Anche per l'autonomia vale l'immagine che Emmanuel Mounier usava per descrivere la democrazia: è come una bicicletta, sta in equilibrio solo se si muove, in avanti, velocemente. Oggi l'autonomia è ferma e quindi rischia di cadere. È ferma in Provincia, è ferma in Regione.
Giorgio Tonini, 15 dicembre 2021
In Provincia l'autonomia è ferma, perché da tempo si limita ad amministrare e ha rinunciato a governare. Ma senza governo non c'è autonomia, al massimo può esserci un po' di decentramento, amministrazione locale di decisioni prese altrove. La manovra di bilancio in discussione in Consiglio è la prova di questa involuzione. Da inizio legislatura la giunta si preoccupa, giustamente, di portare in Trentino risorse nazionali ed europee. E si propone, altrettanto giustamente, anche se non sempre coerentemente, di destinare quelle risorse a investimenti più che a spesa corrente.
Ma non si preoccupa affatto, se non occasionalmente e marginalmente, di rendere il Trentino più produttivo e più competitivo, più capace di trovare in se stesso le risorse che servono a dare risposte ai suoi bisogni. Per fare questo sono necessarie le riforme, è indispensabile il continuo ammodernamento, la continua ristrutturazione del nostro modo di produrre, di lavorare, di gestire, di amministrare. A questo serve l'autonomia, la nostra autonomia speciale, la disponibilità di risorse, finanziarie, umane, istituzionali, che ci consentono di governare, almeno in parte, il cambiamento e non di limitarci a subirlo. Per fare solo un esempio, una Provincia che volesse usare appieno l'autonomia di cui dispone utilizzerebbe il rinnovo del contratto dei suoi dipendenti collocando gli aumenti salariali in un contesto di coraggiosa e ambiziosa innovazione concertata del modo di produrre servizi strategici per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Trentino: la sanità, l'istruzione, la stessa macchina amministrativa, provinciale e comunale. E invece, l'impostazione della giunta, sin dall'inizio della vertenza, ha ridotto il ruolo della Provincia a intermediario di risorse derivate dallo Stato: gli incrementi salariali non sono stati considerati come il corrispettivo di risultati e obiettivi misurabili in termini di qualità, efficienza, produttività del lavoro pubblico, ma come una variabile dipendente esclusivamente dall'andamento delle relazioni finanziarie col governo nazionale. È la negazione dell'autonomia, il suo declassamento ad amministrazione decentrata. A sentire la giunta provinciale, alle riforme, indispensabili per innalzare in modo strutturale il tasso di crescita del paese e quindi anche rendere sostenibile il debito che stiamo pesantemente aggravando, deve pensarci, se può, il governo Draghi.
Il Trentino, che un tempo si proponeva come laboratorio di innovazione, alle riforme non ci crede più. Eppure, la nostra comunità autonoma avrebbe un bisogno vitale di obiettivi comuni e condivisi, attorno ai quali fare sistema e imprimere quella spinta al cambiamento che ha più volte saputo mettere in campo.Se la Provincia declina, la Regione agonizza. A cinquant'anni dal secondo Statuto, la maggioranza regionale Svp-Lega non ha la più pallida idea, e tanto meno la più modesta proposta, su quale possa e debba essere il futuro assetto della nostra autonomia speciale.
La Svp si è limitata a riproporre ritualmente in Senato quattro vecchi disegni di legge costituzionale di riforma dello Statuto e a farsi votare, in consiglio regionale, un tardivo e inutile parere positivo da una Lega sprofondata in un silenzio imbarazzato. Gli appelli del Pd e delle altre minoranze a riprendere e rielaborare le riflessioni sul futuro dell'autonomia, proposte nella scorsa legislatura dalla consulta trentina e dalla convenzione altoatesina, sono caduti nel vuoto. La stessa presidenza trentina della Regione e dell'Euregio rischia di passare inosservata e di finire rapidamente archiviata.
Eppure, proprio l'Euregio dovrebbe e potrebbe rappresentare il futuro della nostra autonomia speciale, oltre la ormai sterile e stucchevole contrapposizione, solo stancamente retorica, tra il regionalismo trentino e l'antiregionalismo sudtirolese, a questo punto capaci soltanto di paralizzarsi a vicenda. Un "terzo Statuto" europeo e transnazionale, la coraggiosa esplorazione di uno spazio politico e giuridico inedito e incognito. Un esperimento di autogoverno di un'area alpina vasta e strategica, attraversata dal più importante corridoio di collegamento tra Germania e Italia, Nordeuropa e Mediterraneo, un territorio montano al tempo stesso pregiato e fragile sul piano ambientale e paesaggistico, atipico sul piano sociale e culturale. Un incontro di comunità che metta a fattor comune università e centri di ricerca, sistemi scolastici e formativi, infrastrutture e sistemi d'impresa, istituti di credito e strutture sanitarie. Un progetto elaborato fra Trento, Bolzano e Innsbruck e proposto a Roma, Vienna e Bruxelles. Un trattato internazionale Italo-austriaco, sostenuto e avallato dall'Unione europea come esperimento pilota, potenzialmente replicabile in altre aree di confine. L'incardinamento del nuovo Statuto della nuova Regione europea trentino-tirolese nella Costituzione italiana e in quella austriaca. Una grande impresa collettiva, sulla quale costruire, tra Adige e Inn, un senso e un'identità comuni e condivisi...
Rialzare la bicicletta dell'autonomia e rimetterla in moto è necessario e urgente. Si tratta di sollevare la testa, allungare lo sguardo e spingere sui pedali, per renderlo possibile.