Quando la maggioranza provinciale ha inserito nell'assestamento di bilancio dello scorso luglio il commissariamento delle Comunità, ho provato un notevole sconcerto.
Alessio Manica, 31 ottobre 2020
Non solo per l’incapacità della Giunta e della maggioranza provinciale di partorire in due anni un’idea su come riformare le Comunità, da loro sempre così osteggiate, e la conseguente non-scelta di commissariale e di minarne le potenzialità operative, ma anche per il silenzio degli amministratori locali di fronte a quel passaggio a mio avviso irrispettoso e prevaricatore.
In quel silenzio è a mio avviso racchiuso un errore prospettico che molti amministratori comunali compiono: quello di vedere spesso le Comunità come un competitore rispetto ai Comuni, e non come un ente capace di portare a sintesi idee, investimenti, funzioni e servizi che trovano nella dimensione comunale una dimensione sempre più insufficiente. Di conseguenza mi pare sia abbastanza diffuso il pensiero per cui vada bene togliere alle Comunità per ridare ai Comuni.
Per una Giunta provinciale con poche idee e ben confuse - sospesa tra la volontà di dar seguito alle promesse elettorali di smantellamento e l’incapacità di immaginare scenari alternativi per la gestione di funzioni e servizi vitali per i trentini – l’occasione è ghiotta per esaltare, come già fatto con la sospensione dell'obbligo delle gestioni associate, l’approccio “fai da te”.
Ritengo che se questo approccio troverà articolazione nella proposta di riforma della Giunta, i territori correranno due grandi rischi.
Il primo è la fine di quei percorsi – certo difficili ed imperfetti - di condivisione sovracomunali necessari per il perseguimento di uno sviluppo dei territori che parta appunto da un protagonismo degli stessi, con l'inevitabile indebolimento dei territori rispetto alla dimensione provinciale. Non è più tempo a mio avviso per pensare che i Comuni possano definire le proprie traiettorie di sviluppo fuori da una logica di territorio, e il rischio è quello di una forte disparità tra Comuni e in definitiva un ulteriore indebolimento della loro autonomia. Sono in tal senso profondamente contrario all'idea per cui si vorrebbe riportare tutta la competenza urbanistica in capo ai Comuni.
Il secondo rischio è quello di riconsegnare i Comuni ad un rapporto corpo a corpo con la Provincia, in una interlocuzione impari e fuori da logiche di sviluppo territoriale coerenti e condivise. Certo oggi le Comunità soffrono di riconoscibilità, di autorevolezza, complice la perdita della dimensione politica e l’opera di mistificazione operato dalla Giunta leghista, che nemmeno dopo il grande lavoro delle Comunità durante l’emergenza Covid (servizi di assistenza e di prossimità per anziani e malati, servizi per il diritto alla studio, ecc.) ne hanno valorizzato il ruolo. Ma rimangono una dimensione necessaria per la pianificazione di alcuni settori, urbanistica e sociale in primis, e per l’erogazione di servizi e funzioni che da sempre in Trentino vengono erogati dal livello intermedio. Per questo sono convinto che le Comunità hanno bisogno di un rilancio, non di una liquidazione, perchè ne ha bisogno la Provincia, ne hanno bisogno i Comuni, ma soprattutto ne hanno bisogno i cittadini.
Vengo quindi rapidamente al secondo tema lanciato da questo giornale in questi giorni: la crisi di partecipazione alle ultime elezioni comunali. E' abbastanza evidente che l'impennata delle monoliste è sintomo di una disaffezione verso l'amministrazione del bene pubblico prima che di una scarsa incisività delle minoranze, posto che tutti quando si candidano lo fanno con l'ambizione di trovarsi dalla parte che governa. Con questo non va elusa la riflessione sul sistema maggioritario che necessita sicuramente di un correttivo per riportare vita nei Consigli Comunali, ma credo che il primo motivo di questa disaffezione vada ricercato nei costi di questo impegno.
Costi che si misurano in tempo, che un forte riflusso nel privato ci spinge a riservare ad altro; costi in termini di responsabilità che ci si assume; costi in termini di fatica che aumenta esponenzialmente nei Comuni più piccoli a causa delle complicanze burocratiche e del continuo assottigliarsi degli organici. Oltre al riassegnare competenze ai Consigli Comunali, mantenendo l'elezione diretta del Sindaco e la sua facoltà di scegliersi la squadra, ci sono altre due leve che a mio avviso potrebbero invertire questa tendenza.
La prima, semplice e provocatoria viste le azioni in senso contrario di questa maggioranza, è aumentare la dimensione dei Comuni: un elettorato più ampio rende più probabile l'esistenza di una sana dialettica elettorale, permette un allargamento della potenziale classe dirigente e aumenta anche la disponibilità di risorse organizzative. La retorica del “piccolo è bello”, tanto cara alla Giunta Fugatti, di questi tempi si scontra con la stessa capacità dei Comuni di esercitare appieno la propria autonomia ma soprattutto di poter fornire ai cittadini la stessa quantità e qualità di servizi.
La seconda è lavorare per supportare di più i Consiglieri nel loro impegno. Lo si potrebbe fare in due modi: reintroducendo il diritto dei consiglieri ad un permesso lavorativo per la preparazione e la partecipazione ai Consigli, così da non rubare il tempo necessario solo alla famiglia o alle proprie passioni; potenziare il servizio di consulenza del Consorzio dei Comuni per i consiglieri, fornendo quelle competenze giuridiche ed amministrative sulle quali anche la più vocata buona volontà dei consiglieri rischia di spegnersi.