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Come due anni fa al Circo Massimo oggi a San Giovanni presentiamo il volto di un grande Partito popolare. Siamo qui per dare un messaggio all’Italia. Un messaggio di fiducia e di cambiamento. Ecco quello che pensiamo: pensiamo che l’Italia sia ben migliore di ciò che le capita ormai da troppo tempo.
Pensiamo che non si possa più andare avanti così. Berlusconi deve andare a casa. Ci vuole un passo avanti in una direzione nuova. L’Italia deve cominciare a togliersi il berlusconismo dalle vene, deve scrollarsi di dosso un populismo personalistico, propagandistico e impotente.
L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale.
L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale, capace di funzionare e di dare qualche risposta ai problemi della gente, non a chiacchiere ma a fatti.
C’è una crisi seria per un tempo non breve. Ma ci sono energie buone e grandi capacità
C’è una crisi seria, che ci accompagnerà per un tempo non breve; c’è il rischio di un peggioramento delle già difficili condizioni di vita di milioni di italiani, c’è un orizzonte incerto per la nuova generazione. E ci sono tuttavia energie buone, grandi capacità, disponibilità, e ci sono ricchezze in questo nostro Paese: tutte risorse che possono essere messe in movimento.
Serve un grande sforzo collettivo, dove chi più ha deve dare di più.
C’è da organizzare un grande sforzo collettivo, uno sforzo di cambiamento, dove chi ha di più deve dare di più. Ci vuole un cambio di passo. L’uomo solo al comando, il “ghe pensi mì” non può risolvere questo problema.
Le ricette della destra non sono adeguate.
Le ricette della destra non possono caricarsi di questo compito. Bisogna creare una nuova situazione politica. Lo sappiamo, non si può certo cambiare in un giorno, con la lunga vicenda che abbiamo alle spalle e che stiamo ancora vivendo. Non lo si fa in un giorno, non c’è l’ora X!
Non è ora X, ma passaggio cruciale.
E tuttavia siamo a pochi giorni da un passaggio cruciale in Parlamento; può affacciarsi la possibilità di sancire formalmente la crisi politica del centrodestra.
E’ ora di riconoscere che se siamo arrivati a questo punto lo si deve molto al nostro lavoro.
Sarà finalmente ora di dire che se siamo arrivati a questo, c’è molto del nostro lavoro. E’ ora che ce lo riconosciamo noi stessi, se vogliamo che altri ce lo riconoscano. Solo due anni fa la scena era questa: una vittoria del centrodestra con una maggioranza senza precedenti nella storia recente del Paese; tutti ad omaggiare i vincitori, presupponendone l’eternità. Una sorta di pensiero unico che si diffondeva. L’opposizione a rischio di diventare il ricettacolo di tutte le frustrazioni e le impotenze, messa dal berlusconismo nell’angolo più difficile di tutte le democrazie mondiali.
Dopo vittoria della destra, tutti a omaggiare i vincitori e si è diffuso pensiero unico.
Noi non siamo caduti nel pensiero unico e nella frustrazione. Nonostante le difficoltà ci siamo sempre ritenuti un Partito di Governo momentaneamente all’opposizione.
Ma noi non siamo
caduti nella frustrazione. Abbiamo visto per primi la crisi e il varco che si sarebbe creato tra la propaganda e la realtà.
Abbiamo visto per primi la crisi e il varco che necessariamente si sarebbe dovuto creare fra la predicazione propagandistica del Governo e la realtà della vita comune. Abbiamo battuto tutti i giorni quel chiodo. E quando la distanza fra parole e fatti è diventata più evidente, quando è diventato più chiaro che i problemi marcivano mentre la politica era costretta a girare attorno ai problemi diurni e notturni del Premier, allora si è aperta la crisi del centrodestra. Non c’entrano le ville. E’ per la perdita di presa del Governo sulla situazione reale che si è aperta questa crisi e che una parte della destra ha cominciato a pensare al dopo e a mettersi in movimento.
Non abbiamo offerto l’occasione perché si ricompattassero.
E noi che cosa abbiamo fatto, allora? Abbiamo messo tutti nel mucchio come ci suggeriva qualche tifoseria o qualche focoso amico? No. Abbiamo lavorato nella nostra autonomia, nella nostra distinzione, perché non andasse sprecato nessuno degli spazi critici che si aprivano verso il modello populista e berlusconiano.
