"Comunità di valle? Una grande riforma". Roberto Pinter, 12 ottobre 2010
Il direttore dell'Adige sostiene che le Comunità di valle nascono senza poteri e che in ogni caso non costituiscano una vera riforma, che sarebbe invece data dalla riduzione dei comuni trentini.
Non sono affatto dello stesso avviso.
Vero che la riduzione dei comuni, pur necessaria, è un processo difficile che ha sortito ad oggi due soli risultati, peraltro incoraggianti, e che richiederebbe senz'altro un coraggioso cambiamento che pochi in Trentino sono disposti a sostenere. Ma non basterebbe comunque.
Perchè c'è bisogno di una riforma? È meglio capirci su questo punto. Io che, da assessore alla riforma, ho firmato nel 1999 il primo disegno di legge in materia ritengo che non sia più rinviabile la redistribuzione dell'eccessiva concentrazione di poteri in capo alla Provincia e al suo presidente. La sussidiarietà non è solo un giusto principio e una necessità democratica, ma è anche un bisogno della Autonomia che deve rimotivarsi se vuole reggere l'assedio cui è sottoposta da più parti e non può che farlo attraverso una generale assunzione di responsabilità da parte di tutta la comunità trentina.
Ridurre i poteri e ridistribuirli è necessario e urgente. Dopo il primo, segnato dalla Regione, il secondo Statuto ha trasferito alle Province i poteri che sono poi con le norme di attuazione grandemente cresciuti. I poteri dei Comuni sono rimasti invece sempre gli stessi al punto da risultare inferiori, per competenze ma non per risorse, a quelli italiani. E uno dei motivi dell'accentramento di potere, nelle mani della giunta prima e del Presidente poi, sta anche nella inadeguatezza,per la frammentazione e la piccola dimensione, dei Comuni ad assorbire nuove competenze.
L'unico e lungimirante tentativo di cambiare le cose è stata la riforma comprensoriale che però ha conosciuto due grandi limiti, oltre a qualche errore di dimensionamento: il mancato trasferimento di poteri, trattandosi solo di deleghe, e la mancata legittimazione attraverso il voto popolare.
La riduzione del numero dei Comuni favorirebbe l'assunzione di nuovi poteri ma non darebbe una risposta a quello che in Trentino è un bisogno naturale.
In Trentino c'è una dimensione, quella di valle,( rinviamo per ora il tema dei perimetri), che è da sempre elemento antropologico, costitutivo per l'identità socioeconomica e culturale, per la lingua usata, per la percezione identitaria del paesaggio, e naturale riferimento per l'organizzazione dei servizi,scuola e sanità in primis, per la mobilità, per le migrazioni e per i pendolarismi, per la promozione turistica e per la produzione agricola. Una dimensione che appartiene ai trentini, non una sovrastruttura burocratica o una invenzione politica e nella quale sarebbe naturale poter affrontare i problemi dello sviluppo economico e urbanistico, della dotazione di infrastrutture, della organizzazione dei servizi, della offerta residenziale, delle politiche di cittadinanza, della promozione turistica, dell'offerta culturale, delle politiche giovanili.
Se noi trasferissimo ad un numero ridotto di comuni questi poteri rimarrebbe lo stesso il vero problema di fare delle scelte comuni per ambiti omogenei, le scelte strategiche, le politiche economiche e sociali ma anche, per fare un esempio, l'offerta di asili nido che non ci sono o di strutture sportive o di aree artigianali che si moltiplicano rimanendo tutte inadeguate rispetto alla domanda.
Ecco perchè le Comunità rappresentano la risposta giusta, perchè offrono il livello giusto perchè finalmente si allegerisca la Provincia prima che scoppi, e si riporti la responsabilità delle scelte ad un giusto livello di assunzione. I sindaci con il cappello in mano non ci saranno più, se ci saranno Comunità con veri poteri e con una dimensione politica che eviti di rimandare a piazza Dante non solo un piano regolatore, ma anche la realizzazione di un campo di golf, di una piscina, di un capannone, di un asilo, di un oratorio, di una strada interpoderale, di una stalla, e perfino di un abbaino.
Un occasione che è anche di crescita democratica.
Certo ci vuole volontà politica, scelte coraggiose da parte di chi detiene il potere, occhio del legislatore nel monitorare l'attuazione della riforma, collaborazione dei Comuni che saranno obbligati all'esercizio associato, e attenzione pure dai mass media che possono costituire un severo pungolo a fare meglio, ad uscire dal sonno burocratico e dal sonnifero deresponsabilizzante di mamma provincia, ad avviare il Trentino ad una terza fase della autonomia, quella che ci chiama tutti ad essere cittadini più responsabili del proprio futuro.
Liquidare le Comunità prima che nascano, ricordarne gli evidenti limiti a partire dal pasticcio di questo sistema elettorale e del voto disgiunto dalle comunali e dal precario assetto organizzativo, è molto facile, ma francamente serve solo a lasciare che le cose continuino nel solito modo.
