Michele Nardelli, 15 luglio 2010
Un drammatico fatto di cronaca, forse appena notato nello scorrere distratto della cronaca locale, del quale il quotidiano “L’Adige” ha dato risalto nelle sue pagine del Basso Sarca.
Un giovane camionista polacco muore dissanguato in una piazzola di sosta per autotreni per un banalissimo incidente mentre cercava di aprirsi con un coltello da cucina il suo misero pasto del sabato sera, una scatola di tonno. Che si trasforma in tragedia, per la solitudine e per l’incapacità di chiedere soccorso. Il suo cellulare testimonierà di una chiamata di aiuto effettuata nella tarda serata di sabato al 112 e della quale il Comando dei Carabinieri di Nembro (Bergamo) hanno riscontro, ma così generica da non riuscire a localizzarla. Si chiamava Karol Baczek, aveva ventisei anni. Lo troveranno il mattino successivo, senza vita.
Non sappiamo nulla di Karol, solo una notizia ripresa dall’Eco di Bergamo. Probabilmente verrà archiviata come una tragica fatalità. Forse la si potrebbe definire una storia di moderna solitudine, ma scorrendo l’articolo de “L’Adige” emerge una realtà ben più complessa. Perché la ditta per cui lavorava – il Tir che guidava era della Eurotrama di Arco – dichiara attraverso il suo titolare che il giovane polacco “non era un nostro dipendente”. Così da un banale quanto tragico fatto di cronaca emerge lo spaccato di come sta cambiando il lavoro in Italia ed in Trentino.
Perché Karol Baczek era un lavoratore di nuova generazione, di quelli che non esistono in quanto senza voce, né tutela. Molto probabilmente dipendente di un'azienda italiana delocalizzata, con un contratto di lavoro in un paese dell’est europeo ed uno stipendio intorno ai 400 euro al mese. Tanto che il titolare, sentito dal cronista locale per saperne di più, gli risponde di “chiamare in Polonia”.
Ecco allora che viene alla luce una realtà di cui pure si è parlato nei mesi scorsi ma senza la necessaria attenzione, ovvero l’effetto Bolkenstein, meccanismo che sta devastando il mercato del lavoro e le relazioni industriali. Se fino ad ora si reclutavano lavoratori originari di altri paesi in attività che coprivano segmenti di attività “indesiderate” e con minori possibilità di far valere i loro diritti, oggi si va diffondendo una pratica che porta le aziende italiane (e trentine) a chiudere o a ridimensionare fortemente la propria presenza in loco, delocalizzando o aprendo ex novo ditte in paesi fortemente deregolati, dove assumere lavoratori con i contratti locali e dunque destinati a lavorare nel nostro paese (o in altri paesi europei) con paghe da niente e costi del lavoro estremamente ridotti. Pratiche particolarmente diffuse nel settore del trasporto merci, denunciate nei mesi scorsi dai sindacati di categoria.
La tragica vicenda di un giovane lavoratore polacco apre quindi scenari ben più vasti di un fatto di cronaca, che comunque dovrebbe farci riflettere su un’umanità senza qualità dove si può morire in solitudine a ventisei anni lungo le autostrade o nei non-luoghi della moderna solitudine. Scenari inquietanti e destinati a trasformare o a condizionare le regole del lavoro e le relazioni sociali. E che ci descrivono un mondo sempre più interdipendente, dove irrompono prepotentemente fattori che se non affrontati e regolamentati avranno, e già oggi hanno, effetti devastanti. Non parlo solo del sistema dell’autotrasporto, parlo dell’industria manifatturiera e della nostra economia più in generale. O forse non abbiamo messo a fuoco quel che si è chiesto ai lavoratori di Pomigliano d’Arco?
Karol era coetaneo di molti lavoratori della Fiat che in Polonia ha delocalizzato alcuni dei suoi impianti. La Fiat, stando almeno alle dichiarazioni dell’azienda e alle stesse sensazioni del sindacato Solidarnosc, non ha alcuna intenzione di chiudere gli stabilimenti di Tychy, tutt’altro. Ed infatti altre linee produttive – la nuova versione della Lancia Ypsilon – stanno per essere attivate. Bastava però ad esercitare il ricatto, in altre parole o ci si allinea alle condizioni di flessibilità di quel paese oppure si chiude.
E’ questo il nuovo orizzonte dell’economia. Che fa il paio con le dinamiche della finanza internazionale, che entra nelle nostre vite senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Verso l’una e l’altra non abbiamo ancora avuto la capacità di metterci al riparo. Parlarne e provare a dare delle risposte è urgente. E forse così anche la tragedia che si è consumata su un anonimo piazzale potrà servire a farci aprire i nostri occhi distratti.