I rischi della macroregione di Fugatti

Da sempre la relazione accompagnatoria alla manovra di bilancio previsionale della Provincia, resa nell'Aula del Consiglio provinciale, rappresenta il momento istituzionale più alto per la definizione del disegno politico che le risorse a disposizione vanno poi a comporre.
Bruno Dorigatti, 22 dicembre 2022

Anche quest'anno, sembra che la tradizione non sia venuta meno, quando il Presidente della Provincia ha rivendicato la sua visione del "fare immediato" quale prospettiva per il futuro e per definire l'orientamento dell'autonomia speciale verso la macroregione del nord-est, riscoprendo in ciò l'antico progetto federalista di Gianfranco Miglio. Come spesso accade però, rimestare nel pentolone della storia non porta in superficie la medesima minestra.Infatti, se allora l'ipotesi federalista era strutturata su alcune macroregioni e tendeva a privilegiare l'area settentrionale del Paese rispetto ai ritardi del centromeridione, oggi lo scenario è profondamente diverso, non solo perché la Lega Nord di Miglio e Bossi non esiste più mentre, seppur a fatica, galleggia ancora il neoleghismo salvinista a vocazione nazionalista, ma anche perché l'Italia è profondamente cambiata e le crisi in atto non permettono nessuna forma di deriva localistica.

Stupisce poi e non poco, il richiamo alla macroregione veneto-padana da parte di chi si autoinveste dell'eredità autonomista trentino-tirolese ed alpina che, nonostante ogni possibile forzatura storica e dialettica, non poggia su alcun legame con le tradizioni territoriali della pianura. In altre parole non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè farsi paladini dell'autonomia speciale, della sua vocazione e dei suoi vincoli con il Tirolo storico da un lato e dall'altro spingere in direzione di un annegamento della stessa dentro il calderone di una grande, quanto improbabile, regione del nord-est che, per molti versi, appare contrapposta anche alla stessa prospettiva euroregionale.

Certamente, un simile progetto potrebbe trovar qualche interessata adesione a nord di Salorno, ma solo perché spinge nella direzione di un Trentino al traino dell'area veneto-emiliana e di un Alto-Adige/Südtirol sempre più unico detentore di quella specialità etnica, che tanto ricorda il "Los von Trient", dimenticando in ciò che l'autonomia non può più ridursi al fattore etnico, ma deve essere invece apertura alla contaminazione ed alla modernità.Non fugano i dubbi, nemmeno le precisazioni successive del Presidente della Provincia, laddove egli indica nell'orizzonte macroregionale il luogo del possibile esercizio collaborativo ed interattivo fra i territori. Egli forse scorda che quest'esercizio si fonda sul principio della reciproca convenienza e non della spinta allo sviluppo di singoli vettori o della vocazione laboratoriale e sperimentale, proprie invece del sistema autonomistico speciale.

Ciò che, pur legittimamente, si cela dietro il tratteggio leghista del futuro è quindi soprattutto una sorta di resa non solo dell'autonomismo e degli autonomisti nostrani, il cui silenzio è oltremodo eloquente, ma anche e soprattutto del sistema in sé.La bandiera bianca cioè di una autonomia incapace di rialzarsi dallo stato di prostrazione nel quale pare versare da tempo; di una autonomia che non può ridursi ancora e sempre a gestione casalinga e contingente dei singoli microproblemi e del mero consenso; di una autonomia smemorata e solo folklorica, quindi impossibilitata a rimettere in gioco le sue eccellenze ed a trasformarsi in effettivo perno di nuovi modelli di sviluppo, plasmati attorno alle trasformazioni epocali che stiamo vivendo.

Manca cioè nel progetto macroregionale vagheggiato, l'idea che l'autonomia possa essere anzitutto un forte produttore di soluzioni ai problemi del presente ed una risorsa rinnovabile anche per l'Europa, producendo "buon governo" e quindi divenendo una vetrina permanente della crescita di uno specifico e particolare territorio. Ed infine latita la concezione irrinunciabile, quella di una autonomia intesa come "stazione sperimentale", nella consapevolezza che nuove politiche e nuovi sistemi di governo, indispensabili per superare lo sgretolamento delle certezze tradizionali, non possono essere sperimentati a livelli delle grandi burocrazie centralizzate, ma debbono misurarsi sul terreno laboratoriale di realtà come la nostra. Questa è l'autonomia. Tutto il resto è delega.