Faustini con l'editoriale di domenica rilancia le perplessità avanzate dalla Confindustria trentina rispetto alle Comunità di valle. E' uno sport comune, e aggiungo piuttosto facile, quello di individuare i limiti di una riforma che, proprio perchè è nella fase di decollo, non si sa ancora con certezza se saprà volare.
Ma le ragioni che stanno alla base della critica degli Industriali sono facilmente individuabili ed esprimono un consolidato punto di vista di una e non è la sola, associazione economica.
Per gli industriali e per i bisogni delle loro imprese meno soggetti istituzionali ci sono e meglio è. Meno livelli amministrativi ci sono e meglio è. Meno strumenti urbanistici e programmatori ci sono e meglio è.
Non è perchè desiderano un solo principe al comando, ma perchè sono così certi di avere un unico interlocutore con il quale confrontarsi, un unico sportello al quale rivolgersi, un solo centro decisionale.
In fondo è quello che spesso chiedono anche le associazioni sindacali o ambientali...ed è comprensibile, ma non è detto che sia quello che vogliono i loro iscritti quando si esprimono come cittadini di un territorio. In questo caso tutti vorrebbero poter contar di più a “casa loro”, nel loro comune, nella loro valle, nel loro territorio e questo mal si concilia con la concentrazione dei poteri in poche mani e a livello centrale.
Non si tratta però solo del bisogno e del relativo “costo” del federalismo e della democrazia, di cui è comprensibile non si faccia particolarmente carico la Confindustria. Si tratta anche di capire se ad esempio è meglio immaginare che ci sia solo la Provincia, solo la Provincia e i Comuni o se le Comunità non aggiungano qualcosa in più di cui forse c'è più bisogno.
Come assessore all'urbanistica mi sono occupato di aree produttive, di infrastrutture e di servizi. Gli industriali ma anche gli artigiani e il commercio si lamentavano di dover misurarsi con 223 piani regolatori, con 223 regolamenti edilizi, con l'eterno rimpallo nelle decisioni per opere e servizi sovracomunali, praticamente tutte in Trentino. Chiedevano un unica pianificazione e un 'unica regolamentazione anche perchè cento piccole aree produttive impedivano di offrire aree adeguate e attrezzate e ben collegate.
Bene, io sono convinto che con le Comunità di valle anche gli imprenditori(industriali, artigiani, agricoltori, commercianti,operatori turistici o dello sci..) ne trarranno vantaggio: una pianificazione delle aree produttive sovracomunali da parte delle Comunità, la relativa regolamentazione, la realizzazione delle opere viarie o delle strutture logistiche e di trasporto, la messa in rete, la dotazione di servizi come mense ed alloggi per i lavoratori, offrirà molti più vantaggi che lasciare la competenza alla Provincia, con la rigidità che ne comporta e anche la difficoltà di tradurre sul territorio decisioni non maturate a quel livello, o che riconoscere ai Comuni delle competenze rispetto alle quali non hanno personale e capacità adeguate e che comunque comporterebbero l'attivazione di complicate intese.
Non sono convinto, come sostiene il direttore che i programmatori ci sarebbero nei comuni. La scala di grandezza naturale in Trentino per affrontare problemi di sistema economico, di fabbisogno residenziale, di offerta di servizi, di organizzazione della mobilità, sta proprio nella valle e dunque nella Comunità di valle.
Proprio sabato scorso nel convegno del PD a Rovereto ho citato, e con me il sindaco di Rovereto, quello di Mori, l'assessore Olivi, come esempi che rendono necessaria la Comunità proprio i problemi di uno sviluppo sostenibile: l'area strategica dell'ex Montecatini è nel comune di Mori ma senza Rovereto e la Vallagarina nemmeno la Provincia è in grado di riutilizzarla a beneficio di tutti; così la Manifattura; il distretto della green economy non si realizza se non con il concorso di tutta la Vallagarina; le connessioni viarie o di mobilità pubblica, i sevizi di depurazione o di smaltimento dei rifiuti, la gestione delle risorse idriche o a valorizzazione turistica e culturale, sono altri esempi che rendono necessaria la Comunità. Il problema naturalmente più che il numero di amministratori, che così posto non suona bene, sarà l'efficacia della azione pubblica e quel po' di coraggio di riformare che in Trentino manca a tutti i livelli, pubblici e anche privati.
Ecco mi piacerebbe che gli strumenti di informazione più che seminare dubbi, che già ce li hanno per natura i trentini, lanciassero richieste precise di un uso sobrio ma capace delle risorse pubbliche, indicassero le priorità dei bisogni a cui dare risposta, stimolassero i partiti a fare la loro parte, controllassero i pubblici amministratori e anche il presidente della Provincia a tradurre i grandi annunci in azioni concrete.
Abbiamo il vantaggio che le Comunità sono da costruire e che quindi le possiamo modellare cammin facendo per renderle migliori, evitiamo di ricordarne ogni giorno i limiti, lo faccio anch'io, che pur avendo presentato a suo tempo una diversa proposta di riforma, oggi credo in questa, senza lo scetticismo che domina normalmente chi non rientra tra gli autori della riforma.
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