Carissime e carissimi,
l’Assemblea di oggi rappresenta un momento molto importante per il nostro Partito. E’la prima assemblea post-voto, un post voto che ci consegna la responsabilità di una lettura attenta, precisa e diversificata del risultato che le urne ci hanno consegnato da un lato sul piano nazionale, dall’altro sul piano provinciale.
Lucia Maestri, 17 ottobre 2022
Ed è, questa nostra assemblea, il luogo principe, non solo della discussione su “ciò che è stato” ma anche della proposta sul ciò che “dovrà essere” il Partito Democratico e il Partito Democratico del Trentino chiamato, già da ora, e non da ora, ad implementare la sua “cassetta degli attrezzi” per affrontare la sfida del 2023.
Una sfida che sappiamo difficile ma non impossibile.
Difficile, perché il risultato delle urne racconta di un Trentino non diverso dal resto d’Italia dove il partito di Giorgia Meloni (o meglio forse lei stessa) ha raccolto largo consenso, svuotando in parte il bacino elettorale della Lega.
Non impossibile. Perché noi, dando vita al progetto Alleanza Democratica per l’Autonomia, inedita e speciale coalizione abbiamo aperto una prospettiva di futuro.
Ma su questo torneremo dopo.
Dicevo siamo chiamati ad una lettura attenta dello scenario nazionale e provinciale che ci sollecita a riflettere, ben prima che sul nostro risultato numerico, su un dato, quello dell’astensionismo, da definire preoccupante.
La caduta di partecipazione al voto, è la più significativa dal 1945 ad oggi. Il 36 per cento degli elettori non è andato a votare: un nove per cento in più di persone, rispetto al dato negativo del 2018. In Trentino l’affluenza è calata dal 79,37 al 69,3%. Dieci punti percentuali. Numeri che ci raccontano di una consapevole rinuncia ad esercitare il proprio diritto, prima che il proprio dovere di partecipare ai destini del Paese, con un atto, quello del voto che sostanzia le democrazie. Numeri che ci raccontano una distanza, troppe distanze, tra la politica, certa politica e la sua rappresentazione, tra la politica, certa politica e la percezione che di questa hanno almeno un terzo dei cittadini.
Se il “tanto votare non serve” è convinzione diffusa, se i famosi indecisi ai quali tutti i partiti hanno dato la caccia nelle settimane di campagna elettorale hanno deciso di starsene comunque a casa, noi ci si deve interrogare. Se parte del nostro Paese e della Comunità trentina non ritiene la politica utile ad affrontare e risolvere i problemi che la vita quotidiana pone loro di fronte il problema non è di quella parte il problema è dell’intero sistema politico e anche nostro.
Dal 25 settembre il volto dell’Italia è profondamente cambiato.
Ha vinto la destra. Ha vinto soprattutto Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.
La 18^ Legislatura si è aperta nel modo (per noi e per l’Italia) peggiore possibile. L’elezione di Ignazio La Russa (avvenuta tra l’altro con il sostegno di irresponsabili elementi estranei alla maggioranza) e di Lorenzo Fontana ci consegnano plasticamente la realtà del Parlamento “più a destra” della storia d’Italia, con le “ali estreme ed identitarie” della coalizione stessa che, segnando il punto, ci raccontano della volontà di Giorgia Meloni di rafforzare l’asse sovranista con Salvini e di marginalizzare Forza Italia e con essa Berlusconi, e il peso della corrente europeista. Un problema molto serio per il nostro Paese. Le tensioni crescenti tra gli alleati di centro destra nella composizione del governo tradiscono quel senso di compattezza che il cdx si è forgiato di spendere in campagna elettorale. Staremo a vedere se la candidata in pectore alla Presidenza del Consiglio riuscirà a presentare una compagine di governo utile all’Italia ma soprattutto credibile agli occhi dell’Europa.
Il 25 settembre ha consegnato al nostro partito un consenso sotto la soglia psicologica, del 20% che sembrava essere la “soglia minima” per non dichiararsi del tutto sconfitti
E’ una sconfitta politica prima che numerica anche se quella cifra percentuale, quegli 800 mila voti in meno, pesano da soli. Per altro segnando purtroppo un trend, quello del calo dei consensi, che riguarda il Pd di tutti questi anni. Nato con 12 milioni di voti ora ne conta 5.