La mozione di sfiducia al momento giusto, non tutti i giorni come le solite tifoserie e i soliti focosi amici ci suggerivano.
E abbiamo messo noi, al tempo giusto, la mozione di sfiducia, al tempo giusto, non tutti i giorni come le solite tifoserie e i soliti focosi amici ci suggerivano. Fatemelo dire, adesso. Ce l’abbiamo la patente per fare l’opposizione, perbacco! Non abbiamo bisogno di maestri che ci tirino la giacca tutti i giorni. Credo che lo si sia visto.
Non abbiamo bisogno di maestri che ci tirino la giacca.
E adesso siamo qui, a pochi giorni da un appuntamento parlamentare importante. Una giornata incerta, sì, ma non tanto incerta da non far vedere una cosa. La crisi politica del centrodestra c’è, ed è senza rimedio, e in ogni caso martedì prossimo, comunque vadano le votazioni, questa crisi sarà certificata. O pensano di risolverla con la compravendita di qualche voto, con pratiche vergognose che fanno arrossire l’Italia davanti a tutte le democrazie del mondo!
Crisi politica del centrodestra è senza rimedio. E non si risolverà con pratiche vergognose.
Pensano di cavarsela così? Facendo rifornimento con un deputato o due, dove sperano di arrivare, a Natale? Alla Befana? Per vedere se mai lasciasse nella calza qualche altro deputato? No. Non possono più andare avanti, questa è la verità e noi in ogni caso combatteremo la nostra battaglia da una posizione più avanzata.
Loro non possono più andare avanti. E noi combatteremo da una posizione più avanzata.
Certamente noi lavoreremo fino all’ultimo momento perché da quella giornata venga un primo passo su una strada nuova, venga il segno che si può cominciare a voltare pagina fino all’ultimo lavoreremo come abbiamo lavorato, e bene, fin qui con i nostri Gruppi Parlamentari e non con le compravendite ma con la battaglia politica.
C’è un’intera fase della storia politica italiana da oltrepassare.
Ma, care democratiche e cari democratici, noi sappiamo bene che oltre la prossima settimana c’è un cammino davanti a noi e davanti all’Italia. Non si tratta solo di cambiare un Governo. C’è una fase della storia politica italiana da oltrepassare. C’è una questione di sistema da affrontare. Ormai sedici anni fa, dopo la caduta del muro e dopo tangentopoli, Berlusconi si affacciò nel vuoto e nel discredito della politica e propose una persona e un modello. Una scorciatoia personalistica contro l’inefficienza del sistema, l’oppressione dello Stato e della burocrazia, l’impotenza e le vergogne della politica. Promise più libertà e meno tasse, propagandò un modello individualista. Si scagliò contro il Palazzo e se ne fece uno tutto suo, e con le porte piuttosto girevoli, come abbiamo visto dopo! Accumulò potere politico, economico, mediatico; utilizzò le spinte antisistema della Lega fino ad occupare l’ultimo decennio, il primo del nuovo millennio, governando sette anni degli ultimi nove, costruendo un partito personale e padronale, mettendo a comando il Parlamento con una opportuna legge elettorale e concentrando nelle sue mani un potere senza precedenti nell’intera storia repubblicana.
Dopo sedici anni e quattro governi Berlusconi, possiamo tirare qualche somma: il bilancio è un disastro. Adesso la domanda è: dopo questi sedici anni e dopo quattro Governi Berlusconi, dopo un decennio dominato da lui possiamo tirare qualche somma? E lo chiedo anche agli elettori del centrodestra, possiamo tirare qualche somma o dobbiamo aspettare tutto il millennio? Se tiriamo le somme, si deve dire che il bilancio di questi anni è disastroso.
Con la destra al governo più disuguaglianze, meno consumi, meno investimenti e più evasione fiscale, più corruzione e meno prospettive per i giovani.
Il nostro Paese non è migliorato in niente. Ci siamo visibilmente allontanati dai Paesi forti dell’Europa. Abbiamo perso posizioni su posizioni in tutte le classifiche immaginabili e possibili: dalla ricchezza per abitante, al numero degli occupati, alle prospettive dei giovani, agli investimenti per la ricerca, all’andamento dei consumi, all’andamento del debito pubblico, all’aumento delle diseguaglianze, al divario nord-sud, all’evasione fiscale, al peso della burocrazia, alla diffusione di corruzione e illegalità. Potrei far notte continuando l’elenco. Un vero disastro. L’unica classifica che grazie a Berlusconi abbiamo rimontato è quella del nostro posto nelle barzellette del mondo, del nostro posto nel discredito del mondo!
