Il drastico aumento dei costi dell'energia e la siccità di questi mesi ci obbliga a riaccendere i riflettori sulla questione della produzione idroelettrica trentina. L'anno scorso la Giunta provinciale - nonostante la forte opposizione dei Gruppi di minoranza e degli enti locali - ha deciso di approvare una pericolosa riforma del settore idroelettrico.
Alesso Manica, 25 marzo 2022
Una riforma che obbliga il nostro territorio a mettere a gara entro fine 2023 la maggior parte delle grandi centrali idroelettriche trentine ed entro il 2028 le piccole. Certamente in ossequio alle direttive europee, che anche in questi giorni stanno spingendo il governo nazionale verso norme che fanno prevalere il tema della concorrenza rispetto ad ogni altra riflessione che attorno al bene pubblico per eccellenza andrebbe forse affrontata e ponderata.
Ne deriva quindi il rischio concreto di perdere la governance su un settore strategico per il nostro territorio; di perdere degli asset costruiti negli anni con le risorse delle nostre comunità; ma soprattutto la rinuncia ad esercitare l'Autonomia, a sfruttarne appieno le peculiarità e a trovare delle soluzioni di autogoverno originali ed innovative. La centralità del tema energetico in questo particolare momento storico impone di fare il possibile per riaprire la partita ed individuare delle soluzioni che consentano al Trentino di mantenere in mano pubblica il controllo strategico sullo sfruttamento delle sue risorse naturali. In questo frangente quello energetico è anche tema di sicurezza, intesa come disponibilità ininterrotta di fonti energetiche affidabili ad un prezzo accessibile.
Nelle scorse settimane il Copasir (Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) ha approvato all'unanimità una Relazione sulla sicurezza energetica nel contesto della transizione ecologica, in cui si legge che si dovrà mirare «al perseguimento di una adeguata autonomia tecnologica e produttiva del Paese nel settore energetico, rafforzando le filiere nazionali di industria e ricerca». In questi giorni abbiamo imparato - ma non è una novità - che l'Italia sul piano energetico è fortemente soggetta a minacce di natura esogena, legate alla situazione geopolitica ma non solo. Pur consci che le fonti rinnovabili, coprono oggi solo il 20% circa del mercato nazionale dell'energia dobbiamo puntare sulle nostre risorse naturali e filiere, a cominciare dall'idroelettrico - da cui oggi proviene il 16% della produzione nazionale - che nella relazione viene definito come un ambito di «notevole vantaggio competitivo» per l'Italia.
Altro aspetto convisibile nella posizione del Copasir è la critica alle gare di concessione delle centrali «in un regime di non reciprocità poiché gli altri Paesi europei applicano un regime protezionistico», mettendo a rischio il controllo di asset strategici per la sicurezza del sistema energetico e per l'autonomia energetica nazionale». Mi permetto inoltre di aggiungere coerentemente con questo invito più di una perplessità rispetto alla volontà di metanizzare ancora il Trentino, aumentando così la nostra dipendenza. La Giunta ha fatto sapere di confidare di fatto in una proroga delle concessioni, ma la via di fuga nazionale dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati, non deve esimerci come comunità dal cogliere questo momento storico per cercare ostinatamente di tracciare un percorso diverso, in cui è centrale la partita idroelettrica ma che può riguardare anche un'accelerazione su altre forme sostenibili di produzione dell'energia. Faticoso ma possibile come dimostrano per esempio la scelta recente del Cantone svizzero dei Grigioni, dove è stata approvata la strategia energetica 2022-2050 scegliendo di non rinnovare le concessioni in scadenza e di aumentare la partecipazione pubblica, e quella della Francia, dove il Senato ha da poco approvato una norma che consente al concessionario di derivazioni idroelettriche di presentare allo Stato un programma generale di investimenti, sulla scorta di quanto si sta facendo qui per il rinnovo della concessione della A22.
La Giunta ha sbagliato l'anno scorso, ma ciò che conta ora è provare a rimediare urgentemente, innanzitutto facendo il possibile a livello politico - a Trento ma soprattutto a Roma - per tornare indietro rispetto alla decisione della messa in gara e favorire soluzioni che garantiscano il controllo pubblico sugli asset e sulla produzione idroelettrica, l'apertura sul tema del partenariato pubblico privato è un segnale positivo in tal senso, per accelerare su altre fonti come le biomasse, il geotermico e il fotovoltaico. Torno poi a riproporre la possibilità, se non la necessità, di coinvolgere in maniera ampia la comunità in questo percorso attraverso forme quali quella dell'azionariato diffuso, che da una parte permetterebbero d'impegnare risorse oggi ferme nelle banche, aiutando il soggetto pubblico per esempio nel riacquisto di alcuni beni oggi in mano ai concessionari dall'altra potrebbero essere modello virtuoso ed innovativo.
Per il Trentino è una partita fondamentale, perderla creerebbe un danno irreparabile per lo sviluppo futuro del nostro territorio, cogliamo la crisi per dare una profonda sterzata.