Della sconfitta politica il Segretario Letta si è assunto piena responsabilità, aprendo, nella direzione del 6 ottobre, il percorso verso un nuovo congresso e anticipando la sua indisponibilità ad una sua ricandidatura.
Al Segretario Letta va il mio, e penso il nostro, sentito e partecipato ringraziamento per essersi messo a disposizione, in una fase difficilissima del Partito determinata dalle dimissioni di Zingaretti, e per aver percorso i sentieri impervi dell’allargamento del Pd stesso, avere garantito una sua unità interna, aver irrobustito la nostra presenza sul territorio, aver costruito un programma dal basso” partecipato condiviso da 100.000 persone protagoniste delle Agorà.
Il nome del dimissionario Letta va ad arricchire la lista dei segretari “caduti” in nome e per conto del Pd.
Un partito che dal 2007 al 2021 ha cambiato ben 10 segretari, per una durata media di ciascuno di loro di due anni.
Veltroni; Franceschini; Bersani; Epifani; Renzi; Orfini; Renzi bis; Martina;
Zingaretti; Letta.
Siamo alla ricerca di una undicesima guida dalla nostra fondazione. Sorge una domanda: dipende dal nome del Segretario la nostra capacità di convincere e di vincere? E’ sufficiente cambiare il Segretario, di volta in volta, per essere “nuovi ed attrattivi”?
Ho partecipato alla riunione della Direzione. Una riunione lunga e intensa, come è doveroso che avvenga dentro un Partito.
Socializzo con voi il profondo disagio da me vissuto, durante il dispiegarsi di molti critici interventi prodotti da dirigenti di partito che, mettendo in discussione (ex post) teoria delle alleanze, linea politica, scelte, sembrava si fossero dimenticati di aver alzato sempre la mano nelle direzioni precedenti, facendo registrare, rispetto ad ogni scelta, l’unanimità dei consensi espressi in Direzione.
Un disagio, questo mio, crescente nel percepire sentimenti di autodistruzione, teorie sul cambio di nome e simbolo nell’ udire, dopo averle per altro lette sulla stampa, parole quali “scioglimento”, provenienti dai molti dirigenti appartenenti alle diverse correnti, additate ora come il male assoluto ma ritenute utili nella gara di assegnazione dei collegi
Certo quando un partito perde viene bene e viene facile sparargli addosso. Da fuori, si intende. Ma se una intera classe dirigente partecipa allo “smantellamento” della casa nella quale abita, il problema sta anche in quella classe dirigente. Incapace, forse, anche di pensare che il Partito Democratico non è solo la sua Direzione ma appartiene ai milioni di cittadini, militanti, elettori ed elettrici, che, comunque in questo partito hanno riposto ancora la loro fiducia, e che a questo partito hanno dedicato tempo passione intelligenza
Quei 5,5 milioni di elettori ed elettrici, pur nella sconfitta ci raccontano che non stiamo certamente bene ma che non siamo morti.
E’ paradossale che il Movimento 5 Stelle che ha perso più della metà dei suoi voti, gridi alla vittoria. O che una Lega che ha subito un tracollo evidente non abbia aperto alcuna riflessione, non abbia messo in discussione l’interprete perdente di quella linea. O che un Calenda non abbia alzato un dito, un ciglio di autocritica dopo non aver raggiunto quel consenso a due cifre posto, da lui stesso, come soglia minima per la sfida.
Ed allora alziamo la testa! Non negando spazi alla vera dura e cruda analisi, ma non concedendo spazi a sentimenti da “cupio dissolvi” lontani dalla responsabilità di essere il secondo partito italiano e il primo partito dell’opposizione. Che dovrà essere a Roma come in Trentino, intransigente
Diceva Walter Veltroni (intervista Corriere della Sera 28 settembre)
“Fondare un Partito (..) significa radicarlo nella società nella società civile. Significa descriverne radici ed intenzioni. E gettarlo a viso aperto nella conquista del consenso, la dimensione precipua e più affascinante per qualsiasi passione civile. Ma non solo il consenso elettorale, che è la prova non la ragione della forza di un partito. Ciò di cui parlo è il consenso faticoso che nasce dalla condivisione del dolore sociale e civile, della capacità di organizzarlo e trasformarlo da rabbia in ragione, da solitudine di un disagio in forza collettiva. Quel consenso che si conquista ogni giorno, non presentandosi solo nel mese delle elezioni con i volantini con scritto “vota me che tutto cambierà”.