Con la destra al governo deperimento dell’etica pubblica, della dignità delle istituzioni; doppia morale per i potenti; stereotipi insultanti per la dignità della donna; condiscendenza verso il razzismo.
E c’è qualcosa che è avvenuto, di meno misurabile ma ancora più grave. Il deperimento dell’etica pubblica, della dignità delle istituzioni e della politica; l’idea di una doppia morale consentita ai ricchi e ai potenti; il riaffacciarsi di stereotipi insultanti per la dignità della donna, la condiscendenza verso la mentalità pararazzista. Dunque, tirando finalmente le somme della lunga fase iniziata tanti anni fa, dobbiamo dire che solo il centrosinistra nel corso degli anni novanta ha affrontato con serietà e rigore e a viso aperto i problemi di fondo del Paese: problemi di risanamento, di riforma, di grande prospettiva europea, con guide autorevoli e programmi coraggiosi confluiti tutti nell’Ulivo di Romano Prodi, che vogliamo salutare qui con grande affetto come la personalità riassuntiva di una grande stagione di impegno. Ma dobbiamo purtroppo dirlo: molto di tutto questo è stato svilito e grandemente compromesso dai Governi berlusconiani e leghisti.
Il governo ha fallito perché ha fatto solo propaganda. Hanno sempre bisogno di un nemico e generano così disunione, contrapposizione, tifoseria.
Quei Governi hanno fallito. Hanno fallito perché hanno ridotto l’azione di governo a strumento di propaganda, alla predicazione dei cieli azzurri fino a vendere miracoli a buon mercato o addirittura miracoli a rate come a Napoli e all’Aquila. Hanno fallito perché si sono avvitati sui problemi del Capo dimenticando i problemi degli italiani; hanno fallito perché il loro meccanismo populistico ha sempre bisogno del nemico generando così disunione, contrapposizione, tifoseria, una rottura profonda fra gli italiani che non si era vista nemmeno ai tempi della guerra fredda.
All’ombra del
capo vi sono state relazioni speciali, cricche di ogni genere, degenerazione. Hanno fallito perché all’ombra del Capo sono inevitabilmente fiorite relazioni speciali, personali e quindi cricche di ogni genere e specie, indebolimento delle regole fino a fatti di degenerazione e di corruzione.
Governo a favore di rendita e privilegi.
Hanno fallito infine perché hanno preso a rovescio il grande tema economico e sociale: sono stati con la ricchezza, sono stati con la rendita, sono stati con il privilegio e hanno così disarmato le leve della crescita: la famiglia, il lavoro, l’impresa, la conoscenza. Hanno fallito e se hanno fallito non può sempre essere colpa degli altri: dei comunisti, dei giornali di sinistra, dei giudici, dei traditori, degli americani o dei marocchini, dei complotti internazionali. Caro PDL e cara Lega, ve lo chiedo ancora: avete governato per sette anni degli ultimi nove. Quanto anni volete governare prima che sia colpa vostra?
Di fronte a crisi internazionale hanno negato il problema. Ma il frutto più amaro e pericoloso del loro fallimento lo abbiamo misurato all’incrocio con la crisi internazionale, la più grave in cinquant’anni. Lì, a quell’incrocio nel quale siamo ancora, la destra italiana ha consumato la sua colpa più grave. Ha disarmato il Paese sacrificandolo alla sua propaganda.
Hanno disarmato il Paese di fronte alla crisi.
Invece di dire: “c’è il problema” ha detto: “non c’è il problema”. Invece di dire “stiamo perdendo ricchezza per il doppio degli altri” ha detto: “stiamo meglio degli altri”. Invece di dire: “il lavoro, l’occupazione sono il primo problema” ha detto: “l’occupazione non è un problema”. E dicendo tutto questo ha agito di conseguenza, cioè a rovescio. Io sto da mesi rivolgendo una domanda a quei commentatori e a quegli osservatori che da ogni lato hanno fatto le pulci a noi per non offendere il manovratore e ci hanno descritti come incapaci a presentare proposte alternative.
Bruciati miliardi per favorire gli evasori.
