R. Ballaridni, "L'Adige", 13 novembre 2010 Evidentemente non deve esserci più gusto a prendersela con Berlusconi. È come sparare contro un uomo morto! Lo ha mollato Fini, lo ha scaricato la Marcegaglia, lo criticano non proprio la Chiesa ma importanti voci del mondo cattolico, come Famiglia Cristiana e l'Avvenire.
L'aria che tira è quella di un 25 luglio meno drammatico ma egualmente confuso. Che succederà, quando succederà, dopo? Una crisi al buio, e buio dopo la crisi. È difficile puntare su Fini. Credo che sia una persona onesta, ma ha impiegato quindici anni a capire chi era Mussolini, ed altri quindici a capire chi è Berlusconi, quindi è un tipo con i riflessi un po' lenti. Ed invece la soluzione del problema è urgente. Ecco perché l'attenzione va concentrandosi sul principale partito di opposizione il Partito Democratico, soggetto che dovrebbe candidarsi a rappresentare l'alternativa. Vi ha dedicato un impegnativo editoriale il direttore Giovanetti (l'Adige, 7 novembre), ha interloquito sul tema il giorno dopo il segretario provinciale del Partito Michele Nicoletti, ha replicato prontamente il senatore Renzo Gubert (9 novembre), ed è intervenuto Alessandro Olivi, avvocato ed assessore provinciale (11 novembre), mettendo a fuoco soprattutto la situazione provinciale. Il testo di Pierangelo Giovanetti è una stroncatura senza speranza: il Partito Democatico «invece di proporsi come aggregatore liberaldemocratico di un progetto diverso di Paese… se la batte in ritirata nel comodo calduccio autogratificante della sinistra storica». Se fosse davvero così poveri noi, visto che non c'è altro all'orizzonte. Nicoletti invece ritiene il suo Partito «un coraggioso ripensamento del nostro modello di sviluppo» ed afferma che «oggi il vero e grande scontro ideale e politico tra le diverse forze in campo avviene attorno al valore dell'uguaglianza», recuperando un valore, l'uguaglianza, assai trascurato nel pensiero dominante. Renzo Gubert individua la fragilità del Partito Democratico nelle opposte tradizioni delle forze che le compongono, da una parte gli ex socialcomunisti e dall'altra gli ex cattolici democratici, e segnala gli insanabili dissidi interni sulla concezione della famiglia e sui problemi bioetici, l'origine e la fine della vita. Quanto alle tradizioni è ben noto che il loro destino è fortunatamente quello di essere superate e c'è motivo di credere che possa essere condivisa l'opinione che «egualità e fraternità» sono gli stessi valori predicati da Gesù Cristo. Sulla famiglia e la bioetica i problemi inquietanti sono aperti per tutti, non solo per i cattolici. E vanno affrontati con senso di responsabilità e lungimiranza. Non pare al senatore Gubert che la famiglia come tale presenti qualcosa che non funziona, posto che è diventata l'istituto più criminogeno della moderna società. Sono più gli assassini consumati dentro la famiglia di quelli imputabili alla criminalità organizzata. Olivi mette l'accento sulle ardue difficoltà che nascono dall'economia globalizzata, ed accenna alla prospettiva di un mondo che andrà più piano ed al fatto che dovremo abituarci all'idea che disporremmo di meno risorse. E propone anche di correre «il rischio di intraprendere strade nuove e meno remunerative dal punto di vista del consenso immediato». Mi pare che Olivi abbia colto il punto essenziale di tutta la questione. Non è solo il Pd Italiano ad essere in difficoltà. In tutto il mondo, tranne l'America latina, la sinistra è in crisi. Zapatero è alle prese con tensioni sociali, ed Obama, che ha perso le elezioni di medio termine, può dirsi fortunato, poiché negli Stati Uniti i presidenti considerati troppo di sinistra li ammazzano, come è capitato ad Abramo Lincoln ed ai fratelli Kennedy. Tale difficoltà è originata da una inadeguata cultura politica rispetto ai problemi economici che oggi angustiano il mondo. La concorrenza cinese, le delocalizzazioni delle imprese, la saturazione del mercato delle automobili, l'enorme massa di capitali privati che naviga nel mondo della finanza producendo soltanto arricchimenti speculativi o tensioni che ricadono anche sull'economia materiale, l'evasione fiscale in Italia e gli affari sommersi controllati dalla criminalità organizzata, la povertà dei paesi sfruttati dall'Occidente che genera l'immigrazione imponente di masse di poveracci difficili da controllare e da integrare, il debito pubblico che paralizza gli interventi correttivi della politica. Tutto ciò provoca un decadimento delle condizioni di vita delle persone impressionante: cassintegrati, disoccupati, donne e giovani che non trovano lavoro, precari, piccole imprese che chiudono. Fronteggiare un simile stato di cose esige una politica forte, un governo a dimensione almeno europea che possa promuovere la conversione di apparati produttori, l'utilizzo dei capitali finanziari per investimenti produttivi, l'adeguamento delle retribuzioni nei paesi in via di sviluppo, il risanamento di conti pubblici, il prelievo fiscale sulle rendite, il rispetto dell'ambiente naturale: cose dell'altro mondo! Appunto, un altro mondo. Invece si continua a dire che per uscire dalla crisi bisogna tornare a crescere, con l'innovazione, l'aumento della produttività, l'affinamento della competitività. Cose vecchie ed impossibili, che hanno generato la crisi e la riprodurranno. La soluzione invece sta in una più equilibrata distribuzione della ricchezza, appunto in una maggiore eguaglianza, come dice Nicoletti. Ma non sarà facile fare accettare questa cultura ad un popolo avvelenato dal consumismo, come prevede Olivi. È con questi problemi che deve misurarsi il Partito Democratico e tutto il centro sinistra, e riuscire a convincere l'elettorato che una società più egualitaria è anche più conveniente.
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