Ripartiamo dalla “condivisione del dolore sociale e civile”, dalla lotta alle disuguaglianze, dalla capacità di trasformare la solitudine di un disagio in forza collettiva, dalla necessità di puntare sul merito, di sostenere e promuovere il merito, come leva del progresso sociale e civile.
Ripartiamo dalle connessioni perdute, dal “per chi” e dal “come” esercitiamo il nostro impegno politico. Prendiamoci cura della vita delle persone, dell’ascolto dei loro problemi, diamoci da fare nella individuazione di risposte concrete, ricostruiamo minuziosamente il rapporto con loro.
Non è impossibile. Chiediamoci perché il Partito Democratico, alle elezioni amministrative, in molta parte d’Italia conosce il successo. Riesce ad interpretare i bisogni, le aspettative, la volontà di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini dei propri territori. Perché li si vive la “prossimità”. Li ognuno di noi conosce (o dovrebbe conoscere) ogni cmq dei problemi delle aspirazioni ed ha la capacità di portali a “tema”, di risolverli. Lì siamo riconoscibili per concretezza, capacità, radicamento competenze, valori.
Ritornare ad essere il partito della prossimità questo è il mutamento che ci è richiesto, l’obiettivo che ci dobbiamo dare.
Le ragioni della sconfitta albergano anche dentro altre maglie.
Un eccesso di responsabilità nello stare al governo per il bene del Paese per salvare l’Italia una volta dalla bancarotta finanziaria, un’altra per evitare i pieni poteri a Salvini, un’altra ancora per completare il piano vaccinale e spendere meglio i fondi del Pnnr.
La rottura traumatica dell’esperienza del Governo Draghi. Il precipitare di una campagna elettorale agostana. Una legge elettorale (che non abbiamo voluto o potuto cambiare) che prevedeva la costituzione di una coalizione (e noi non avevamo una coalizione) I rifiuti, e i tradimenti subiti nel processo di costruzione del “Campo Largo”, la corsa al collegio sicuro che di sicuro non c’era più niente….
Una campagna elettorale sbagliata nei toni, nei modi, nella comunicazione affidandosi al richiamo del “voto utile” o del “o noi o loro”. Un conseguente oscuramento dei capisaldi del nostro programma che, minimamente siamo riusciti a comunicare. Il precedente aver perso il contatto con la società, il non saper quale sia l’elettorato che vogliamo rappresentare.
Potremmo continuare. Ma finito l’elenco, compiaciuti dell’analisi, abbiamo la necessità e il dovere di svestire i panni di quelli che sono bravissimi a dipanare analisi e meno bravi a tracciare percorsi nuovi.
Un cammino nuovo lo ha tracciato il Segretario Letta dando il là ad un percorso congressuale straordinario.
Non solo un fatto interno ma un fatto caratterizzante il nuovo essere del Pd. Un Pd impegnato a costruire nelle aule e nella società un’opposizione costruttiva ed intransigente proponendo su ogni tema una visione altra un “noi se fossimo al governo faremmo questo”. Un Pd impegnato a ritessere le fila di una opposizione unita. Un Pd non disponibile a fare il “salvavita” del Paese in caso di crisi di governo.
Un Pd che va a congresso guardando all’Italia, che discuta dell’Italia, non del proprio ombelico.
“Un congresso da tenersi in tempi giusti” e che preveda il rinnovo del gruppo dirigente entro la primavera prossima. Un percorso che sarà accompagnato dal segretario uscente, che dovrà essere fatto su valori principi e contenuti e che si articolerà in quattro fasi:
Prima fase: una fase di ascolto e di chiamata al Pd di tutti quelli che vorranno partecipare, ora esterni a questo percorso
Seconda fase: discussione sui nodi politici e programmatici
Terza fase: gli iscritti votano sulle piattaforme presentate
Quarta fase: le migliori due piattaforme presentate (quelle che avranno ottenuto più consenso dagli iscritti) saranno sottoposte alle primarie tra iscritti ed elettori
La Direzione del 6 ottobre ha votato all’unanimità (un voto contrario e un astenuto) questa road map che si concretizzerà, tecnicamente, in una calendarizzazione delle quattro fasi in vista del congresso.
Tale calendarizzazione sarà posta al voto della prossima Direzione prevista nella seconda metà di ottobre.