Ancora una volta, qui da San Giovanni, rivolgo a loro una domanda: chi aveva ragione due anni fa, dopo le elezioni, quando bisognava impostare la politica economica della legislatura? Loro dicevano, Tremonti in testa, che non c’era problema e quindi regalarono un bengodi alla modica cifra di 4 o 5 miliardi ai possessori dei 100 miliardi fuggiti, evasi e riciclati col più vergognoso condono della storia, o quando buttarono via, a dir poco, una dozzina di miliardi fra Alitalia, abolizione dell’ICI ai più ricchi, soldi agli straordinari, abolizione della tracciabilità dei pagamenti.
Noi dicemmo invece: c’è la crisi, mettete quei soldi per abbassare le tasse sulle famiglie a reddito medio basso, per favorire i consumi, e usate i comuni per un grande piano di piccole opere che partono subito e possono dare lavoro”.
Noi allora dicemmo: “c’è il problema. Date subito il messaggio giusto, fate subito la cosa giusta: mettete dei soldi per abbassare le tasse su famiglie e pensionati a reddito medio-basso per favorire i consumi e usate i Comuni per un grande piano di piccole opere che partono subito per dare un po’ di lavoro”.
Avevamo ragione noi. Abbiamo sempre dovuto aggiustare i disastri della destra.Chi aveva ragione? Si può avere una risposta? Quello fu l’inizio di tutto e fu un delitto, non un errore. E da lì in poi, una fase di decreti inutili, di voti di fiducia, di sordità verso la voce dell’opposizione, di propaganda pura. E tutto questo è stato venduto in nome del rigore e della tenuta dei conti. Ma quale rigore?
Bisogna dare una mano a chi è sul fronte della crisi.
Non ditelo a noi che abbiamo sempre dovuto aggiustare i vostri disastri; e per favore non ammoniteci con la Grecia che è stata portata al disastro da un Governo di centrodestra amico vostro e che oggi deve affidarsi al centrosinistra per risalire la china! Ma quale rigore? Rigore vuol dire che chi ha di più deve dare di più e che si deve risparmiare sul superfluo per dare una mano a chi è sul fronte della crisi e può tirarci fuori dai guai. Questo è il rigore. Con il loro cosiddetto rigore hanno aumentato le diseguaglianze, hanno ridotto la fedeltà fiscale, hanno massacrato gli investimenti nel pieno della recessione, sono riusciti nel miracolo di aumentare la spesa corrente nonostante i tagli micidiali alla scuola, all’università, alla cultura, alle politiche sociali della famiglia, agli Enti Locali. Con il loro bel rigore ci troviamo con la crescita più bassa d’Europa e con il debito più alto. E con la propaganda del rigore hanno tolto la voce ai problemi veri. Crisi industriali abbandonate, lavoratori, insegnanti, ricercatori e immigrati che per farsi vedere devono andare sui tetti o sulle isole. Piccole imprese che saltano nel silenzio generale non solo perché non c’è lavoro ma anche perché nessuno paga più, a cominciare dallo Stato. Collette fra le famiglie per far funzionare la scuola dell’obbligo. E i libretti della spesa che dopo quarant’anni ricompaiono nelle botteghe dei nostri paesi. Altro che social card! Libretti della spesa, caro Tremonti, proprio quelli di una volta! E intanto le mafie, che invece hanno i soldi in mano, arraffano a destra e a manca al nord e al sud imprese e patrimoni. Tutti problemi oscurati, zittiti mentre la discussione politica veniva portata sui Lodi Alfano, i legittimi impedimenti, il processo breve. Problemi oscurati, mentre si imbastivano riforme a chiacchiere.
Il federalismo e ronde padane perse nel bosco. Dicono Roma ladrona e hanno votato tutte le leggi per i ladroni.
La beffa del federalismo mentre si mettevano in ginocchio i Comuni. Il federalismo, che si sta perdendo nel bosco come le ronde padane, come le invettive a Roma ladrona di chi ha votato tutte le leggi per i quattro ladroni di Roma!
Scuola, università, cultura: non sono riforme, ma tagli. Riforme a chiacchiere, fino a chiamare riforma della scuola, dell’università, della cultura l’unica operazione che si sia vista nel mondo di riduzione dell’offerta formativa, di tagli strutturali all’intero sistema della conoscenza. Operazioni condotte con arroganza incredibile e veri e propri insulti alla verità. Cari Ministri, se i ricercatori si sono messi sui tetti non è perché siamo andati a trovarli noi, è perché ce li avete mandati voi! E a proposito di arroganza, caro Ministro, qui aspettiamo ancora di vedere i suoi voti.
