Olivi: "Rispetto le voci critiche, ma il modello trenitno farà scuola". F. Pedrini, "L'Adige", 9 gennaio 2010
Prima Rovereto, Pergine e Riva, poi Trento: la caccia agli affari, con l'apertura dei saldi, è partita ufficialmente il 2 e il 3 gennaio, con sconti fino al 70%. Ed è stato subito boom. Ma accanto a molti commercianti soddisfatti, non sono mancate voci critiche: «Il fatto che si possa iniziare quando si vuole è un disastro, a noi servono date precise ed è inutile fare ora le svendite di fine stagione quando abbiamo oltre un mese davanti». Oppure: «Attenti a non iniziare troppo presto perché la gente si stanca». L'assessore al commercio, Alessandro Olivi, non si sottrae alle critiche: «Ma non fossilizziamoci sui saldi, che non sono certo il problema del commercio». Dalla liberalizzazione dei saldi contenuta nella finanziaria 2009 - «io preferisco parlare di flessibilità», dice ricordando che sono state «irrigidite le norme a garanzia del consumatore» - alla riforma del commercio approvata nel luglio 2010. Olivi traccia un bilancio. E assicura: il modello Trentino farà scuola. Assessore Olivi, le vendite promozionali possono essere fatte durante tutto l'arco dell'anno. Tra gli operatori c'è chi teme una certa assuefazione. «Non sfuggo a questo tema e rispetto le voci critiche, ma vorrei fare un passo indietro. Non posseggo dati, perché è ancora presto, ma mi pare di potere osservare, sentendo anche i commenti degli operatori, che in queste giornate di festività natalizie, tra la fase caratterizzata dall'attesa del Natale ai saldi, la presenza nelle nostre città di consumatori sia stata considerata importante. I dati parlano di consumi che, nonostante un periodo non facile, pare si siano incrementati. C'è soddisfazione, in particolare a Trento, Rovereto e Riva, ma anche in Valsugana». Le presenze, come dimostra l'afflusso dei giorni scorsi, non mancano. Resta da vedere se mettano mano al portafoglio. «Certo, si deve vedere quanto investono. Ma se c'è un settore dove le cose sono cambiate - e arrivo al cuore della questione - e più rapidamente di quanto la politica non abbia saputo interpretare, è proprio quello del commercio e del consumo. La crisi, ma non solo, la cultura del consumatore e la ormai ampia gamma di offerta che troviamo, hanno reso l'utente più attento e responsabile. Noi pensiamo spesso al commercio come ad una materia che appartiene a chi svolge l'attività di distribuzione e vendita dei beni, ma non ci sarebbe commercio se non ci fossero i consumatori. Sono le esigenze del consumatore che vanno intercettate. La politica ha segnato qualche elemento di ritardo. Per questo credo che il Trentino possa essere, come lo siamo stati in altri settori, terra di sperimentazione di nuovi modelli. In questo quadro si è calata la riforma. Filo conduttore è il tentativo di rendere il commercio trentino più competitivo, senza dimenticare il legame con il territorio. Abbiamo spezzato la rischiosa spirale che vedeva il commercio sempre più risucchiato dalla logica degli appetiti immobiliari, puntando invece alla riqualificazione della rete distributiva esistente, con particolare attenzione al centro storico, che in Trentino vediamo come il vero centro commerciale, senza volere fare la guerra a quelli esistenti. La politica deve responsabilizzare. Ci siamo detti: deprogrammiamo e lasciamo che siano gli operatori a scegliere il giorno in cui partire, con flessibilità e duttilità. Sono gli operatori a dovere costruire modelli adattabili alle varie situazioni». Lei chiama in causa le categorie. Ma vi sono ancora resistenze. «Io, però, sono ottimista. Il passo indietro fatto dalla politica - e il processo mi rendo conto non è ancora del tutto compiuto - non presuppone però l'anarchia. Sento dire: sarebbe meglio che qualcuno regolamentasse. Ma attenzione, perché è un ragionamento insidioso. Non si può volere un pubblico che si occupa di riforma e lascia più dinamismo alle categorie solo quando fa comodo, e poi invocare la leva pubblica quando non si è del tutto in grado di fare processi di aggregazione spontanea fra gli operatori. La mia sfida sui saldi fu quella di dire: categorie, fate voi un processo di sintesi nel vostro mondo. Consorzi dei centri storici, oltre che promotori di iniziative, diventate anche luoghi di concertazione, discussione e sintesi. Sarebbe bello vi fosse una condivisione di una strategia, almeno su aree omogenee. Forse servirà ancora qualche anno, ma penso che molti ci seguiranno in Italia». Aperture domenicali: non sono mancate polemiche. «Anche qui abbiamo fatto un passo indietro. Orari e deroghe sono affidati al Comuni, registi sul territorio. Il Trentino, piattaforma dell'ospitalità, deve essere accogliente e pronto. Ma questo riguarda ovviamente il tema del rapporto fra mondo del commercio e lavoratori: nella legge abbiamo inserito una norma che rende esplicito l'obbligo da parte dei consigli comunali chiamati a determinare le giornate da dedicare alle aperture festive - che significa opportunità e non obbligo - ad espletare una procedura di confronto con categorie e lavoratori. Anche qui si deve arrivare a un contemperamento degli interessi. Sono favorevole ad un Trentino che si apre ed usa la leva commerciale per aumentare la competitività in termini di offerta, ma sono consapevole che la tutela di chi lavora è preminente». Natale fa ormai rima con mercatino. Dal capoluogo al basso Trentino è un proliferare di iniziative. È una formula che funziona? «Il mercatino è uno strumento fondamentale per catalizzare gente. Ci sono esperienze consolidate come quella di Trento e, numeri alla mano, hanno dimostrato di produrre un effetto attrattivo. Ma vedo un rischio: immaginare che replicando in tutti i centri un modello troppo standardizzato può svilire quella vera simbiosi, necessaria tra mercatino e i nostri centri storici. Meglio dunque puntare su poli storici, come Trento, Levico, Arco, il tentativo di crescere di Rovereto, ma con una proposta sempre più integrata con il territorio».
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