E però se “il buon giorno si vede dal mattino” questi, per il PD non sono buoni giorni, in approssimazione del congresso, Assistiamo ad un florilegio di autocandidature, pur legittime che, sorte in men che non si dica, paiono sorde alle vere ragioni del rilancio. Le ritengo, attualmente, un fatto negativo.
Staremo a vedere. Il percorso, pur breve è ancora lungo, e tutto, come sappiamo, nel PD può succedere.
Ciò che non può succedere è che si avveri, ancora una volta, una sorda caccia e ricerca di sostenitori e fedelissimi al possibile competitor, e non una meditata scelta tra linee politiche diversificate che si avvalgano di contributi di persone pensanti e autonome e non di fedelissimi.
Aggiorneremo, circa la dinamica nazionale, i lavori della nostra Assemblea. Non appena la direzione stabilirà norme, step, date, dovremmo tracciare la agenda congressuale, ad articolazione nazionale, trentina
E veniamo al Trentino. La nostra Terra
Il Trentino, non scevro dal vento che ha attraversato l’Italia, ha messo la sua freccia a destra.
Fratelli d’Italia passa dal 4% registrato nel 2018 al 25%. Svuotando in gran parte la Lega, che ha perso circa 50.000 voti.
Una performance, quella di Fratelli d’Italia, forza nazionalista e centralista che, di fatto omologa la nostra Terra speciale, (quasi che la specialità sia percepita come dato “a latere”) al resto del nostro Paese.
Con un Fratelli d’Italia che, guarda caso, a Trento, non è parte organica della Giunta, ed esercita il ruolo di oppositore interno. Paga, pare, stare un po’ di qua e un po’ di là.
Dentro il centro destra trentino, con una Lega doppiata dal partito della Meloni, le acque sono più che agitate. I risultati delle urne hanno seriamente compromesso a Fugatti l’abbozzato, e poi fallito, disegno di cambiare schema, di sostituire, di fatto marginalizzandolo, l’alleato Fratelli d’Italia (rivelatosi molto più consistente di quanto Fugatti pensasse) con un possibile accordo con il Patt. Politicamente, oggi, l’operazione rimane, anche se ancora possibile (in politica tutto può accadere), molto più ardua anche in considerazione dei rapporti di forza registrati a livello di governo nazionale.
L’anno che ci separa dalla fine della legislatura riserverà, a quel campo, ulteriori turbolenze non solo legate alla definizione della ri-candidatura di Fugatti a Presidente. E noi, a quelle turbolenze, dobbiamo guardare con interesse non illudendoci, però, che sia consequenziale, alla sola destabilizzazione di quel quadro, una nostra possibile vittoria nel 2023.
C’è, comunque, di che essere preoccupati per la nostra Autonomia. Non penso a mirabili scossoni, al venir meno dello Statuto saldamente ancorato ad una dimensione pattizia internazionale.
Penso, che la nostra Autonomia possa essere “derubricata” a mera questione amministrativa. E che possa, forse, assumere la veste di “intralcio”, anche dentro le dinamiche di un centro destra che vede, da una parte la Lega affidare la sua sopravvivenza all’inveramento dell’Autonomia differenziata per le regioni del nord est e per i suoi governatori, e dall’altra Fratelli d’Italia che per bocca di Meloni ritiene l’Autonomia uno strumento che “in alcuni casi è servito a tutelare alcuni piuttosto che gli altri in assenza di “uno Stato centrale più efficiente, perché l’autonomia la rafforzi meglio con uno stato più capace di fare il suo lavoro. (Meloni)
Se la possibile premier, nega con le sue stesse parole l’Autonomia Speciale, come quadro appunto speciale, che origina dalla tutela delle minoranze tanto da far dire ad Achammer “Cari Fratelli d'Italia, non siamo noi a dover cambiare il nostro approccio, ma cambiate voi il vostro perché le minoranze sono una ricchezza per il Paese”, c’è di che riflettere.
Il quadro regionale, unico quadro entro il quale l’Autonomia può considerarsi spinta propulsiva al cambiamento è l’orizzonte al quale abbiamo guardato.
Si trattava di capire con quali contenuti e con quali strumenti elettorali noi avremmo potuto e dovuto affrontare una sfida elettorale davvero territoriale, per promuovere e preservare la nostra Autonomia.