Ecco, care democratiche e cari democratici, questa è la storia di un fallimento e questa è la ragione vera e profonda della crisi che si è aperta nella destra e della sensazione, oramai molto diffusa, che così non si può andare avanti.
Berlusconi si è ribaltato da solo. E adesso bisogna evitare che trascini l’Italia nel pozzo. Siamo arrivati ad una stretta politica. E che cosa fa Berlusconi davanti alla stretta? Fa la vittima. E’ davvero incredibile. Ha avuto tutto in mano, ha fatto tutto quello che voleva. Maggioranza galattica, legge elettorale ad personam, il più grande partito d’Italia inventato sul predellino di una macchina. Ha fatto tutto lui e adesso parla di ribaltone? Lui si è ribaltato, si è ribaltato lui, lasciandoci il problema che adesso non si ribalti anche l’Italia e che la sua crisi e il suo fallimento non trascinino il Paese nel pozzo. Questo è il problema! E questo problema dovremmo risolverlo oggi con una nuova campagna elettorale?
Abbiamo i numeri per giocarcela. Ma è ora di avere senso di responsabilità e di pensare al Paese.Questa legge elettoraleva riformata.
Per sei mesi a discutere ancora, dopo sedici anni, su “Berlusconi sì / Berlusconi no” facendo fare all’Italia un altro giro su una giostra ormai fuori uso? E con una legge elettorale che pretende si governi un paese moderno nominando i parlamentari e prendendosi tutto, Presidenza della Repubblica compresa, con il 34% dei voti, che vinca l’uno o l’altro contro il 65% del Paese? Questo dovremmo fare? Non avremmo certo paura per noi, ce la potremmo giocare; e se capitasse mai sia chiaro che ce la giochiamo e che la vinciamo! Ma sarà pur ora di avere un po’ di senso di responsabilità e di pensare seriamente, veramente al nostro Paese e non alla propria bottega! Siamo davanti ad una emergenza economica e sociale che già c’è e che può essere aggravata da nuove tempeste, che bisogna assolutamente prevenire.
Da sei mesi viviamo nell’instabilità per colpa del governo. La stabilità può
venire solo da un governo serio di responsabilità istituzionale, con una una transizione ordinata, nuove regole elettorali, alcuni interventi essenziali e urgenti in campo economico e sociale.
Non ci si parli di instabilità, per favore! Questa è l’instabilità. Da sei mesi siamo nell’instabilità. Berlusconi è l’instabilità. E chi dovrebbe darcela adesso questa stabilità? Un voto in più comprato in Parlamento? Una bagarre elettorale fatta con la testa all’indietro e con esiti di governabilità assolutamente incerti? No. Oggi davanti all’Europa e alla società italiana la risposta di stabilità può solo venire da un governo serio di responsabilità istituzionale che garantisca una transizione ordinata, nuove regole elettorali, alcuni interventi essenziali e urgenti in campo economico e sociale e porti il Paese ad un confronto elettorale capace finalmente di rivolgersi al futuro perché fuori finalmente dalla situazione bloccata e impotente di questi anni.
Nel caso di apertura di una crisi questa è la proposta che avanzeremo al Capo dello Stato al quale confermiamo qui assoluto rispetto per le Sue prerogative e ammirazione e stima per come le sta esercitando. Siamo dunque pronti a prenderci oggi le nostre responsabilità, sia nel sostenere il Governo che chiediamo, sia nello svolgere da una posizione più avanzata e con maggior convinzione ancora la nostra battaglia di opposizione.
Non ci arrendiamo al declino dell’Italia.
Ma oggi, care democratiche e cari democratici, siamo soprattutto qui per dire a voce alta quale Italia vogliamo, qual è il nostro sogno e quali gambe vogliamo dargli perché possa davvero camminare. Vogliamo dire da qui che noi abbiamo un progetto di cambiamento. Non ci arrendiamo al declino dell’Italia. Non c’è nessuna ragione per arrendersi. Noi possiamo e dobbiamo avere il nostro posto nel mondo nuovo. Possiamo e dobbiamo preparare giorni migliori per la nuova generazione.
Alla base del nostro progetto vi sono convinzioni profonde, valori che possono
diventare fatti veri.
