La firma dell'accordo sulle scuole dell'infanzia, siglato la settimana scorsa tra Provincia e sindacati, ha un valore molto importante. Non bisogna interpretarla solo come un compromesso che pone fine ad una diatriba che rischiava di esplodere nello sciopero dei lavoratori del settore. Bruno Dorigatti, "Trentino", 9 dicembre 2010
Pur importante, avrebbe un’importanza legata ad una contingenza, ad una vertenza precisa e limitata. Io credo invece che questa firma possa avere una portata ben maggiore: da qui, da questo primo accordo sulla gestione del personale e l’organizzazione del servizio, dalla condivisione della necessità di tutelare i livelli occupazionali riconoscendo nel contempo l’urgenza di definire modelli organizzativi più flessibili e funzionali, può partire una riflessione più ampia, capace di andare a risolvere i tanti punti critici che da anni caratterizzano questo comparto. Prima di tutto, risalta con troppa evidenza un errore di metodo: per usare una metafora calcistica, “ci siamo salvati in corner”. Non c’era affatto bisogno di arrivare al livello di tensione determinatosi nelle ultime settimane di novembre: l’accordo dimostra chiaramente che sia le organizzazioni sindacali sia la Giunta avevano tutta la volontà di raggiungere un’intesa. Purtroppo- e non è la prima volta- è mancato un metodo di lavoro basato sul confronto preventivo, sull’analisi comune della situazione, sulla condivisione di una strategia. Capisco l’imbarazzo dei sindacati quando si sono trovati, nero su bianco, a leggere nel testo della manovra finanziaria alcune importanti modifiche alla Legge 13/77: modifiche dagli esiti occupazionali non facilmente quantificabili, in assenza di ulteriori specificazioni da parte della Giunta. In questo clima è nata la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori delle scuole materne, che ha portato prima alla partecipatissima manifestazione sotto il palazzo della Provincia e in seguito alla proclamazione dello sciopero. Nella testa di questi lavoratori si sovrapponevano evidentemente preoccupazioni di diversa natura: la paura di uno stravolgimento dell’attuale servizio, della perdita di posti di lavoro, di un passo indietro - per ragioni di bilancio - sul campo delle esperienze pedagogiche più avanzate. Ma non solo: emergevano con tutta la loro forza le ragioni di un disagio latente, che da molto tempo crea paure e tensioni all’interno del mondo delle scuole materne trentine. In primo luogo, nessuno può nasconderlo, c’è il problema del precariato. Un “precariato stabile”, cronico, strutturale, che caratterizza questo settore più di ogni altro. Un precariato tanto più evidente perché inserito in un sistema fortemente duale: da un lato gli insegnanti a tempo indeterminato, dall’altro i precari, anch’essi - per un paradosso linguistico - a tempo indeterminato. Queste lavoratrici e questi lavoratori svolgono le stesse mansioni, nello stesso luogo di lavoro, spesso con le stesse qualifiche: sono però soggetti - sancendo così una enorme iniquità - a trattamenti del tutto diversi. Penso innanzitutto alla continuità del rapporto: i precari delle scuole dell’infanzia vengono infatti licenziati a giugno e riassunti a settembre, subendo una grave discriminazione. Sono costretti stagionalmente a chiedere la disoccupazione: meglio di niente, ma non è difficile calcolare il danno subito nel corso di un’intera carriera professionale, in termini sia retributivi sia pensionistici. Un ulteriore problema si manifesta in tutta la sua evidenza al momento delle convocazioni per le assunzioni annuali. Centinaia di insegnanti ogni anno devono partecipare a questo rito: forti aspettative, ansie, frustrazioni si concentrano in una giornata, nella quale si determina la loro sorte lavorativa. Le lavoratrici denunciano le modalità confuse e disomogenee con cui sono gestiti questi appuntamenti: lamentano scarsa trasparenza, disorganizzazione, ambiguità. Nemmeno in questo caso questi insegnanti possono godere della benché minima certezza. C’è poi un problema di qualifiche, che colpisce soprattutto - e in modo ancora più ingiusto - i “precari storici”, quelli che hanno cominciato a lavorare quando non era ancora necessario il requisito della laurea. Questi, pur vantando anni di servizio alle spalle, rischiano di essere discriminati al momento dei concorsi: precari da più tempo, e senza via d’uscita. Un’ultima considerazione riguarda la disparità di trattamento tra le insegnanti della scuola dell’infanzia e il personale degli altri ordini di scuola: pur essendo a tutti gli effetti inserito nel sistema educativo provinciale, questo settore non è stato ancora del tutto omogeneizzato nei suoi istituti giuridici. Qualche passo avanti verso l’unificazione è stato fatto: penso al riconoscimento economico- giuridico del periodo del congedo per maternità per le insegnanti precarie della scuola dell’infanzia. Rimane irrisolto non solo il problema della retribuzione estiva dei precari, ma anche il riconoscimento dei punteggi per la continuità educativo-didattica per gli insegnanti che hanno prestato servizio nelle scuole dell’infanzia e che intendono spostarsi a un altro grado di istruzione, come avviene in tutta Italia e in Provincia di Bolzano. Su questo punto è stata approvata una mozione in Consiglio provinciale, a dimostrazione dell’attenzione che viene rivolta a questo settore ad ogni livello della politica provinciale.
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