Si trattava di gettare un amo al di qua e al di la di Salorno, per provare a costruire un quadro “agibile” per quelle inclinazioni culturali e quelle forze politiche che all’Autonomia, quella inverata dai principi statutari, hanno sempre guardato ad essa come essenza costitutiva.
Facendo tesoro, dal punto di vista tecnico, delle opportunità offerteci da una legge elettorale che riserva a pochi territori (noi e la Valle d’Aosta), la possibilità di essere autonomi davvero dal quadro nazionale, abbiamo intrapreso un cammino, certamente impervio e non scevro da difficoltà di costruzione di una coalizione “altra” rispetto a Roma, che valorizzasse non solo le esperienze di “buon governo” insieme già sperimentate nelle nostre città a partire dal 2020, ma che capitalizzasse queste esperienze anche in termini di loro “spendibilità” atta al rafforzamento di un’originalità territoriale, per altro da sempre obiettivo del Partito Democratico del Trentino.
Una originalità che, se non vissuta come isolamento, deve conoscere un ancoraggio parlamentare.
A tutti i nostri candidati al Senato, Pietro Patton, Donatella Conzatti, Michele Sartori il nostro grande grazie per come hanno saputo interpretare in modo unitario e convincente il progetto.
Nell’augurare buon lavoro al Senatore Patton, e riconoscendogli la capacità di “allargare” ad un elettorato più ampio la nostra proposta politica, e la sua propensione “in un momento così imbarazzante per il nostro Paese a non dare spazio a posizioni pregiudiziali quantomeno su singoli provvedimenti” rimaniamo certi che, nell’espressione del voto di fiducia al probabile governo Meloni, i valori declinati nell’intervento di Liliano Segre, da egli stesso ritenuti “riferimento costante del mio impegno politico” saranno fatti vivere. Rimaniamo certi, che nell’espressione di quel voto di fiducia sarà leale nei confronti della coalizione, delle elettrici e degli elettori che lo hanno sostenuto e che sa di rappresentare.
E’ incontrovertibile il ruolo di regia, di stimolo e di sintesi che il PDT, che noi tutte e tutti, chiamati ripetutamente in assemblea in quel caldo mese di agosto, abbiamo saputo esercitare, per dar vita, almeno al Senato, ad una Coalizione Autonoma, diversa, larga e competitiva.
Si trattava di buttare, come abbiamo fatto, il cuore oltre l’ostacolo e di percorrere un sentiero certamente inedito sullo scacchiere nazionale, ma consolidato nella nostra territoriale pratica politica quotidiana, con e dentro la coalizione (Pdt, Azione, Italia Viva, Alleanza Verdi e Sinistra +Eurpa e Campobase) che con noi condivide il prevalere dei contenuti della concretezza rispetto agli esasperanti ed inconcludenti tatticismi.
Il progetto “Alleanza Democratica per l’Autonomia” è la sperimentazione più avanzata, e come abbiamo visto, vincente, che il PDT ha saputo e voluto fare.
Siamo riusciti, anche grazie all’intelligente elaborazione di pensiero e al sostegno di Luigi Olivieri, Roberto Pinter e Giorgio Tonini che qui, a nome di tutti ringrazio, certo non senza difficoltà, a mettere insieme ciò che a Roma è stato diviso. Siamo riusciti far prevalere il generale sul particolare.
In nome del nostro Territorio. Perché sapevamo e sappiamo che “non può essere che chi ha una visione di stato centralista abbia a cuore il destino dei territori” (Patton 14 settembre). E perché sappiamo che o la nostra speciale Autonomia è innovazione o torna a pensare e a scommettere su cose nuove, inedite esigenti o il rischio è davvero che diventi un’Autonomia ordinaria con un di più di costi fin che reggono (Dellai 14 settembre)
La conquista del collegio senatoriale di Trento con Pietro Patton (e la mancata conquista per soli 217 voti del collegio senatoriale di Rovereto) stanno lì ad indicare che la strada intrapresa è la strada giusta, seppur da non ritenere esaustiva, in vista delle elezioni provinciali del 2023.
L’Alleanza Democratica per l’Autonomia conta, in termini assoluti, sommati i tre collegi 100.602 voti
Il centro destra ne conta 103.594. Siamo tornati, in quanto coalizione, ad essere competitivi discostandoci, in negativo, dal centro destra di 2992 voti. Il Patt ne conta 6264. Alle provinciali del 2018 abbiamo perso nella sfida con il cdx di 49.775 voti.