Alla base del nostro progetto ci sono convinzioni profonde, ci sono valori che possono diventare fatti veri e visibili. C’è l’idea che l’unità del Paese possa essere riconquistata e che Nord e Sud possano darsi la mano e fare la strada assieme. C’è l’idea che con più uguaglianza e più solidarietà possiamo avere più crescita e più lavoro.
C’è l’idea che con più conoscenza e con più innovazione possiamo aver e più crescita e più lavoro.
C’è l’idea che con più legalità, più sobrietà, più civismo possiamo avere più crescita e più lavoro.
Il grande sogno europeo deve riprendere il suo cammino.
Ancora una volta e con convinzione immutata noi partiamo dall’Europa. Ci ribelliamo all’idea che l’Italia possa acconciarsi a quest’Europa, che possa essere complice della disarticolazione e dell’indebolimento a cui la stanno portando i Governi europei della destra.
Il grande sogno europeo deve riprendere il suo cammino. L’Italia deve tornare protagonista di questo sogno cominciando concretamente da oggi e cioè da questa grande crisi. No. L’Europa non può ridursi a essere quella che mette la pezza il giorno dopo, non può ridursi ad essere quella che salva solo le banche o qualche Paese che si è indebitato per salvare le banche. No. Questo non basta. Bisogna metter e oggi, nella crisi, i pilastri dell’Europa di domani. Noi diciamo, assieme ai Partiti progressisti europei: il debito pubblico in più che si è prodotto in questi mesi in Europa lo si paghi con una tassa sulle transazioni finanziarie e non ricada invece quel debito, come sta avvenendo, sull’occupazione e sulle politiche sociali.
Quello che ha provocato la finanza lo paghi la finanza e non si carichi su chi non c’entra nulla, sulle nuove generazioniQuello che ha provocato a finanza lo paghi la finanza e non lo si scarichi per anni e anni su chi non c’entra nulla e sulle nuove generazioni. E ancora: l’Europa raccolga risorse con buoni europei per fare investimenti in infrastrutture e innovazione sostenendo la crescita e il lavoro e metta finalmente l’occupazione nei suoi riferimenti e non solo il debito e il deficit. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: non si può andare avanti avendo una moneta in comune mentre tutte le politiche restano divise. Si rischia davvero il disastro. Basta coi ripiegamenti difensivi e nazionalistici delle destre e dei populismi europei. “Ciascuno per sé” non ci si difende da nulla e non si va da nessuna parte. Vogliamo l’Europa di Jaques Delors, vogliamo l’Europa di Romano Prodi: quella è l’Europa che vogliamo.
Noi vogliamo un risveglio italiano.
In quell’Europa noi vogliamo una riscossa italiana, un risveglio italiano e per averli chiediamo che la testa si alzi finalmente all’altezza dei nostri problemi; sono problemi che oltrepassano Berlusconi, che oltrepassano un Governo e che riguardano il nostro sistema, che è malato nei suoi assetti democratici e malato nella sua incapacità a crescere. Il nostro progetto si misura dunque su due grandi sfide.
Due grandi sfide: una riforma repubblicana e un’alleanza per la crescita e il lavoro.
La prima: una Riforma Repubblicana per rafforzare la Costituzione più bella del mondo modernizzando Istituzioni e regole.
La seconda: Una alleanza per la crescita e il lavoro. Una riforma delle Istituzioni e delle regole, dunque, che parta da un principio di fondo. Come in tutte le democrazie che funzionano, una persona sola non risolve nulla. Pensare che senza la fatica delle riforme, che senza la fatica della partecipazione si possano risolvere le cose affidandosi a scorciatoie personalistiche è una illusione disastrosa.
Questo drammatico equivoco, nel nostro Paese, è andato oltre Berlusconi e si è diffuso in una mentalità. Quando dico: toccasse mai a me mai metterei il mio nome sul simbolo, intendo dire questo. Che noi non dobbiamo suscitare passione per una persona, ma per la nostra Repubblica. Se vogliamo salvarci dobbiamo riscoprire le radici della Repubblica, e darle modernità e una vitalità nuova.
