Pacher lascia il Comune tra le lacrime. Emozioni e ricordi di dieci anni da sindaco

TRENTO. Per la sua esperienza da sindaco aveva immaginato un altro finale: «Quando cominci un percorso ti piacerebbe arrivare fino in fondo». Alberto Pacher dice addio al Comune dopo dieci anni, domani si dimetterà con 19 mesi di anticipo sulla scandenza naturale della legislatura. La politica chiama, c'è una campagna elettorale difficile da provare a vincere. Ammette qualche errore, «ma abbiamo fatto un buon lavoro, lascio una città che oggi è più forte».
C. Bert, Trentino, 24 settembre 2008


 Sindaco, quanto le pesa la decisione di lasciare palazzo Thun?
 Tanto. È stata una scelta difficile fin dall'inizio. Però con domani finisce una situazione un po'ibrida. Era un altro il finale che avevo pensato per la mia esperienza in Comune, ma ci sono momenti in cui non sei tu che scegli.


 Quali sono i progetti che vorrebbe vedere conclusi prima delle prossime elezioni?
 Ci sono le varianti urbanistiche che aspettano l'adozione definitiva. In questa fase un passaggio rilevante è il piano della mobilità, e poi mi piacerebbe veder completata l'estensione della raccolta porta a porta. Si tratta di due passaggi cruciali per la città.


 Di cosa va più orgoglioso di questi suoi dieci anni da sindaco?
 La prima è aver cercato di interpretare un ruolo di sindaco il più possibile amichevole, vicino alla gente. Non so se ci sono riuscito, ma non mi è costato tanta fatica, perché ho fatto quello che mi sentivo di fare. L'altra è la variante urbanistica di Busquets, che segna una fase nuova della vita della città. Tra pochi anni Trento avrà un quartiere sul fiume, il parco, il Museo della scienza.


 È stata la stagione dei grandi architetti, Piano, Botta e Gregotti a Trento in un colpo solo.
È stata una stagione impagabile. L'urbanistica ha smesso di essere un tema da specialisti, un po' come quando discuti dell'arredamento di casa. Mi piaceva quando dal barbiere o al bar sentivo parlare del boulevard e della Michelin.

Accanto ai grandi scenari, avete approvato una variante, quella dei privati, per la quale siete stati criticati.
È vero. Se tornassi indietro, quel passaggio lo farei con una visione forte di città, più che partendo dalle 900 richieste dei singoli cittadini. Tanto è vero che subito dopo abbiamo fatto la variante della collina, a dimostrazione che bisognava un po' compensare.

 Vi hanno accusato di essere a volte deboli con i forti, dalle cubature alla Michelin a certe deroghe date alle aziende...
 Non mi sembra. La Michelin è stata un esempio studiato a livello rss di un nuovo rapporto tra il pubblico e i privati. Ci sono poi stati alcuni episodi. La vicenda Cavit è stata un processo largo di sottovalutazione dell'impatto di quell'intervento, ma certamente non un cedimento, tanto che oggi si sta costruendo un capannone normale.


 Ha parlato delle cose di cui va fiero. E quello che non è riuscito a fare da sindaco?
 Sicuramente il traffico rimane un grosso problema per Trento. Non siamo riusciti a concretizzare il progetto del trasporto su rotaia, ma sono convinto che il piano della mobilità darà delle risposte importanti. Poi c'è la questione sociale, che io sento particolarmente. Quando vedo qualcuno che dorme per strada, non mi sento tranquillo. So che c'è una soglia fisiologica e so che abbiamo fatto tanto, ma mi sarebbe piaciuto fare di più.


 Cos'ha capito dei trentini dal suo osservatorio?
 Che Trento sta crescendo nella consapevolezza dei propri mezzi e nell'orgoglio. Ed è diventata una città più aperta, grazie anche all'università e ai tanti turisti.


 Parliamo della nuova giunta. Lascia totalmente tranquillo?
 Lascio una giunta che in gran parte rimane. E lascio un vicesindaco facente funzioni apprezzato da tutti in maggioranza e rispettato dalle minoranze. Andreatta è uscito indenne da passaggi difficili, penso ad Auto In e Cavit, dimostrando di essere pulito e molto saldo sul piano politico.


 Merita di essere il prossimo candidato sindaco del centrosinistra?
 Ha tutte le carte in regola per esserlo, adesso ha davanti alcuni mesi per dimostrare ancora di più le sue capacità. Con lui in questi anni ho lavorato in un rapporto di fiducia totale che non ha mai vacillato. Detto questo io considero le primarie un passaggio necessario, un modo importante per avere alla fine un candidato in cui tutti si riconoscono.

Si dice di lei che è una persona di grande equilibrio ma che sa imporsi poco nei momenti decisivi.
 Ho il mio carattere, non a caso facevo lo psicologo e non il sergente maggiore. Ma se mi guardo indietro non mi sembrano 10 anni di indecisione e inerzia. Per me è stato importante non solo prendere decisioni sulla città, ma farle diventare decisioni della città.
 

Si dice anche che lei sia succube di Dellai, anche nella sua ultima decisione di candidarsi.
 Non è così. Dellai ha insistito per mesi in primavera, e io ho sempre detto di no. Da noi spesso si crede che se non urli, sei succube. Con Dellai c'è sintonia, ma non avrei accettato una situazione di sudditanza.


 Come immagina il suo futuro in Provincia?
 Ho imparato che in tempi come questi è meglio pensare all'immediato. Da domani mi impegnerò a tempo pieno per far vincere la coalizione e il Pd.


 L'ultima vicenda giudiziaria che coinvolge Grisenti rischia di pesare anche sul piano elettorale. Preoccupato?
 È un momento brutto per la politica, questa vicenda rende tutto più difficile. Quella che emerge dall'inchiesta è una situazione diversa da Tangentopoli, sicuramente più circoscritta, ma ci dice che c'è una cultura anche in Trentino di cui si fa fatica a liberarsi. Noi dobbiamo ribadire che siamo un'altra cosa: servono sistemi legislativi e di controllo più efficaci, ma anche una presa di coscienza della politica.