La conquista del collegio di Bolzano Bassa Atesina da parte di Spagnolli ci ha consentito di “portare a casa” l’obiettivo finale. Quello di costituire, insieme alla SVP il Gruppo delle Autonomie al Senato, gettando un amo per la ricostruzione di un asse centro-sinistra SVP perduto negli anni precedenti. Come sappiamo dentro la SVP il dibattito circa il “a chi guardare” è del tutto aperto ma l’aver offerto all’SVP un’alternativa alla “obbligata” alleanza con il centro destra al Senato, è un buon passo avanti ed elemento che ostacola, ora, lo scivolamento del Patt verso la Lega, (uno scivolamento del quale abbiamo avuto già modo di conoscere i contorni).
Il tema dei rapporti con il Patt rimane un tema aperto. E il dialogo con il Patt, mai si è realmente interrotto. Frequenti sono i contatti con i massimi rappresentati del Partito. E inossidabile è la nostra convinzione che, con il Patt, il perimetro del confronto debba essere ancorato alla dimensione programmatica per il Trentino. Quella dimensione che ha saputo essere guida positiva nella costruzione di alcune convergenze territoriali post 2018. Intendiamo percorrere tenacemente ancora, nel rispetto del dialogo interno al Patt questa strada. La mano è tesa. Come sempre. Come da sempre.
E veniamo al nostro PDT.
Ribadisco il mio, personale ringraziamento e quello di tutto il Partito ai candidati e alle candidate che hanno accettato, in una competizione così difficile, di metterci la faccia, indipendentemente dalle loro collocazioni in lista, dalle loro possibilità di elezione. Il loro è stato un atto di generosità e di coraggio; quella generosità insita nell’essere parte del PDT!
Essere parte di un Partito di una Comunità significa sentirsi parte di un tutto.
Capire che il proprio contributo può servire a far vincere un progetto, al di là e al di sopra del fatto se quel progetto sia incarnato SOLO dalla tua persona.
Semplicemente perché un progetto collettivo incarnato da una sola persona non è un progetto.
A Michela Calzà e Luca Zeni, che si sono spesi con generosità per tutti noi il nostro grazie più grande.
I nostri complimenti vanno a Sara Ferrari per essere divenuta la Deputata PD della Regione Trentino Alto Adige.
La vittoria di Sara Ferrai è un ulteriore risultato del nostro aver saputo essere squadra. Una squadra con donne e uomini di punta supportati, incoraggiati seguiti ed appoggiati da tutto il Partito, dai segretari di circolo, dai circoli, dai volontari e volontarie che hanno reso questa campagna elettorale possibile e vincente.
Il dato più significativo e visibile di questa campagna elettorale è stata la presenza di tantissimi giovani accanto ai candidati/e fossero di collegio, fossero di lista. Giovani del PDT che sono il presente e il futuro di questo partito. Spesso, dagli alleati, mi sono giunti i complimenti per la passione, la competenza, l’impegno dispiegato dai nostri giovani. Dobbiamo esserne orgogliosi, e sapere che lì, dentro loro, alberga gran parte del necessario e doveroso ricambio di una classe dirigente che, facendo tesoro dello studio, della esperienza via via acquisita e della dedizione al partito, è pronta, ai posti di blocco, per assumere ulteriori importanti responsabilità.
Accanto a loro, nulla possiamo tacere circa il competente e onnipresente quotidiano apporto dato a tutte le candidate e candidati e alle nostre articolazioni territoriali da Marta Frassoni, Laura Zampiero, Cristina Casagrande e Roberto Pinter. A loro il nostro particolare ringraziamento. Come un ringraziamento sentito va ad Aida Ruffini, nostra tesoriera, per la scrupolosa, attenta, e perspicace gestione delle risorse dedicate alla campagna elettorale.
Il Partito Democratico del Trentino conosce nelle politiche del 2022 un buon risultato.
Quel 22,22% un tre per cento in più del livello nazionale sta lì a significare una nostra costante crescita.
Alle politiche di quattro anni fa registravamo un 19% di consenso. Alle provinciali del 2018 un 13,92%.
Certo si può dire che il voto è distribuito a “macchia di leopardo”. Tra territori, tra centro e periferie. Vero.
