All'Autobrennero compensi fuorilegge

Cinque anni fa, in attuazione di una delega votata dal Parlamento, vedevano la luce i decreti Madia, dal nome della giovane ministra del governo Renzi, titolare della delega alla riforma della pubblica amministrazione. Uno di essi, il decreto legislativo 175 del 2016, stabiliva norme di moralizzazione e di risparmio nella gestione delle società controllate dallo Stato o da altre amministrazioni pubbliche.
Giorgio Tonini, 1 luglio 2021

 

In particolare, veniva disposto che tali società fossero gestite da un amministratore unico o, in alternativa, da un consiglio di amministrazione composto al massimo da cinque membri. Veniva inoltre fissato un tetto alle retribuzioni di amministratori e manager di tali società, nessuno dei quali doveva percepire compensi superiori a quello del presidente della Repubblica, pari a 240 mila euro lordi annui. I principi e le disposizioni del decreto Madia venivano immediatamente recepiti dalla nostra Regione autonoma con la legge finanziaria del 2016.

Legge che all'articolo 10 detta norme in materia di società partecipate: "con riferimento alle società di capitale aventi sede nel territorio regionale, delle quali la Regione detiene, anche insieme con le province autonome di Trento e di Bolzano e altri enti pubblici aventi sede nel territorio regionale, una partecipazione di oltre il 50 per cento del capitale sociale, la Giunta regionale definisce con propria deliberazione, sentite le province e gli altri enti pubblici detentori di quote azionarie, le misure per assicurare il contenimento delle spese e del numero dei componenti del consiglio di amministrazione", entro i limiti fissati dal decreto Madia.

Difficile non riconoscere in questo ritratto anche e soprattutto la società "Autostrada del Brennero spa", controllata dalla nostra Regione e dalle province autonome, dai comuni e dalle camere di commercio di Trento e di Bolzano, per il 57 per cento del suo capitale sociale. E difatti nessuno, neppure la giunta regionale Kompatscher-Fugatti, ha mai nutrito dubbi in proposito: ne è prova la legge regionale n.1 del 2019, la quale stabilisce che, in attesa della riorganizzazione della società, "e comunque fino all'approvazione del bilancio di esercizio riferito all'anno 2021, per la società Autostrada del Brennero spa, continuano ad applicarsi in tema di contenimento delle spese e di numero di componenti del Consiglio di Amministrazione, in deroga all'articolo 10 commi 2 e 5 della legge regionale 15 dicembre 2016, n. 16, le disposizioni in vigore precedentemente".

Dunque, una deroga temporanea all'applicazione di una norma di per sé valida per la società che gestisce l'A22. Se la norma non fosse stata applicabile per l'Autobrennero, non ci sarebbe stato alcun bisogno di approvare una deroga.

Ad un anno dalla scadenza della deroga (il bilancio 2021 dovrà essere approvato nei primi mesi del 2022), nel mese di aprile scorso ho interrogato la giunta regionale (interrogazione n.78/XVI) per sapere quattro cose precise: innanzi tutto, quali iniziative stia assumendo per attuare la riorganizzazione della società nei tempi stabiliti; poi, quali iniziative intenda assumere in materia di composizione degli organi di amministrazione e di compensi agli amministratori, nel malaugurato caso di mancato rispetto del termine stabilito per la riorganizzazione della società e dunque di scadenza della deroga; terzo, quale sia l'attuale regime di compensi agli amministratori e ai dirigenti della società e in quale misura e in quali aspetti esso si discosti da quanto previsto dal decreto Madia e dalla legge regionale 16/2016; infine, se non ritenga corretta l'interpretazione della normativa vigente (deroga all'applicazione della legge 16/2016 e reviviscenza della legge 4/2007 che tuttavia sul punto rinvia alla vigente normativa statale), secondo la quale la deroga varrebbe per la composizione del consiglio di amministrazione, ma non per l'applicazione del tetto ai compensi. Una interpretazione fondata sulla lettera della legge, ma anche sul buon senso, che può forse giustificare la sopravvivenza di un consiglio di amministrazione ampiamente rappresentativo dei diversi territori, in una delicata fase di riorganizzazione della società, molto meno l'esenzione dai limiti ai compensi che nel contesto di transizione non trova alcuna ragionevole motivazione.

Il regolamento del consiglio regionale prevede che la giunta debba rispondere alla interrogazione di un consigliere entro quindici giorni. Ne sono passati cinque volte tanti, ma dalla giunta Kompatscher-Fugatti non è arrivata nessuna risposta. Mi sono allora avvalso di un altro strumento, l'interrogazione a risposta immediata in consiglio provinciale ed ho presentato in quella sede una sintesi dell'interrogazione regionale. La risposta stavolta è arrivata, anche perché non poteva non arrivare. Ma il suo contenuto è stato imbarazzante. Per due terzi, il testo predisposto dalla segreteria generale della Provincia e letto in aula dall'assessore Gottardi, si sforza in modo inutilmente e temerariamente perentorio di dimostrare che la società Autobrennero non rientrerebbe nella fattispecie definita dal decreto Madia. Non sarebbe cioè una società a controllo pubblico.

La tesi è temeraria, posto che appena ventiquattr'ore prima il procuratore regionale della Corte dei Conti, nella sua "memoria conclusionale" sul rendiconto 2020 della Regione, aveva ampiamente dimostrato il contrario. E aveva aggiunto che "la rilevata sussistenza del controllo pubblico conferma la soggezione della società Autostrada del Brennero spa agli obblighi di attuazione del deficit spending, previsti dal decreto legislativo 175/2016 e recepiti a livello regionale con la Legge 16/2016". Non è tutto: "La mancata attuazione degli interventi richiamati - prosegue il procuratore - risulta di particolare censurabilità alla luce dei richiami attuati anche sul piano politico, laddove consiglieri regionali hanno posto l'accento sulla tematica (cfr. interrogazione n. 78/XVI), senza che siano stati offerti riscontri tesi a delineare un quadro di certa attuazione dei necessari interventi. L'omessa applicazione del deficit spending normativamente previsto comporta costanti esborsi indebiti, in quanto posti in violazione della normativa richiamata".

La tesi temeraria sostenuta dalla giunta Fugatti e bocciata dalla Corte dei Conti è peraltro anche inutile, in quanto smentita dalla legge di deroga del 2019. Una deroga difficilmente prorogabile, considerato il giudizio della magistratura contabile. Forse Fugatti e Kompatscher farebbero bene ad attrezzarsi con argomenti più solidi e con una strategia più efficace, se non vogliono ridursi a difendere solo l'indifendibile: l'intollerabile privilegio di amministratori che percepiscono compensi fuori dalla norma nazionale e regionale, per gestire una società da anni tristemente bloccata in una condizione di interminabile prorogatio, mentre fosche nubi si addensano sul rinnovo della concessione, senza il quale essa non avrebbe più ragione di esistere.