Riforme dunque. Bisogna semplificare e rendere efficiente il Parlamento e la forma di Governo, ridurre il numero dei Parlamentari, fare una legge elettorale seria, fare un federalismo responsabile e congegnato per unire. Bisogna portare ogni costo della politica alla media europea, cancellare le leggi speciali e della cricca, semplificare le procedure ordinarie, mettere il cacciavite nel funzionamento di ogni settore della pubblica amministrazione a cominciare dalla giustizia per i cittadini e non per quella di uno solo. Definire le incompatibilità e i conflitti di interesse, cancellare e monopoli e posizioni dominanti a cominciare dall’informazione. Bisogna introdurre norme, a cominciare da quelle finanziarie, per snidare le illegalità e le mafie. Bisogna occuparsi dei diritti, dell’articolo 3 della nostra Costituzione, con leggi che sostengano la parità e riconoscano le differenze a cominciare dal ruolo delle donne nei ruoli di direzione, leggi che combattano l’omofobia, che garantiscano la dignità della persona nella malattia, che impediscano che il disordine dell??immigrazione ricada sulla parte più debole della nostra popolazione e che dicano finalmente a un bambino nato qui e figlio di immigrati: tu sei dei nostri, sei un italiano.
Il Paese che vogliamo è un Paese civile, pulito, orgoglioso di essere parte delle
grandi democrazie del mondo e di non rispecchiarsi con populismi e dittature. Questo è il Paese che vogliamo noi. Un Paese civile, pulito, un Paese orgoglioso di essere parte delle grandi democrazie del mondo e di non essere invece allo specchio dei populismi e delle dittature.
Un patto per la rinascita.
Un’alleanza per la crescita e per il lavoro; e cioè un patto fra Istituzioni, lavoro, impresa, soggetti della conoscenza e della sussidiarietà. In quel patto vogliamo ci sia una vera riforma fiscale. Basta con un Paese diventato ormai il paradiso dei condoni, un Paese dove il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza senza che gli si possa chiedere nulla, un Paese dove l’aliquota più bassa di un operaio, di un pensionato, di un artigiano è più alta di quella della rendita di uno speculatore. Basta. E’ tempo di alleggerire il carico sulla famiglia, sul lavoro e sull’impresa e di accrescerlo sull’evasione fiscale, sulla rendita finanziaria e immobiliare se vogliamo dare un po’ di spinta all’occupazione. In quel patto sociale deve starci un’idea di politica industriale, agricola e dei servizi: un orizzonte che ci chiarisca finalmente dove vogliamo andare, quale posto vogliamo che abbiano le nostre produzioni nel mondo e dove sospingere quindi investimenti pubblici e privati.
Nuovi parametri.
Qualità, tecnologie, ricerca, innalzamento dell’istruzione e della conoscenza, efficienza energetica, frontiera ambientale e dei beni culturali: questi dovrebbero essere i nuovi parametri. E in quel patto ci deve stare una ripresa delle liberalizzazioni. In quel patto ci deve stare una rilettura del nostro welfare a partire dal tema dei servizi e dalla condizione della famiglia piegata dalla caduta dei redditi, dalla non autosufficienza, dalla nuova disoccupazione giovanile e delle donne.
E il tutto secondo un principio che voglio ribadire qui: in quel patto noi vogliamo in economia un mercato più aperto, regolato, concorrenziale e svolto a parità di condizioni e vogliamo che i bisogni essenziali salute, istruzione, sicurezza non siano affidate al mercato.
Infine, ma non per ultimo, in quel patto, deve starci il grande tema del lavoro e delle relazioni sociali. Di fronte alla globalizzazione bisogna dare produttività, flessibilità ed efficienza alle nostre produzioni, ma dare tutto questo a fronte di un quadro di riforme che interessi tutta la società e all’interno di parole d’ordine nuove:
L’unità del mondo del lavoro. L’unità del lavoro per noi è un bene pubblico, è una condizione della crescita.
Regole chiare e nuove di rappresentanza, rappresentatività e partecipazione nel mondo del lavoro.
Più decentramento nei rapporti sociali si, più articolazione si, ma senza buttare a mare totalmente la dimensione nazionale dei contratti perché questo è un Paese già molto diviso e che bisogna tenere assieme.
Nuove norme in materia di lavoro. Per cominciare a parità di costo per l’impresa un’ora di lavoro precario non costi meno di un’ora di lavoro stabile e per chi non è coperto dalla contrattazione ci sia un salario minimo per legge.
Due priorità: le nuove generazioni e il divario nord-sud.