Anche questo è un tema di annosa discussione. E però, andando ad analizzare i dati così come hanno fatto sia Antonio Zanetel che Marta Frassoni, che ringrazio, ci accorgiamo che un qualche segno di ripresa, anche nel rapporto città valli, lo registriamo!
Segno che il cammino continua e deve continuare.
Con un maggior nostro radicamento, che non può essere confinato solo alla costituzione di un qualche circolo, ma che deve affondare le radici in una presenza costante, meticolosa, oserei dire scientifica, che quel circolo o quei circoli sapranno mettere in campo sul loro territorio certamente stimolati, suffragati, sostenuti dalla presenza e iniziativa del Gruppo Consiliare Provinciale.
Tutto fatto allora? Per niente! Tutto appena incominciato! Unità e responsabilità verso un progetto più grande sono state le carte che il nostro PdT ha saputo spendere.
C’è un dibattito in corso in certa parte del PdT. Ed è un dibattito che attiene la natura e la funzione di questo nostro Partito.
Due sono le corna del problema. Se sia giusto e doveroso rivendicare “l’identità” del partito, (anche in termini di espressione delle candidature) o se sia preferibile mettersi a disposizione di un progetto unitario, più grande. E’ un dibattito in verità mal posto. Mi pare si possa dire che nel Pdt non esistano i paladini dell’appartenenza e i fautori di una “svendita” di tale appartenenza. Come se gli uni fossero gli unici depositari dell’orgoglio di partito e gli altri ne fossero se non i liquidatori, quelli supini privi di spina dorsale, buoni solo a spendere consensi a favore d’altri.
Dicevo è un dibattito mal posto.
Appartenendo a quella declinazione di pensiero che vede nella capacità del PdT di essere regia e traino di una coalizione, rilevo che, questa capacità del Pdt, e solo questa, ha consentito ai comuni di Trento, Rovereto, Lavis Pergine, Arco, Dro, e via elencando una forte e autorevole presenza del PdT nella compagine apicale del governo.
Con Sindaci che ritenuti “non nostri” hanno saputo dispiegare anche in questa sfida elettorale, la loro autorevolezza e capacità di attrarre il consenso nei confronti del Pdt. Dico questo perché sono manifeste le dichiarazioni di voto e sostegno al nostro partito sia del sindaco Ianeselli, che del sindaco Valduga, che del sindaco di Pergine Oss Emer. Se si sono perse le loro interviste, si guardino almeno i voti incassati. Questi parlano da soli. E sono il frutto, credo, di una riconquistata autorevolezza e credibilità di un partito, il nostro, che pratica la faticosa strada dell’inclusione, della apertura, del dialogo tra differenze piuttosto che la strada del ritirarsi nel consueto “tranquillizzante” percorrere il sentiero noto, stabilendo, al proprio piccolo interno, a chi dare, e a chi no, la patente di fidati compagni di viaggio!
Credo che il nodo, se sia giusto e doveroso rivendicare “l’identità” del partito, (anche in termini di espressione delle candidature) o se sia preferibile mettersi a disposizione di un progetto unitario, più grande, vado affrontato e risolto. L’”adesso tocca a noi” espresso alla Conferenza programmatica in quel di Mattarello nell’autunno del 2017, non ha portato bene.
Alla luce del nostro 22,22 per centro Dicevo tutto bene? No di certo.
A noi spetta, come del resto spetta al Pd nazionale, un bagno di umiltà. Spetta un interpretare il nostro impegno politico a “tutto tondo”. Esercitando il nostro dovere di stare dentro le aule ma non affidando solo alla discussione che avviene al loro interno la nostra parabola futura. Forse, anche noi, Partito Democratico del Trentino, stiamo scontando una distanza forte tra ciò che siamo stati e che siamo e le domande e aspirazioni della vita quotidiana che molti cittadini trentini esprimevano e che, forse, noi non siamo stati in grado di cogliere.
Spetta ritornare davvero nelle strade nelle piazze; spetta praticare la prossimità.
Il percorso nostro non è all’anno zero.
