area progressista della società italiana. Vorrei quindi che tutti facessimo dei passi in avanti nella capacità di affrontare laicamente le questioni che si pongono all'attenzione della politica, liberandoci da quel che è rimasto, o viene riproposto, delle gabbie confessionali o ideologiche. Così facendo potremo verificare che è possibile, perfino semplice, confrontarsi con rispetto e attenzione alle varie ragioni e concordare su ogni tema, anche il più delicato, dei punti di convergenza.
Punti che saranno sempre provvisori e riformabili e dei quali ci assumeremo piena responsabilità senza cercare, né pretendere benedizioni e senza temere dissensi. Vorrei in particolare che tra i cattolici, vecchi e nuovi, impegnati in politica rinascesse la voglia di mobilitarsi, come nella impegnativa e felice stagione postconciliare, per rilanciare questa modalità di presenza nel confronto civile e nella politica. Sarebbe oltretutto un bel servizio alla chiesa che rischia, almeno in Italia, di immiserire la propria presenza tra precisazioni sul preservativo, contestualizzazioni della bestemmia e scambi interessati tra silenzi e mantenimento di privilegi e sovvenzioni.