Tutto questo e molto altro ancora vogliamo sia attraversato da due priorità, da due punti di vista prevalenti: quello della nuova generazione e quello del divario fra nord e sud del Paese. Sono questi infatti i due grandi punti di rottura, le grandi questioni nazionali che possono sbarrare la strada alle prospettive del Paese.
Se vogliamo camminare come Paese, non possiamo spezzarci in due, né nelle generazioni, né nei territori. Su tutto quel che ho detto e su altro ancora stiamo lavorando anche nei dettagli, come si conviene ad un Partito di Governo che non parla mai a vuoto e che sa concretamente che cosa vuol dire quello che dice.
Noi l’Unione non la rifaremo. L’alleanza che vogliamo è con i cittadini.
Care democratiche, cari democratici, se i problemi sono questi, se la sfida è di questa portata allora c’è una conseguenza politica. Ci siamo impegnati a mobilitare una vasta area democratica e ad avanzare proposte politiche che possano rivolgersi a tutte le forze di opposizione, quelle di centrosinistra e quelle di centro, perché si prendano le loro responsabilità in un patto di governo e di riforme e perché non si sottraggano alla sfida per calcoli parziali o per pregiudizi che potrebbero portarci al risultato di rimanere nella palude di oggi. Un patto di governo e di riforme solido, serio e garantito, perché noi L’Unione non la rifaremo.
Se si parla dell’Italia e del suo futuro, si deve essere disposti a scelte coraggiose. Queste scelte toccano anche a noi al Partito Democratico senza il quale nessun cambiamento è possibile. Per noi questo non è solo un orgoglio: è una responsabilità.
Mentre dico questo, aggiungo anche che la nostra vera alleanza noi vogliamo farla con i cittadini e in particolare con la gente a cui vogliamo bene.
Noi vogliamo bene a quelli che il pane se lo sudano, ma che possono guardarsi tranquillamente allo specchio. Ai lavoratori che perdono o rischiano l’occupazione, alle famiglie inquiete per il futuro dei figli, ai precari, al pensionato che gira tre supermercati per trovare la merce che costa meno, agli insegnanti che non si arrendono, agli imprenditori che non mollano mai, agli operatori della legalità che resistono, agli amministratori perbene che si appassionano alla loro comunità, agli studenti che sanno studiare e che sanno farsi sentire, ai volontari che diffondono gratuità e solidarietà, agli immigrati che lavorano qui tirano la cinghia e mandano un po’ di soldi alla povertà delle loro famiglie. Noi ci rivolgiamo a questi e a tanta altra gente così perché solo a partire da loro e dalla loro condizione potremo fare un Paese migliore per tutti.
Dobbiamo fare in modo che la gente alla quale vogliamo bene voglia bene a noi e ci consideri alla testa di una risco ssa che li riguarda.
Ma detto questo sentiamo anche che il nostro compito è fare in modo che la gente a cui vogliamo bene voglia bene a noi e ci veda alla testa di una riscossa che li riguarda. Noi abbiamo tanto da fare ancora per rendere chiaro quello che vogliamo ma soprattutto per migliorare quello che siamo. Un collettivo che deve sapere quel che la gente chiede sopra ogni altra cosa ad una forza politica: sobrietà, onestà, rigore, semplicità, vicinanza ai problemi. Un collettivo che deve esprimere unità, responsabilità, generosità. E affidarsi, come stiamo via via facendo, a quella nuova generazione che prenderà in mano il partito dei riformisti del secolo nuovo.
Voglio rivolgere da qui un saluto particolare ai giovani e ai giovanissimi, e sono tanti, che quest’anno hanno preso responsabilità di direzione nei nostri circoli, nelle nostre federazioni e in tante pubbliche amministrazioni. Grazie del vostro impegno e grazie anche alla nostra organizzazione giovanile, ai giovani democratici.
Vi chiedo di resistere alle difficoltà, di metterci freschezza e coraggio e di avere fiducia nella buona politica. Un saluto particolare voglio rivolgerlo anche a tutti i nostri amministratori, con un abbraccio a quelli tra loro che sono sotto minaccia della criminalità e delle mafie.
Il Partito aiuti i nostri amministratori locali messi su un fronte difficilissimo dalle politiche dissennate del Governo, e i nostri amministratori ricordino che se rimane un solo euro in cassa lo si spende per un servizio ai disabili o per un soccorso alla povertà, perché la crisi può distruggere la solidarietà e senza solidarietà non può esserci comunità.