La nostra presenza fattiva nelle amministrazioni comunali e a contatto diretto con le persone, le attività dei circoli, le numerose Agorà che si sono tenute registrando ampia partecipazione, l’operazione “Territori protagonisti” (alla quale non tutti hanno creduto) hanno comunque dato i primi embrionali frutti. Certamente non sufficienti. Spetta tornare là, nei luoghi di lavoro, dove siamo stati percepiti più come il partito dei sacrifici che della speranza. Senza illudere nessuno, senza scivolare nel populismo. Non siamo quelli che, per un voto, promettono tutto a tutti.
Spetta dar vita ad un nuovo programma di governo per il Trentino non “contro Fugatti e il centro destra. Spetta il coraggio della innovazione.
Coniugare responsabilità, passione civile, prossimità, e disegno di futuro è il nostro compito. Ed un anno, quello che ci separa dalle elezioni provinciali non è un lasso di tempo così largo da permetterci riposi.
Il Partito Democratico del Trentino è comunque chiamato a riorganizzarsi. Ad essere forte e coeso interlocutore di una realtà Trentina chiamata a fare i conti con una crisi senza precedenti. Non riconducibile al solo esorbitante costo delle bollette. Ma ascrivibile ai grandi mutamenti globali che riguardano la transizione ecologica, la tenuta dei posti di lavoro, la loro necessaria riconvertibilità; la tenuta dell’imprenditoria, chè l’imprenditoria crea lavoro, il potere di spesa della famiglie, il diritto alla salute e alla formazione per tutti, l’essere accompagnati, nella realizzazione del proprio personale destino, avendo ben presente che il destino può riservare a ciascuno e a ciascuna parabole ascendenti o discendenti. E alle parabole discendenti noi, partito democratico dobbiamo dedicare la massima attenzione in funzione di riscatto.
Se la sfida è questa il partito democratico del Trentino non può esimersi dal dar vita ad una partecipata conferenza programmatica aperta al massimo contributo delle espressioni economiche, delle parti sociali, del volontariato, della cooperazione, che hanno a cuore il destino di un Trentino non “piccolo e solo” o non dependance di politiche decise in altri luoghi.
E non può esimersi dal prendere su di sé, nelle diversificate articolazioni territoriali di cui gode, l’onere e l’onore di tessere un racconto “altro” rispetto al governo attuale, del Trentino che noi vorremmo.
La recente riforma statuaria fornisce al partito strumenti di allargamento della sua base e di elaborazione e decisionale. Penso alla conferenza degli amministratori e amministratrici, che molto hanno dire circa la “quotidianità e il futuro della nostra terra e penso alla conferenza dei segretari di circolo, nervatura territoriale importante del ciò che siamo.
Credo sia giunto il tempo di strutturare in forma stabile tali realtà, che, per altro, non da oggi, vengono permanentemente invitate ai lavori della nostra assemblea. Aprire, innovare ed unire, deve essere l’imperativo categorico del Partito Democratico del Trentino.
Vincere o perdere la sfida del 2023 dipende, molto, anche da noi. Capacità di proposta, unità interna, il percorre strade e piazze in ascolto, visione debbono essere il nostro faro. E l’impegno per il partito per la coalizione e per i loro risultati, debbono essere, rispetto alle nostre personali vite e traiettorie, la nostra priorità in agenda.
Per quanto mi riguarda non avrei accettato di divenire nel 2019 la Segretaria del Partito Democratico del Trentino volendone essere la liquidatrice. La mia disponibilità, nel limite delle mie capacità e inclinazioni personali è stata massima nel ricostruire un tessuto partito che potesse ritornare competitivo. Nessuno in politica è indispensabile. Ciascuno/a di noi può dare il proprio contributo relativamente alla stagione che deve affrontare e al quadro di complessità che essa presenta.
Siamo alla vigilia di una stagione congressuale nazionale e, a ben guardare territoriale. Il mio mandato, il mandato della segreteria del Coordinamento e di questa Assemblea, scade mel mese di marzo del 2023. Mese nel quale, auspicabilmente e presumibilmente dovremmo aver individuato il candidato o candidata presidente della Provincia.
Al Partito, a questa Assemblea, spetta la responsabilità di una decisione circa la calendarizzazione del nostro congresso territoriale ben sapendo che saremo comunque chiamati ad essere protagonisti del percorso congressuale nazionale, che auspichiamo, per la sua nuova proposta contenutistica, davvero convincente per l’Italia
Quanto a noi ci rincontreremo a breve. La carne al fuoco è molta. E il tempo per non bruciarla è davvero breve.
Grazie a tutti e a tutte.